Il tifo sportivo è un indicatore esistenziale importantissimo. Infatti non è direttamente correlato con la pratica sportiva e con l’amore per lo sport, ma piuttosto è una complessa interazione fra la psicologia del singolo e alcuni aspetti della società. Chiariamo subito cosa si intende per tifo. Come indica la parola, si tratta di un comportamento abnorme, diverso dal semplice parteggiare per questo o per quello. Dall’etimologia greca della parola, tifo richiama una “febbre”, un sostegno entusiastico per una squadra o un personaggio. Non a caso tutto ciò che diremo sul tifo sportivo vale anche per il tifo extrasportivo, per esempio l’adorazione di un adolescente per il suo cantante preferito. Esiste però una notevole differenza perché il tifo sportivo è legato all’agonismo dello sport considerato e quindi anche a situazioni spiacevoli e negative (per esempio la sconfitta). Cosa c’è di poco “normale” nel tifo sportivo, cosa lo distingue dal semplice parteggiare (tipico del vero sportivo, dello “spettatore”)?
Il tifo sportivo è la situazione in cui l’umore del soggetto dipende dal risultato agonistico.
A differenza del tifoso, l’umore dello spettatore non dipende dal risultato, è libero di guardarsi (gustarsi) l’evento sportivo. Molti tifosi addirittura condannano questo atteggiamento distaccato senza capire che la loro condanna in realtà li accusa di un comportamento non equilibrato.
A differenza del tifoso, lo spettatore non ha ferite aperte che sanguinano sempre, ogniqualvolta ricorda la coppa persa negli ultimi minuti, lo scudetto perso all’ultima partita o il mondiale sfumato all’ultimo rigore. A differenza del tifoso, tiene separata la sua vita da quella della squadra e non identifica mai, in nessun istante, il suo umore con la prestazione sportiva. A differenza del tifoso, non considera un segno distintivo soffrire quando la squadra perde perché lui ha anche altro nella vita.
Sport e tifo sportivo
Dalla definizione precedente risulta chiaro che quando si parla di tifo non ci si riferisce solo a quello dell’ultrà, ma anche a quello di tutti coloro il cui stato emotivo dipende dal risultato agonistico, per esempio si è adirati perché l’arbitro ha “rubato” la partita o si è immensamente felici perché si è “vinto” lo scudetto o distrutti perché lo si è perso all’ultimo minuto.
Il tifo sportivo è tanto più diffuso fra gli spettatori di un determinato sport:
- quanto meno lo sport è oggettivo
- quanto più lo sport è di squadra (vs. individuale).
Il punto a) è ben rappresentato per esempio dal calcio vs. l’atletica leggera.
Infatti la fortuna del calcio è nella sua scarsa oggettività. Nessuno, se non personalmente coinvolto, si può scaldare oltre misura per sport dove “tutto è chiaro” e chi vince “merita di vincere”. Il grande carrozzone del calcio è stato mantenuto in piedi proprio dalla sua scarsa oggettività nella quale si perdono i tifosi, arrivando a livelli di coinvolgimento esagerati.
Il calcio è cioè poco oggettivo perché serve così (si pensi per esempio alla difficoltà di usare la tecnologia per correggere gli errori arbitrali). Uno sport dove l’ultima in classifica può battere la prima è in grado di scatenare infinite discussioni che a loro volta aumentano il coinvolgimento dei tifosi.
Esistono sport intermedi (per esempio l’automobilismo) in cui il grado di oggettività è discreto, ma non eccelso (un motore può sempre fondere!) fino ad arrivare a sport molto oggettivi (come l’atletica leggera).
Per capire il punto b) è necessario ampliare il concetto di “squadra”. Se è a tutti chiaro che in sport come il calcio o il basket il tifoso può identificarsi con la squadra (“abbiamo vinto”), non è del tutto immediato (e sembrerebbe contraddire il punto b) come in sport come ciclismo o automobilismo ci possa essere un grande tifo per questo o quel campione. Tralasciando campanilismi (il campione è del paese del tifoso!), di solito nello sport individuale il tifoso costruisce comunque una sua “squadra” di cui entra a far parte. Così la Ferrari è la squadra del cuore e, se vince il suo pilota, si grida comunque “(abbiamo vinto”); nel ciclismo la squadra si crea quando un campione si oppone a un altro (o al resto del mondo!), creando una specie di partito (storici i bartaliani contro i coppiani): va da sé che il processo non è del tutto automatico come per gli sport di squadra. Senza una “squadra” il tifoso non può esultare con un “abbiamo vinto”.

Il tifo sportivo è la situazione in cui l’umore del soggetto dipende dal risultato agonistico
Il tifoso
Il punto centrale attorno a cui ruota tutto è il tifoso, quest’essere dalle mille facce, ma con un unico destino: quello di pendere con grande pericolo verso la popolazione dei sopravviventi. Non ci si riferisce agli ultrà (peraltro degenerazione del tifoso, basta sommarvi una personalità violenta e un’assenza di cultura), ma al vero tifoso, magari corretto, ma emotivamente molto coinvolto.
