La strategia della cooperativa è molto diffusa in quegli ambienti che si rifanno a una visione della società dove il gruppo si prende carico dei problemi del singolo, in base al ben noto adagio secondo il quale “l’unione fa la forza”.
Il gruppo può essere variamente rappresentato: famiglia, parenti, amici, vicini, compaesani ecc. L’appartenente al gruppo ha sia diritti sia doveri; nelle degenerazioni della strategia esiste una gerarchia (come nelle sette o nella mafia), mentre nelle versioni non criminali esiste una sostanziale parità e gli eventuali privilegi sono legati, più che al singolo stesso, alla sua condizione (bambino, vecchio, donna ecc.).
È sicuramente una strategia antiquata e si ritrova soprattutto in realtà particolarmente orientate alla tradizione. Se giustificata in un mondo dove il singolo era spesso impotente di fronte a gravi problemi, diventa sempre meno valida e oggi è sicuramente causa di un peggioramento della qualità della vita. Di fatto le attività di gestione (in questo caso sono rappresentati dai problemi degli altri) finiscono per riempire gran parte della vita del singolo che così diventa un mezzo asservito al funzionamento del gruppo. Il Personalismo non dà un giudizio favorevole di questa strategia per il semplice fatto che è contraria a uno dei suoi principi cardine: l’autosufficienza.
Oltre al fatto che la strategia promuove un concetto negativo (è “normale” che il singolo non sia autosufficiente), è pure penalizzante per una semplice ragione statistica. Il punto è che, mediamente, la popolazione è poco equilibrata e convive con problemi spesso mal gestiti, non previsti o non necessari. Si comprende quindi come il componente equilibrato “ci perda” a entrare nel gruppo e spenda troppo tempo nel risolvere i “normali” problemi quotidiani: portare la suocera dal dentista, tagliare l’erba alla zia, aiutare il figlio dell’amico/a in una materia dove è carente ecc. Non solo, ma la strategia impedisce anche al singolo di prendere coscienza della sua vita e di aumentare il suo grado di autosufficienza perché, alla fine, anch’egli riterrà normale delegare parte dei suoi problemi ad altri componenti del gruppo. Così facendo, si predispone a scelte di vita nelle quali è “normale” sopravvivere…
La strategia della cooperativa è tipica della personalità insufficiente, ma viene spesso usata anche da deboli, violenti (nell’ambito della criminalità), mistici, patosensibili, sopravviventi, vecchi. Tranne che nel caso dei violenti (ove la strategia è asservita al bene comune o al capo) e dei deboli, il motivo è sempre una scarsa autosufficienza, una mancanza di forza nel sapere risolvere i propri problemi, nel ritenere (come nei vecchi, nei mistici o nei patosensibili) normale e moralmente positivo aiutarsi l’un l’altro il più spesso possibile (non a caso chi all’interno del gruppo è veramente autosufficiente rischia di essere soffocato secondo il vecchio adagio manzoniano “volete aver molti in aiuto? Cercate di non averne bisogno!”). Nel debole invece la strategia è spesso subita in quanto componente il gruppo: “vorrebbe non sprecare quella giornata, ma non può!”. Le pressioni, anche indirette o inconsce, sono talmente forti che diventa abituale spendere gran parte del proprio tempo in attività di supporto al gruppo.
La mondanità
La strategia della cooperativa ha anche una faccia positiva. Come si partecipa ai problemi del gruppo, così si vive la vita sociale del gruppo: feste, incontri, anniversari ecc. La versione popolare della mondanità della nobiltà di una volta o attualmente delle categorie più facoltose.
Sicuramente può esserci un piacere esistenziale nel vivere la mondanità del gruppo, ma il più delle volte ci si assuefà velocemente a tale piacere e solo i soggetti che non hanno veri e propri oggetti d’amore continuano a vedere la mondanità come un fatto positivo.
A molti sarà capitato di non essere particolarmente contenti di partecipare a un matrimonio o a una festa, a riprova che “c’è di meglio da fare”. Eppure “si deve”, una specie di quota sociale per appartenere al gruppo. Quando gli impegni mondani diventano troppo frequenti, ecco che la persona soffoca e si limita a sopravvivere nel gruppo.
La strategia è negativa perché raramente il singolo è protagonista, il più delle volte è comprimario, una specie di comparsa dell’esistenza.
Era questa la sensazione che provavo molti anni fa quando i miei genitori mi portavano alla festa del paese, dove tutti i parenti e gli amici si incontravano in una ricorrenza che per me sapeva troppo d’antico. Appena fui sufficientemente grande, con grande dispiacere di mia madre, preferii le partite di pallone con i miei amici, dove, fino a sera, non ero una comparsa con un gelato in mano, ma ero un protagonista che viveva ciò che voleva.
Come test, provate a chiedervi: quanti week-end all’anno sono impegnati dalla strategia della cooperativa?