La sindrome del viaggiatore (wanderlust) è un forte desiderio di viaggiare, di andare “oltre” il proprio mondo.
La traduzione e il significato di wanderlust – Wanderlust è un termine che la lingua inglese ha mutuato dal tedesco ed è composto dal verbo Wandern (viaggiare, girovagare, peregrinare) e dal sostantivo Lust (desiderio, voglia): voglia di viaggiare.
Questa parola affonda le radici nel romanticismo tedesco (XVIII/XIX sec.) che si proponeva di rivalutare l’importanza del singolo rispetto alla collettività e incoraggiava la sperimentazione del mondo attraverso i viaggi, la ricerca di nuovi orizzonti e nuovi modi di vivere per approdare alla vera conoscenza di sé stessi e allo sviluppo personale.
La parola risulta essersi poi diffusa a partire dal primo ‘900 ma solo in anni più recenti è divenuta di uso più comune per indicare qualcosa attinente in modo specifico all’esplorazione, al viaggio, al girovagare per il mondo.
Oggi con il termine wanderlust (da cui sindrome di wanderlust o malattia del viaggiatore) ci si riferisce espressamente al desiderio di viaggiare che un soggetto manifesta in maniera molto marcata, a una perenne voglia di partire (a volte quasi di fuggire), a una sorta di attrazione fatale per tutto ciò che concerne il viaggio.
Sindrome del viaggiatore (wanderlust) – Cosa dice la genetica
Secondo studi recenti (anni 2000), i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista scientifica americana Evolution and Human Behaviour, la causa di questo desiderio quasi incontenibile sarebbe da attribuire alla mutazione di un gene, precisamente il DRD4-7R, un ricettore di dopamina che è ritenuto responsabile di conferire al soggetto una maggior propensione all’esplorazione e al rischio; per questo è stato ribattezzato gene di wanderlust. La dopamina è un regolatore anche dell’umore, responsabile del cosiddetto circuito della gratificazione ed è coinvolta nei meccanismi che interferiscono con le dipendenze, per esempio da alcolici, stupefacenti ecc. Chi possiede la mutazione genetica DRD4-7R risponde meno alla dopamina nel proprio sistema di ricompensa e deve quindi cercare più stimoli per far sì che la dopamina possa raggiungere livelli sufficienti.
Lo scrittore David Dobbs, noto pioniere americano in esplorazioni condotte su base scientifica anche per National Geographic, ha dichiarato che tale gene conferirebbe effettivamente un forte desiderio di viaggiare e una speciale attrazione verso tutto ciò che è esotico e sconosciuto.
È stato appurato che la mutazione è percentualmente più presente negli odierni discendenti da quelle popolazioni che anticamente migravano e che oggi ne sarebbe portatrice circa una persona su cinque, in egual misura tra i due sessi.

La prima attestazione del termine wanderlust risale alla poesia Die drei Quellen di F. Rückert, pubblicata per la prima volta nel 1819.
Sindrome del viaggiatore (wanderlust) – Cosa dice la psicologia
Sulle conclusioni dei suddetti studi gli esperti non sono tutti concordi, considerato che sarebbe semplicistico ridurre la complessità del sistema genetico e delle sue interferenze sui comportamenti attribuendone la causa solo a una mutazione genetica.
In particolare, la sindrome del viaggiatore è proprio uno di quei casi in cui la genetica è fortemente ridimensionata. Infatti, se la motivazione fosse esclusivamente genetica, la sindrome sarebbe indipendente dall’età, cosa che non è vera, essendo molto più comune fra i giovani che fra soggetti over 30.
Inoltre, in molti soggetti la meta è una componente fondamentale della sindrome, meta che geneticamente dovrebbe essere ininfluente.
Si può certamente concludere che solo in un’esigua percentuale di sindromi del viaggiatore (indipendenti dall’età e dalla meta) l’origine è genetica (un po’ come la gran parte dei soggetti sovrappeso non ha nessun alibi genetico!).
Rimanendo nell’ambito della psicologia, ci sono atteggiamenti mentali e comportamenti che costituiscono indizi importanti per individuare il wanderluster.
Atteggiamenti mentali:
- manifestare un costante desiderio di viaggiare;
- mostrare segni di inquietudine e di sofferenza quando non lo si può fare;
- desiderare di ripartire non appena si è tornati;
- non essere mai appagati e sognare a occhi aperti sempre nuove mete;
- rendersi conto che la destinazione del viaggio a volte non è neppure l’obiettivo principale rispetto al bisogno di partire.
Comportamenti:
- navigare frequentemente sul Web alla ricerca di tutto ciò che riguarda i viaggi;
- fermarsi davanti alle vetrine delle agenzie viaggi anche quando non si prevede di partire;
- controllare spesso le offerte delle compagnie aeree/treni;
- in libreria, finire inevitabilmente nel reparto delle guide turistiche/mappe geografiche;
- sui social, partecipare attivamente a discussioni sui viaggi in vari blog;
- guardare tutti i programmi televisivi dedicati a viaggi, crociere ecc.:
- investire gran parte dei propri risparmi in viaggi e simili, a volte anche indebitandosi.
