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Timore reverenziale

Il timore reverenziale è un profondo rispetto accompagnato da un senso di soggezione, di solito per chi ha una posizione superiore o un’autorità. Si noti come fondamentale non sia soltanto il rispetto, ma soprattutto la soggezione. Infatti, in molti casi, anche a livello inconscio (come capita in molte sette) il rispetto non è del tutto definito, ma è “amplificato” dalla soggezione.

In linea generale, il timore reverenziale è sempre accompagnato da un’autostima non fortissima oppure da un’autostima non ancora matura. Si noti che perché si possa parlare di timore reverenziale sono necessari due fattori: il rispetto e la soggezione.

Un caso classico è quello dell’adolescente che non capisce più nulla di fronte al suo idolo, ma anche moltissimi adulti non sono immuni dal timore reverenziale che si deve considerare come un minus per la personalità del soggetto, un impedimento a una crescita di un’autostima forte e stabile.

Il timore reverenziale può essere globale: il soggetto è sempre in soggezione di fronte a un qualunque superiore (o presunto tale), è un Fracchia (il celebre personaggio creato da Paolo Villaggio) globale. Oppure il timore reverenziale può essere locale, cioè manifestarsi in un determinato ambito.

Il timore reverenziale fa sì che si tenda ad attribuire autorevolezza a un’entità X (persona fisica o meno) quanto maggiori sono le sue credenziali. Non a caso esistono errori classici come l’argumentum ad baculum (lo ha detto chi comanda, quindi è vero) o l’argumentum ad verecundiam (X lo dice anche Tizio, quindi X è vero); l’ultimo errore viene sfruttato per esempio in pubblicità (con l’uso dei testimonial), nella scienza (la ricerca X è stata pubblicata sulla rivista Y; “me lo ha detto il medico!”), nell’informazione (“l’ho letto sul giornale X”), in politica o in religione (“L’ha detto il papa!”). Tutti gli errori appena descritti sottintendono che l’autorevolezza è condizione sufficiente per l’affidabilità. Questo grossolano errore facilita enormemente la disinformazione.

In realtà, l’autorevolezza non dovrebbe essere un parametro indipendente; infatti:

l’affidabilità è condizione necessaria all’autorevolezza.

In altri termini, chi non è affidabile perde ogni autorevolezza, quali che siano le sue credenziali di partenza.

Il timore reverenziale nel diritto

Il codice civile tratta del problema nell’art. 1434: il solo timore riverenziale non è causa di annullamento del contratto.

Il legislatore ha sottolineato il fatto che il problema nasce da motivi psicologici del soggetto e manca un’intimidazione. Se il soggetto verso cui si nutre il timore reverenziale minaccia di approfittare della propria posizione, si passa alla “violenza”.

Ritornando al movimento Me Too, da un punto di vista legale per condannare il regista che molesta un’attrice (o aspirante tale) deve esserci una richiesta esplicita (“se non vieni a letto con me non ti do la parte) e deve essere provata la soggezione della donna al momento della richiesta (altrimenti, se non c’è soggezione, e la richiesta è continuata, il reato è di “molestie”).

Timore reverenziale nella finanza

Vedasi il sottocapitolo nell’articolo sulla finanza comportamentale.

Il timore reverenziale nella famiglia

Il nucleo dove si manifesta per la prima volta il timore reverenziale è la famiglia con la soggezione del bambino verso i genitori. Crescendo, si dovrebbe attuare il distacco, ma per molti motivi (non ultimi condizionamenti religiosi e/o sociali: onora il padre e la madre), spesso il timore reverenziale resta anche da adulto e i genitori, anziché semplicemente consigliare, continuano a influenzare la vita dei figli, questi ultimi incapaci di reagire a “ordini” più o meno espliciti.

Il timore reverenziale è tipico anche della coppia dove non c’è equilibrio; spesso è la donna (con una personalità insufficiente) a mostrare un timore reverenziale nei confronti dell’uomo, amato, ma anche temuto. Una condizione molto negativa che in casi estremi può portare a drammi come il femminicidio.

