Con suicidio si indica l’atto di togliersi volontariamente la vita; il termine è stato formato per analogia con la parola homicidium (omicidio) ed è composto da sui, genitivo del pronome riflessivo, e da cidio, da caedere, uccidere).
Molto spesso il fenomeno viene correlato, un po’ sbrigativamente, soprattutto alle patologie mentali, in realtà le cose sono un po’ più complesse. I dati di una recente ricerca Istat, che ha fornito una prima analisi descrittiva della co-morbosità associata al suicidio, prende in esame tutti i casi di suicidio nel triennio 2011-2013 e, a partire dal certificato di morte, individua le indicazioni della presenza di una malattia importante (fisica o mentale). Lo studio evidenzia che solo il 13% è affetto da patologie mentali (soprattutto ansia o depressione), mentre il 5,7% ha una malattia fisica. Nessuna patologia riscontrata in oltre l’80% dei suicidi. Il 21,8% sono donne, il resto uomini.
La percentuale delle malattie mentali sale nelle donne, in particolar modo nella classe di età 35-64 anni (23% rispetto al 12% degli uomini) e in quella 65 e oltre (20% contro il 10%).
L’ambiente domestico è il luogo in cui si registrano maggiori casi di suicidio, soprattutto al Nord e Centro. Questo dato è più elevato (57%) nel caso di suicidio associato a una malattia mentale. Il 30% dei suicidi in presenza di malattie fisiche avviene invece in istituti sanitari.
Le cause di suicidio sono le più disparate: grave depressione e/o importanti disturbi mentali di tipo psicotico, particolari situazioni esistenziali, gravi problemi di carattere economico, delusioni amorose, bullismo, mobbing familiare, problemi di salute ecc.
La percentuale nella popolazione
In base ai dati più recenti disponibili, si stima che annualmente circa un milione di persone perdano la vita a causa del suicidio; si ritiene anche che il numero di tentati suicidi oscilli tra i 10-20 milioni (il tentato suicido è un atto di autolesionismo caratterizzato dal desiderio di terminare la propria vita, ma che non si traduce nella morte).
L’OMS considera il suicidio la dodicesima causa di morte nel mondo e, basandosi sui dati attualmente disponibili e sulle analisi dei tassi di morte per suicidio a livello mondiale, si calcola che il numero di morti per suicidio potrebbe arrivare nel 2020 a un milione e mezzo.
Nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni, il suicidio è, nella stragrande maggioranza dei Paesi, tra le prime tre cause di morte. Anni addietro il suicidio era un atto che riguardava prevalentemente le persone anziane, ma attualmente, in molti Paesi, il fenomeno riguarda soprattutto i più giovani.
Negli ultimi anni i tassi di suicidio hanno mostrato una preoccupante tendenza all’aumento; in un passato non troppo lontano, i maggiori tassi di suicidio si registravano nei Paesi scandinavi e in Ungheria, ma negli ultimi anni, i tassi più elevati sono relativi a quegli Stati che appartenevano all’ex Unione Sovietica. Anche nei Paesi asiatici i tassi di suicidio sono rilevanti, mentre sono piuttosto bassi nei Paesi dell’America latina.
Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo i dati più recenti disponibili sono oltre 4.000 le persone (prevalentemente si tratta di uomini adulti) che ogni anno decidono, e riescono, a togliersi la vita. L’Italia si colloca tra i Paesi con i più bassi livelli di suicidalità sia a livello mondiale che europeo.
Suicidio: i metodi
Le modalità di suicidio più frequenti sono
- impiccagione e soffocamento (52,1%) per quanto riguarda gli uomini
- precipitazione (35,1%) e impiccagione e soffocamento (33,4%) per quanto concerne le donne.
Suicidio assistito
La locuzione suicidio assistito fa riferimento alla situazione in cui un soggetto aiuta un’altra persona, fornendole consulenza o mezzi, a porre fine alla propria vita.
Il suicidio assistito dovrebbe essere riservato solo a malati terminali o comunque a soggetti la cui qualità della vita è decisamente bassa, senza che la scienza medica possa ragionevolmente a breve trovare una soluzione. Per tale forma di suicidio si rimanda all’articolo Suicidio assistito.
Suicidio indolore
Tralasciando il caso in cui il suicidio indolore si riferisca a quello assistito, curiosamente, molte persone che pensano al suicidio vorrebbero attuarlo in modo indolore, quasi che, più che la morte, siano incapaci di reagire a ogni forma di dolore che la vita riserva.