- Razionalmente si dovrebbe comprendere che: È assurdo spersonalizzarsi in una squadra, illudendosi di farvi parte. Chi vince lo scudetto sono i giocatori, l’allenatore, la società; chi prende i soldi sono i giocatori, l’allenatore, la società. Come è patetica la frase “abbiamo vinto!”! Che hai vinto, tifoso? Il giocatore si becca un contratto milionario e si compra la Porsche, e tu? Sempre in giro con il solito catorcio d’auto o, se ti va bene e sei benestante, sempre impegnato quindici ore al giorno nel lavoro che tutto sommato ti pesa da morire dal quale evadi solo grazie alla tua squadra del cuore.
- Da un punto di vista generale, il domandone che boccia il tifo è: come può una persona equilibrata lasciare il proprio umore nelle mani di undici ragazzi in mutande? Sì, perché essere abbacchiati dopo aver perso uno scudetto all’ultima partita o una finale di Coppa dei Campioni negli ultimi minuti è una vera e propria dipendenza. Far dipendere il proprio stato umorale (felice/depresso) da quello che è successo sul campo è completamente illogico e preoccupante. Il calcio diventa una droga che lenisce dolori più profondi senza che ci sia vero amore perché l’amore prescinde dalla dipendenza.
Tifo sportivo: il perché
Il tifo sportivo è un indicatore esistenziale di sopravvivenza. Il soggetto (che magari ha una vita comunque soddisfacente, ma non eccelsa) non ha oggetti d’amore che riempiono (completamente) la sua vita e per provare emozioni positive si rivolge ad altro.
Si noti come il tifo non sia un’espressione di un oggetto d’amore perché gli oggetti d’amore non portano con sé emozioni negative. Il tifo è molto più vicino all’amore romantico in cui è “naturale” soffrire per amore: il tifoso, infatti, giudica normale “soffrire” per la propria squadra.
Il tifoso arriva a mentire a sé stesso e si convince di aver partecipato a qualcosa di grande, di aver vissuto un grande dramma o un grande sogno ecc. Può disperarsi e pateticamente prendersi la testa fra le mani al fischio finale oppure gioire e strombazzare per tutta la notte per una “grande” vittoria. Esce per un momento dalla sua mediocrità e/o dalle sue insoddisfazioni esistenziali.
Il tifo non è che un modo di vivere di luce riflessa, il tifoso sembra incapace di vivere di luce propria. Una ricerca inglese mostra chiaramente che le violenze domestiche aumentano quando perde la squadra del cuore, ma non è difficile trovare attorno a noi soggetti che diventano “intrattabili” quando la loro squadra è stata sconfitta.
Questa descrizione può apparire molto dura e punitiva, ma serve per sottolineare l’enorme differenza fra chi tifa (da esterno all’evento) e chi partecipa da protagonista a ciò che ama. Il tifoso si difenderà sottolineando le emozioni positive, il grado di socializzazione con gli altri tifosi ecc. Tutto vero, ma non potrà mai nascondere le negatività. Un esempio. Tutti comprendono che, se Tizio ha un matrimonio da 10 e Caio da 7, Tizio sta meglio di Caio. Così consideriamo un gruppo di amici che socializza perché va ai concerti rock che ama moltissimo. A differenza del gruppo di “tifosi”, non ci sono delusioni, amarezze, rabbia (per la partita “rubata”) ecc. È innegabile che entrambi socializzino, ma la soluzione dei rockettari non ha ombre. Per questo la scelta del tifoso è da sopravvivente, perché non dà le migliori garanzie esistenziali. Non fa certo male provare emozioni, ma chi vuole vivere al massimo sceglie oggetti d’amore che minimizzano le emozioni negative, proprio come chi si sceglie un partner, se è intelligente, se lo sceglie in modo da avere meno problemi.

Le squdre italiane di calcio con il maggior numero di tifosi sono la Juventus, l’Inter e il Milan
Tifo e società
Per tenerlo buono, gli imperatori romani davano al popolo panem et circenses; oggi che si dà alla popolazione? Facile: realites et calcium…Cioè Grande Fratello e calcio. Paradossalmente il sopravvivente riceve emozioni positive (oltre a quelle negative) che gli danno quel torpore sufficiente a non lamentarsi troppo di una vita che potrebbe essere migliore. Non a caso, i capi di Stato seguono personalmente gli eventi in cui sono coinvolti masse di tifosi, mentre mai seguirebbero manifestazioni sportive importanti, ma più “asettiche”.
Il test
Olimpiadi di Londra, maratona. Sono davanti al televisore quando Fantozzi, la nuova star italiana della maratona, entra nello stadio. Esulto con lui, ma a cento metri dal traguardo Fantozzi stramazza al suolo, strisciando faticosamente verso l’arrivo. Purtroppo è superato da tanti concorrenti e scende dal podio. Peccato. Spengo la tv, mi metto la maglietta e vado a correre, felice di assaporare una giornata di sole. Sono equilibrato perché vivo la mia vita.
Stessa scena, ma Fantozzi non crolla e vince a braccia alzate. Prendo la bandiera dell’Italia e mi lancio in macchina verso il centro della città, suonando il clacson fino a esaurirlo e sventolando l’italico vessillo al di fuori del finestrino completamente aperto. A un ingorgo un’anziana signora mi chiede cosa sia successo; con gli occhi gonfi di lacrime, grido: “Ho vinto la maratona di Londra, ho vinto!”. Persona equilibrata? Lascio a voi l’aggettivo.