Come si pone il Personalismo nei confronti della vendetta? Consideriamo due posizioni estreme.
La prima è quella del giustiziere della notte che si sostituisce alla legge per fare giustizia (analogamente, la folla che lincia il presunto criminale diventando giudice di esso). Come detto più volte, chi approva questa posizione è tipica del violento non criminale che, se la attua, diventa di fatto criminale!
La posizione del porgi l’altra guancia
La seconda è quella di Gesù (“non resistete a chi è malvagio; ma a chi ti schiaffeggia sulla guancia destra, porgi anche l’altra”. — Matteo 5:39). Ho sempre pensato che il “porgi l’altra guancia” sia la dimostrazione più evidente da un lato dell’irrazionalità del cristianesimo e dall’altro della cieca obbedienza ai suoi principi che hanno persone dotate di scarso spirito critico. Infatti, loro stesse nella vita di tutti i giorni dimenticano l’indicazione cristiana e fanno di tutto per infrangerla. Per esempio, chiunque, se danneggiato e se può farlo, ricorre alla legge per avere “giustizia”. Chi, derubato, sarebbe così stupido da rincorrere il ladro dicendogli “scusa, non ti sei accorto che nella tasca interna della giacca avevo anche un altro portafoglio con le carte di credito!”?
I cristiani cercano di difendere il significato delle parole di Gesù, reinterpretandole con arrampicate sugli specchi del tipo: “Evidentemente Gesù intendeva che se uno cercava di indurre un altro allo scontro con uno schiaffo, o con del pungente sarcasmo, quest’ultimo doveva evitare di ripagare con la stessa moneta. Doveva invece cercare di impedire che si innescasse un circolo vizioso in cui ognuno rendeva male per male“.
Se denuncio il ladro non lo mando forse in prigione facendogli del male? Non gli “rendo” del male? Che dire poi di tutte quelle cause in cui ognuno pensa di avere ragione? Se uno mi dà un pugno e mi riempie di botte, non devo cercare di ripagarlo con la stessa moneta, ma devo subire?
Non c’è interpretazione che tenga: la frase di Gesù non è che una risonanza sentimentale priva di spessore pratico.
La giusta vendetta
Secondo la definizione corrente (riprendo la definizione di Wikipedia che mi sembra azzeccata), la vendetta è un sentimento che scaturisce da un desiderio di farsi giustizia generato da un impulso volitivo che segue al rancore o al risentimento. Nella mente del soggetto che intende vendicarsi egli ha subito un torto (sia esso reale o presunto) e vuole (o ha bisogno) di “pareggiare i conti” con colui che è stato causa della sua sofferenza o fastidio.
Il tutto appare negativo, ma quello che ai più sfugge è che anche un’azione legale è una vendetta! Di fatto, io voglio vendicarmi del torto subito e querelo il mio offensore. Nel linguaggio comune ciò che rientra nella sfera legale non viene percepito come vendetta, a prescindere dall’animosità e dal rancore con cui il querelante procede. In questo caso sposiamo il senso comune, ma con una correzione.
- La vendetta è giusta se si ricorre alla legge, senza un coinvolgimento emotivo che avveleni la qualità della nostra vita.
Il ricorso alla legge deve essere un esempio di forza calma, ben consci che la legge non è perfetta e che il nostro avversario può farla franca.

Quando la vendetta diventa uno scopo, può essere logorante
In molti casi, però, non è possibile ricorrere alla legge; i motivi possono essere vari, per esempio:
- si è consci che non si ha nessuna possibilità legale (non siamo in grado di produrre prove);
- il danno è troppo piccolo per intentare una causa;
- i tempi della legge sono troppo lunghi ecc.
Come prerequisito di un’eventuale reazione occorre stabilire, a mente fredda, se il danno subito sia realmente un danno oggettivo e concreto.
A questo punto, quando la vendetta è “giusta”? Devono essere presenti alcuni fattori.
Legalità – Il tutto deve svolgersi nel rispetto della legge. Sottolineo ancora una volta che rispetto non significa non infrangerla, ma, se la si infrange, accettare la pena senza pretendere di avere ragione (vedasi il pezzo di Cognaretti nell’articolo sui condizionamenti sociali).
Forza calma – Ogni vendetta che fa capo all’odio non può definirsi giusta. Chi vuole “vendicarsi a ogni costo” sicuramente odia la persona che gli ha procurato un danno. Corretto invece essere calmi e pronti alla reazione solo se questa porta frutti positivi (per esempio, il semplice far capire all’altro che non può fare il prepotente); in altri termini, la reazione non deve essere accompagnata da ira, rabbia o altro sentimento che può distorcere la nostra valutazione e soprattutto non deve essere “necessaria”. Anni fa la mia azienda fu truffata per diversi milioni e, appurato che non c’era nulla che si poteva fare per riavere il maltolto, addirittura pagai il caffè al truffatore (che si era presentato con scuse incredibilmente valide dal punto di vista legale) per avermi insegnato qualcosa.
La forza calma significa un’analisi distaccata della possibilità di reazione, reazione che diventa quasi un divertimento che ripaga del danno subito.
Reazione non superiore all’azione – Molte vendette sono ingiuste per il semplice fatto che la reazione è spropositata. Per esempio, “per un principio non si fa una guerra” è il precetto che dovrebbe far dissuadere da tante sciocche vendette d’onore. Una reazione spropositata, per esempio, è sanzionata anche dalla legge con il reato di eccesso di legittima difesa.
Chiusura del cerchio – Questo è il parametro più difficile da valutare, nel quale si vede il buon senso della persona. Di fatto equivale a evitare che nasca una faida. Non ci si può limitare solo alla reazione, ma occorre in qualche modo assicurarsi che la controparte (che sicuramente non ci amerà) non proceda con ulteriori azioni. In genere, lo si può fare in vari modi:
- mostrando chiaramente una forza superiore all’avversario (che viene così disincentivato dal continuare); caso classico: un debole ci insulta e noi alziamo la voce e lo zittiamo perentoriamente con la stessa moneta, con un atteggiamento che gli fa chiaramente capire che, se continua, sarà lui a perderci.
- Stemperando la tensione e discutendo pacatamente sul perché si è arrivati allo scontro.
- Valutando le controreazioni (se per esempio querelo una persona, valutare le controquerele ecc.).
- Valutando le reazioni irrazionali (se per esempio ho di fronte un “folle”, non so fino a che punto sia conveniente reagire se il danno è piccolo; durante il servizio militare un camorrista mi spiegò che lui non aveva tanto paura di altri camorristi quanto dei “pazzi” perché, se anche gli spari, quelli vengono avanti lo stesso!)