Suicidio: valutazione morale ed esistenziale
Le visioni moderne della vita non condannano sul piano morale il suicidio (ognuno deve essere libero, “anche” di suicidarsi) di una persona in cui esiste una probabilità oggettiva non minima di tornare a una qualità della vita sufficiente. Si parla quindi di persone sufficientemtne sane e libere. La valutazione in termini negativi può essere quella esistenziale.
Chi si suicida non è certo felice e quindi “sente” di aver fallito la sua vita. Il dire “è l’unica soluzione possibile” in realtà è sempre un errore, visto che, logicamente, non è una soluzione, ma una fuga dai problemi, veri o reali che siano. E la strategia di fuga non può essere certo definita “buona”.
Analizziamo le personalità coinvolte nel problema suicidio.
- Gli svogliati vi arrivano per noia.
- L’inibito per un estremo senso di vergogna.
- Il mistico per motivi religiosi.
- Il debole per l’incapacità (mancanza di forza) di uscire da una situazione che lo schiaccia.
- Il fobico perché ha ingigantito tanto le sue paure che non sopporta più l’angoscia susseguente.
- Il dissoluto come reazione al piacere che non riesce più ad avere.
- Il sopravvivente per l’autocoscienza esagerata del senso di fallimento della sua vita.
- L’insufficiente per la perdita del suo “bastone” esistenziale.
- Il violento come autopunizione.
- Il patosensibile per una sofferenza comune con chi non c’è più.
- Il romantico per la perdita dell’idea dominante la sua vita (amore, patria, lavoro ecc.).
- L’insoddisfatto per un’esasperazione della sua insoddisfazione che è diventata totale.
- L’apparente perché non riesce più ad apparire.
- Il vecchio perché “non vuole vivere da vecchio”.
Sfuggono a questa analisi l’irrazionale, l’indeciso, lo statico, il semplicistico e il contemplativo, personalità di per sé più lontane dal suicidio (a meno che ovviamente non esistano nel soggetto componenti sensibili delle altre personalità).
Parlare a un aspirante suicida
Alcune persone ritengono che si debba impedire il suicidio, a ogni costo; altre, all’opposto, che si debbano condannare i salvatori come impiccioni limitatori dell’altrui libertà.
Come giudicare i salvatori? Da una mail:
Spesso nei fatti di cronaca si legge di qualcuno (un familiare, un amico, un passante, un poliziotto ecc.) che sventa un suicidio, magari dopo una lunga opera di “lavaggio del cervello” o con un colpo a effetto alla Rambo. Mi chiedo: ma tutto questo ha senso? È corretto idealizzarlo quasi fosse un eroe? Che ne sa il “salvatore” dei problemi del suicida? Perché far vivere una persona a tutti costi?
Non certo condannarli senza appello. Una persona può avere il diritto di suicidarsi, ma nessuno può toglierci il diritto di spiegarle che è sbagliato. Per analogia, una persona ha diritto di essere in forte sovrappeso, ma nessuno può toglierci il diritto di dirle che sta sbagliando.
I falsi suicidi – Molti “falsi suicidi” poi usano la strategia del ricatto (descritta in La felicità è possibile), il tentativo di suicidio per essere ascoltati, amati, compresi ecc. In alcuni casi non è facile capire quando l’aspirante suicida è reale (fa sul serio) o è falso; è più facile quando l’esecuzione della minaccia non è imminente (il soggetto non arriverà alle estreme conseguenze) perché il dialogo può essere più articolato e soprattutto c’è la possibilità di far capire che la strategia del ricatto non può funzionare.
I veri suicidi – Parlare a un aspirante suicida che sta per mettere in atto il suo progetto è un compito molto difficile che richiede una grande capacità di interagire con il soggetto; non basta una grande professionalità in campo psicologico, ma è necessaria anche una notevole rapidità di capire la situazione e la persona che ci sta davanti. anzi, questa è la qualità più importante perché può far scegliere fra varie strategie tendenti a far capire che:
- il suicido può essere differito alla ricerca di un aiuto/soluzione migliori
- il suicidio renderà infelici persone che l’aspirante ama (ovvio che questo è per esempio un boomerang se non si è certi che ci sia qualcuno nel mondo dell’amore dell’aspirante)
- una soluzione esiste, basta fare scelte differenti
- il “problema” alla base della decisione può essere risolto senza il gesto estremo (e si espone la “soluzione”) ecc.
Un’associazione che può aiutare chi non vuole provare più a vivere.

Una persona può avere il diritto di suicidarsi, ma nessuno può toglierci il diritto di spiegarle che è sbagliato