La solitudine è un problema che tocca drammaticamente milioni di persone. La solitudine può essere banalmente definita come “assenza di compagnia”. Questa semplice definizione fa subito comprendere che
la solitudine in sé non può essere considerata un fattore penalizzante.
Non a caso, un celebre proverbio ci suggerisce che è meglio essere soli che male accompagnati. Ciò è però di scarso conforto per tutte quelle persone che, schiacciate dalla solitudine, farebbero qualunque cosa per avere un qualche rapporto umano. Si tratta quindi di capire quando la solitudine è realmente un handicap alla qualità della vita e quando invece è il soggetto che non sa gestirla, ingigantendone gli aspetti negativi senza fruire di quelli positivi.
Sì, perché come lo stress (classicamente distinto in distress, ovvero “stress negativo”, ed eustress, ovvero “stress positivo”), la solitudine può anche essere positiva, tanto che a volte è ricercata.
Per fare chiarezza è necessario capire il rapporto che esiste fra gli oggetti d’amore e i rapporti personali positivi:
un rapporto personale positivo amplifica gli oggetti d’amore.
Per chiarire ulteriormente occorre distinguere fra compagnia e amicizia. Nel primo caso rientrano tutti quei rapporti in cui non c’è uno scambio nettamente positivo, ma ci si limita a considerare la vicinanza umana; nel secondo rientrano le amicizie parziali e quelle totali (quindi anche le relazioni affettive in cui all’amicizia, a vari livelli, si unisce la componente sessuale) in cui il bilancio è oggettivamente positivo. In quest’ultima frase il termine oggettivamente è fondamentale perché il soggetto potrebbe essere così disperato da preferire una compagnia devastante piuttosto che la solitudine: in campo sentimentale è quella situazione che dà origine alla strategia dell’ultima spiaggia. Definiti pertanto tre stati ovvero solitudine, compagnia e amicizia, possiamo dire che:
- avere amici amplifica gli oggetti d’amore
- avere amici è una condizione facilitante per la qualità della vita
- la solitudine negativa è lo stato di chi non sta vivendo oggetti d’amore
- la solitudine negativa non si vince con la compagnia (strategia dell’ultima spiaggia generalizzata).
Una visione moderna
I condizionamenti sulla solitudine sono fortissimi e derivano da un errore razionale molto comune nella popolazione, confondere una condizione facilitante per una necessaria: così la ricchezza è fondamentale per essere felici, avere un partner altrettanto, fino ad arrivare alla “necessità di non essere soli”. Se il condizionamento è recepito in maniera totalmente acritica può avere effetti devastanti.
Un aneddoto chiarirà perché tale visione deve essere modernamente superata.
L’episodio mi è stato riferito da un amico scacchista ed è avvenuto in Veneto nel 1976 durante un torneo piuttosto importante: un maestro internazionale era seduto al tavolo di un caffè e stava analizzando la sua partita con la scacchierina portatile; improvvisamente una scossa di terremoto (quello che devastò il Friuli) seminò il panico nella piazzetta, provocando un fuggi fuggi generale. L’unico che non si spostò fu il nostro maestro che continuò nella sua analisi, vanamente richiamato dai suoi amici. Il suo amore per gli scacchi era tale che nemmeno un terremoto poteva distoglierlo.
È abbastanza evidente che il nostro scacchista, quando analizza, che sia solo o no, che ci sia un terremoto o no, poco importa. Quando noi abbiamo qualcosa da amare siamo già in compagnia di un amico. Questo è l’insegnamento del punto 3. È immediato notare che molte persone single che hanno una vita molto intensa, riempita dal lavoro e/o da hobby cui tengono molto non soffrono affatto la solitudine. Nella 3, la nuova definizione combacia con quella classica se l’oggetto d’amore è una persona, ma è profondamente diversa perché consente di svincolarsi dalla necessità del rapporto umano.
D’altro canto, molti soggetti, pur avendo la compagnia di altre persone, si sentono soli e sono la dimostrazione più convincente del punto 4. Dovrebbe quindi essere abbastanza evidente che la relazione con altri simili non basta a lenire completamente il senso di solitudine che l’individuo può provare.
Rapporti difficili? – Un errore da non fare è scambiare automaticamente la difficoltà di avere buoni rapporti con persone del nostro mondo neutro con l’assenza di amici. Sul lavoro o nei rapporti occasionali potremmo essere delle frane, ma nel nostro mondo dell’amore potremmo avere amici fantastici. Ciò significa semplicemente che l’ambiente neutro non è molto adatto alla nostra personalità. Più complesso il caso in cui alla base dell’assenza di amici esiste spesso una cattiva gestione di quel mondo neutro che è costituito dalla gran parte dei nostri simili. L’importanza del contatto con il mondo neutro è rilevata dal fatto che
molte persone del nostro mondo dell’amore appartenevano al mondo neutro.
