Se si dovesse fare l’elenco dei valori morali probabilmente la stragrande maggioranza delle persone includerebbe: amicizia, amore, bontà, buonsenso, coerenza, coraggio, educazione, fedeltà, fraternità, gentilezza, gratitudine, lealtà, onestà, saggezza, sincerità. In realtà, all’elenco se ne potrebbero aggiungere diversi altri, sui quali però non tutti sarebbero d’accordo o perché troppo generici (per esempio “umanità”) o perché non necessariamente individuali (come per esempio la solidarietà o la giustizia che per molti devono essere sentimenti sociali).
L’elenco dei valori morali è lungo, ma uno su tutti quelli elencati è il più importante: solo attraverso la coerenza possono esistere valori. Il Personalismo ha una flessibilità morale che paradossalmente è molto più “etica” di altre soluzioni che tendono all’oggettività assoluta proprio perché si basa sulla coerenza. Attraverso essa, ognuno può (e deve) definire i propri valori. Molti valori morali tradizionali possono appartenere anche al Personalismo; la principale differenza è che non sono assoluti, validi per tutti (si pensi al matrimonio, ai figli, al lavoro, alla religione ecc.), ma sono scelte individuali. Una tale posizione permette di evitare i condizionamenti sociali e i valori “imposti”.
La strada sbagliata: i falsi valori morali
Molti ritengono che un valore sia “un fattore che ha in sé qualcosa di positivo”. Questa strada è scorretta e porta a una vita tutto sommato approssimativa. Purtroppo è una strada percorsa dalla stragrande maggioranza delle persone. Perché è sbagliata? Perché:
- ogni valore ha un controvalore (per esempio, onestà-disonestà);
- se ci si accontenta di qualcosa di positivo è ovvio che anche il controvalore ce l’ha. Si tratta banalmente del complementare del valore: se essere onesti è positivo al 70%, vuol dire che essere disonesti lo è al 30%. Quindi anche il controvalore diventa un valore.
La gente cosa fa? In questo relativismo morale ci sguazza e, di volta in volta, a seconda di cosa gli fa comodo, sposta il confine fra controvalore e valore per giustificarsi. La giustificazione è l’arma più potente del relativismo. Non a caso esiste anche una giustificazione universale: semel in anno licet insanire.
Alcuni esempi.
- Tizio ha come valore la famiglia; peccato che poi per una debolezza tradisca la moglie.
- Tizio ha come valore la famiglia; peccato che, a causa dell’importante lavoro, non abbia tempo per amare ed educare i figli.
- Tizio ha come valore un corretto stile di vita; peccato che faccia il tabaccaio e venda quel fumo che tanto condanna.
- Tizio ha come valore la legge; peccato che poi voglia farsi togliere una multa dall’amico che lavora in comune.
- Tizio ha come valore la religione cattolica; peccato che poi sia un neofariseo.
- Tizio ha come valore l’agnosticismo (ateismo), la laicità; peccato che poi mandi il figlio al catechismo.
- Tizio ha come valore la sincerità; peccato che poi, per anni e anni, racconti al figlio favolette sull’uomo nero o su Babbo Natale e la Befana.
Ovviamente, messo alle strette, Tizio inizierà a giustificarsi…

Solo attraverso la coerenza possono esistere valori morali
La strada corretta
Un valore non deve essere negoziabile.
Per molte persone essere buoni al 90% è meglio che esserlo all’80%; essere onesti al 70% è meglio che esserlo al 50% ecc. In realtà è una constatazione che nega il valore: “avere un valore al 90% è come non averlo… magari è qualcosa che ami, magari è qualcosa che diventerà per te un valore, ora non lo è”. (Bocchi).
Per il Personalismo la morale non è assoluta (e ciò consente già una notevole flessibilità), ma deve esserci la coerenza individuale. Coerenza che si esprime attraverso la presenza di valori nella morale individuale; i valori sono entità non negoziabili che soddisfano questi punti:
- Io ritengo X un valore
- Non faccio consapevolmente nulla che sia contrario a X
- Y promuove qualcosa che condanna X
- Non posso ritenere Y positivo.
Non si deve credere che avere valori morali non negoziabili porti a una rigidità, a un’inflessibilità nei propri comportamenti: chi deroga saltuariamente dai valori dichiarati non è più flessibile, è solo più confuso, più casuale nella sua vita. Il grande risultato di chi ha valori è che in genere ha un’ottima autostima, proprio perché quest’ultima si basa sui valori (oltre che, eventualmente, su situazioni esistenziali riconducibili ai propri oggetti d’amore).
La realtà
Infrangere un proprio valore è umano; quando però ciò avviene consapevolmente lo si distrugge. Una persona che ha come valore la bontà può compiere una cattiva azione; se però, anziché riconoscere l’errore, cerca una giustificazione alla cattiva azione, ecco che il valore va in fumo. Senza valori morali la persona cade nel relativismo e ciò porta a una stagnazione della sua qualità della vita e all’incapacità di migliorare significativamente la società (nella direzione che il suo presunto valore voleva indicare).
Prendiamo l’esempio di un politico. Senza valori morali, può gestire decentemente l’area di sua competenza, ma non le farà mai fare un salto di qualità verso il progresso perché i messaggi in controtendenza (valori e controvalori) di fatto tenderanno ad annullarsi. Molti pensano che un valore si distrugga a causa di compromessi con la propria coscienza. Non è proprio così e l’esempio del politico può essere illuminante. Infatti nell’azione politica è normale arrivare a compromessi con gli avversari (che sostengono posizioni magari opposte).
Ciò che distrugge il valore è “agire in direzione opposta”. Si pensi a un pubblico ministero che, in tutta coscienza, è convinto che l’accusato sia colpevole. Le prove però non sono schiaccianti e la difesa può addurre molte attenuanti (pensiamo a un omicidio volontario che viene dipinto semplicemente come colposo). Valutata la situazione, può decidere di arrivare a un patteggiamento (compromesso) che comporti, se non la pena massima, una pena sicuramente significativa. Sarebbe invece da condannare quel pubblico ministero che per ragioni di carriera, su pressioni varie, insabbi o lasci cadere le accuse in un processo difficile da vincere, pur nella convinzione della colpevolezza dell’accusato.