Va detto che la sindrome di wanderlust non è in realtà ritenuta una vera e propria malattia, ma più un disagio, anche se in alcuni soggetti può comportare una vera e propria sofferenza esistenziale. In questi casi, fortunatamente rari, può essere necessario l’aiuto di uno psicologo.
In generale quindi, se di per sé non c’è nulla di male a desiderare di viaggiare, è come sempre l’equilibrio a fare la differenza.
Ci sono molte persone che fanno regolarmente viaggi più volte all’anno, da sole, con la famiglia o con gli amici sfruttando le festività o le ferie; ciò consente, per esempio a chi è appassionato d’arte, di visitare musei, monumenti, siti archeologici ecc. Costoro privilegiano questa modalità di trascorrere il tempo libero, ma non per questo sono affetti dalla sindrome di wanderlust.
Nel complesso però sono veramente pochi i casi in cui la passione per i viaggi può essere considerata un vero oggetto d’amore; più spesso è più propriamente un hobby perché manca un requisito fondamentale: la frequenza (si veda a tale proposito l’articolo che tratta degli oggetti d’amore).
Inoltre, anche quando questo desiderio diventa quasi un’ossessione e spinge a viaggiare molto spesso (quei pochi che se lo possono permettere), allo stesso modo non si può parlare di vero oggetto d’amore, ma più propriamente di dipendenza; manca cioè un altro requisito fondamentale degli oggetti d’amore: l’indipendenza.

Il sociologo statunitense Robert Ezra Park (1864-1944) vedeva nella wanderlust un rifiuto delle convenzioni sociali
I forzati del viaggio
Prendendo spunto dai viaggi e dai comportamenti connessi, si possono fare alcune riflessioni su atteggiamenti che non sono sempre equilibrati e che sono collegabili specificamente ad alcune personalità critiche.
Il sopravvivente, che in genere vive una vita che non lo soddisfa appieno, cerca spesso il riscatto proprio nel viaggio durante le ferie. Il soggetto può semplicemente attuare la strategia del carcerato, scegliendo mete usuali, magari, se le condizioni economiche lo permettono, ottimizzando la strategia del servito. Nei casi in cui ci sia. più o meno quotidianamente, la castrazione dell’energia vitale, il sopravvivente può ricercare l’avventura nella natura selvaggia o il safari fotografico in condizioni estreme che diventano il tentativo, inutile e a volte anche patetico, di risollevare in un sol colpo la situazione degli altri undici mesi. Perché non dare una svolta vera alla vita e cercare di viverla con soddisfazione tutto l’anno? Non è meglio costruirsi una quotidianità in cui non si vede l’ora di alzarsi dal letto per fare le cose che si amano e che rendono le proprie giornate memorabili (per sé stessi)? Se si fugge da una vita che non piace, è illusorio credere che per migliorarla basti allontanarsene temporaneamente; i viaggi saranno sempre dei palliativi mentre l’unico rimedio è cambiarla quella vita, fare scelte nuove, anche drastiche se serve. Una relazione che non funziona, il grande stress di un lavoro insoddisfacente non si risolvono scappando, bisogna avere il coraggio di rompere e cambiare quello che non va.
L’apparente, che per sentirsi qualcuno ha bisogno di mostrare agli altri la sua “grandezza”, vede spesso nel viaggio un’occasione d’oro: la località esotica di gran nome, la meta esclusiva frequentata magari dai VIP, sono i luoghi ideali per una vacanza. Naturalmente l’imperativo è quello di scattare migliaia di foto da inviare ad amici, colleghi e conoscenti per mostrare loro la meraviglia dei panorami e l’esclusività del posto. Al ritorno, non vedrà l’ora di incontrare gli amici per decantare ancor meglio tutte quelle meraviglie e sciorinare altre centinaia di foto. Per lui tutto questo sfoggio è un bisogno ineludibile: si sente qualcuno solo se così lo fanno sentire gli elogi altrui, i loro complimenti, il loro plauso.
Altre personalità critiche possono essere coinvolte (deboli, insofferenti), in particolare tutti i soggetti che partono addirittura per fuggire da loro stessi, da un disagio interno, credendo che una distrazione momentanea, un allontanamento dai luoghi consueti, la conoscenza di persone nuove possa essere la soluzione. Certamente non lo è: bisogna prenderla di petto la realtà perché si ha una vita sola e la strategia di tenersi i problemi, magari sperando che le cose si aggiustino da sole, è fallimentare.
Sindrome del viaggiatore (wanderlust) – Come guarire
In definitiva, il segreto per guarire dalla sindrome del viaggiatore o da quel desiderio di viaggiare a tutti i costi (a volte solo perché così fan tutti), non è quello di smettere di viaggiare, ma quello di farlo in modo equilibrato imparando contemporaneamente a dedicarsi con regolarità (e quotidianamente!) ai propri oggetti d’amore o, se non se ne hanno, imparando a costruirsene.