Si pensi al nostro partner o ai nostri più cari amici. Quindi:
una gestione disastrosa del mondo neutro comporta spesso un mondo dell’amore piuttosto vuoto.
Ma ciò, ripetiamo, non è automatico.
Solitudine e personalità
Sembrerebbe quindi che la strategia antisolitudine sia quella di avere oggetti d’amore che riempiano la nostra vita. Ed è così. Il vero problema all’attuazione della strategia è che spesso per avere molti oggetti d’amore, per essere avidi di vita, occorre avere una grande capacità d’amare.
Un soggetto che ha un solo oggetto d’amore, presumibilmente avrà degli spazi delle sue giornate in cui sarà (si sentirà) solo (in senso classico). Chi ha una personalità equilibrata sarà naturalmente portato verso altri oggetti d’amore che riempiranno la sua vita, chi non ce l’ha, o non l’ha ancora perfezionata, troverà ostacoli in questo processo che gli impediranno di non vivere negativamente la solitudine.
Gli svogliati – Il loro grande problema è che, avendo una scarsa forza di volontà anevrotica, non sono in grado di costruirsi oggetti d’amore perché raramente superano lo scoglio della fatica della conoscenza dell’oggetto; non avendo la forza di investire risorse verso ciò che potrebbero amare, hanno coinvolgimenti superficiali e quindi inutili.
Gli inibiti e i mistici – La loro solitudine è complicata dai loro dogmi, ma spesso sono in grado di vivere in modo talmente intenso il dogma (come fa per esempio l’eremita) da non avvertirla.
I deboli e i patosensibili sono troppo inclini a scambiare la compagnia per amicizia, salvo poi avvertire una profonda solitudine interiore quando la superficialità del rapporto viene a galla.
I violenti rovinano molti rapporti umani perché la loro violenza non criminale esplode con difetti molto gravi come, per esempio, la gelosia e la superbia.
Gli apparenti hanno come scoglio principale la vanità e ciò li rende spesso poco attraenti agli occhi degli altri.
I sopravviventi – Poiché non riescono ad andare a fondo dei loro oggetti d’amore, questi ultimi sono in grado solo di limitare, ma non rimuovere, le sensazioni spiacevoli collegate alla solitudine.

La solitudine è un problema che tocca drammaticamente milioni di persone
I romantici – Avvertono in modo particolare l’oppressione della solitudine perché idee classicamente romantiche sono l’amore (o in subordine la vera e profonda amicizia) o la famiglia che sono visti come condizioni necessarie alla felicità. La solitudine diventa il marker esistenziale che mette in luce il fallimento del tentativo di realizzare tali idee. Non a caso, spesso, il romantico risolve (male) il problema della solitudine con la strategia dell’ultima spiaggia.
I romantici, con insofferenti e insoddisfatti, sono anche troppo esigenti: molto disponibili con tutti, non appena avvertono un difetto nella controparte, scattano il rifiuto e la solitudine di rimbalzo, quest’ultima spesso vissuta come delusione di un rapporto mancato.
Va da sé che poi sentimenti trasversali come l’invidia possano facilitare molto la solitudine.
Poiché tali difficoltà aumentano con l’invecchiamento del soggetto (molte persone rimpiangono i tempi dell’adolescenza o della scuola in cui era molto facile avere amici e la solitudine era una parola quasi sconosciuta), si può ritenere che, se non si corre ai ripari, sia naturale evolvere verso la solitudine dei vecchi. Infatti i vecchi sono soli soprattutto perché non riescono più a gestire bene i rapporti umani (a differenza degli anziani); studiando il loro tipo di solitudine e adattandolo a tutte le età, si scopre che tratti comuni sono:
- la valutazione discreta; le persone vengono scisse fra positive e negative, senza toni intermedi e l’universo di quelle positive si restringe sempre più, spesso rimanendo confinato ai soli familiari. L’universo negativo è rifiutato e i contatti con esso sono decisamente limitati.
- La gestione passiva. Non esiste nessun tentativo di gestire l’universo positivo che così può interagire con noi solo se è propositivo. In altri termini, si pretende che la montagna venga sempre da Maometto.
Ribaltando i due punti precedenti, si scopre che la strategia corretta per ottimi rapporti umani si basa su:
- una valutazione continua delle persone. In ogni persona c’è qualcosa di buono che consente un rapporto positivo (amicizia parziale): nostro compito è saperlo estrarre.