Timore reverenziale

Il timore reverenziale nel lavoro

Già nel mondo della scuola si incontrano “superiori”, ma spesso lo spirito di gruppo fra i ragazzi mitiga il timore reverenziale verso gli insegnanti. Nel mondo del lavoro, quando il soggetto resta spesso solo di fronte al superiore, ecco che il timore reverenziale può manifestarsi in modo evidente e costante. Il soggetto che ne è affetto può essere un debole o semplicemente un sopravvivente (teme per il posto di lavoro, non vuole grane ecc.); per capire la differenza fra questi due “correnti” si pensi al movimento Me Too, diventato celebre nel 2017 (in realtà la locuzione inglese nel contesto attuale è stata usata per la prima volta nel 2006 da Tarana Burke) per aver denunciato le molestie sessuali nel mondo del cinema. Alcune attrici (come la nostra Ornella Muti o la francese Catherine Deneuve) si mostrarono perplesse nei confronti del movimento, soprattutto evidenziando la tardività delle denunce (in alcuni casi i fatti risalivano a oltre dieci anni prima). In realtà, le due anime del movimento spiegano le due correnti del timore reverenziale nel mondo del lavoro: il debole non denuncia per reale incapacità di opporsi al potente; il sopravvivente non denuncia per opportunismo, preferendo la soggezione al potere per averne qualcosa in cambio. Si potrebbe obiettare che non esista rispetto, ma solo soggezione; in realtà la forma di rispetto si manifesta con atteggiamenti esteriori che comunque gratificano il “superiore”.

Il timore reverenziale nella religione

Nella religione il timore reverenziale si manifesta con l’assenza di ogni analisi critica: sono nato in una famiglia cattolica, devo essere cattolico. Poiché le religioni sono tante, ma pochissime le conversioni fra quelle principali, è evidente il condizionamento subito dall’ambiente circostante.

La religione stessa spesso amplifica il timore reverenziale, proponendo un Dio che può castigare chi non lo segue. Nella religione cattolica il timore di Dio è addirittura uno dei doni dello Spirito Santo, per cui vengono infusi negli uomini riverenza e pietà filiale verso Dio. Nel Vecchio Testamento (Ebrei, 10:26-27) si dice: Perché, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non resta più alcun sacrificio per i peccati; rimangono una terribile attesa del giudizio e l’ardor d’un fuoco che divorerà gli avversari. Dio può essere un padre-padrone, incapace di perdonare (vedasi peccato originale che dai padri ricade sui figli).

Come detto, il timore reverenziale di natura religiosa nasce da un’assenza di spirito critico; il soggetto:

  1. Accetta la sua religione anche se sa che ne esistono altre comunque “credibili”; la cosa è ancora più evidente per il popolo ebraico, 13 milioni in tutto il mondo. Dovrebbero essere il popolo eletto da Dio per “testimoniare l’esistenza di Dio” agli altri popoli, ma, senza cadere in una fallacia ad numerum, possibile che il loro basso numero non li induca a indagare la bontà della loro fede?
  2. Accetta regole alimentari e sessuali vecchie di millenni. Nel caso degli ebrei siamo rimasti a oltre 2.000 anni fa; come pensare che la parola di Dio sia così antiquata?
  3. Non accetta che Dio possa non essere buono; vedasi il paradosso di Buechner.
  4. Accetta che si autoghettizzi in una comunità, una brutta parola che di fatto è una forma di anti-integrazione: comunità ebraica, comunità islamica, comunità cattolica ecc. All’interno della comunità nelle frange più conservatrici della religione ci sono gerarchie (anziano vs. giovane, uomo vs. donna) che sono difficili da accettare per una persona moderna.
  5. Accetta tutti i punti precedenti per la paura del dolore e della morte: nella coscienza dei soggetti più poveri di spirito critico si forma la convinzione che debba esserci qualcuno, lo sciamano, che possa aiutarli nei momenti di difficoltà.

 

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