- Una gestione attiva. Non limitiamoci a ricevere (subire) proposte che magari sono parzialmente in conflitto con il nostro sentire, ma prendiamo in mano la situazione e vediamo di proporre (sperabilmente con entusiasmo!) contatti umani che esaltino i reciproci pregi, nascondendo del tutto o in parte i reciproci difetti.
Una gestione attiva dei rapporti umani è un investimento per il nostro futuro, non sottovalutiamone l’importanza.
Le strategie sbagliate. Sono ovviamente infinite e nascono dal fatto che, anziché ricercare oggetti d’amore, la persona riempie i propri buchi esistenziali in altro modo. Le strategie più frequenti sono quelle che impiegano la strategia della cooperativa e le attività di gestione.
Nella strategia della cooperativa il soggetto è portato a circondarsi di persone sia assumendone in carico i problemi (una versione di questo atteggiamento è lo sbocco nel volontariato di molte persone sole) sia partecipando come comparsa alle attività del gruppo. È abbastanza evidente che tale strategia possa solo limitare la solitudine perché esistono sempre momenti in cui la persona resta sola con sé stessa.
La strategia di gestione consiste nell’utilizzare le attività di gestione della propria vita per riempire la propria vita: la casa, il giardino, l’auto, lo shopping, la burocrazia ecc. Senza amare veramente questi oggetti, che quindi non sono oggetti d’amore, li si usa per riempire il tempo. Si arriva persino a negare la solitudine (solitudine negata), convinti che “non si ha mai tempo”.
Solitudine: le strategie per trovare amici
La solitudine è una condizione trasversale, nel senso che può riguardare tutte le personalità del Personalismo. Abbiamo visto come poterla gestire con gli oggetti d’amore. In questo paragrafo, e nei successivi, vogliamo invece cercare di capire perché molte persone non riescono ad avere amici. Partiamo dalla considerazione che:
- alcune persone sono particolarmente inclini a confondere la compagnia con l’amicizia; oggi c’è poi anche la compagnia virtuale e, a molte persone, Facebook sembra essere la soluzione di tutti i problemi di rapporti umani, salvo poi scoprire che, di fatto, nella propria vita cambia ben poco e che ogni volta che muta l’ambiente (pensiamo a MySpace che è stato soppiantato da Facebook) si muore e si deve rinascere altrove. Certo che avere 185 amici dà per un attimo una bella sensazione di sicurezza prima di metabolizzare, più o meno consciamente, che quegli amici non sono spesso che solo una foto e l’insieme dei caratteri alfanumerici del nickname.
- Altre sono insofferenti e vorrebbero avere solo amici totali.
- Altre infine sono pronte a scambiare amici parziali con amici totali.
Come si è visto nell’articolo sull’amicizia, molti di questi comportamenti, anche se non tutti, sono riconducibili a personalità critiche; è pur vero che molte personalità non sono toccate e che il semplice essere equilibrati non si traduce nell’avere amici.

Perché molte persone non riescono ad avere amici?
Si potrebbero scrivere libri su ciò che porta due persone a essere veri amici o una persona ad avere tanti amici parziali; il difficile è esprimere le relazioni fra i parametri studiati in modo preciso, senza contraddizioni. Un carattere violento, per esempio, non è certo un buon lasciapassare per farsi degli amici, ma è indubbio che due gangster possono essere amici per la pelle.
Più produttivo appare indicare tratti facilitanti o penalizzanti. Si parte dall’introverso che ha pochi amici, si passa per il vanitoso che spesso non ha veri amici, ma solo tanti compagni di viaggio, si arriva all’equilibrato e infine al brillante, la condizione più facilitante in assoluto.
L’introverso
L’introversione può derivare da una personalità debole o comunque con scarsa autostima (si teme la forza, la reazione altrui, vedasi comportamenti correlati alla timidezza) o da una persona insofferente, ma non violenta che, anziché diventare un vanitoso, preferisce isolarsi, anche se alla fine soffre di questo isolamento.
Esistono anche introversi che sono tali perché vivono solo di particolari scintille che, non riuscendo a condividere con altri, alla fine diventano oggetti d’amore isolanti più che aggreganti. In questo caso la strategia per vincere la solitudine è molto facile: cambiare ambiente e inserirsi in uno nuovo che apprezzi ciò che siamo e ciò che amiamo.
Il vanitoso
Nel vanitoso la ricerca dell’amicizia avviene mettendo in eccessiva evidenza gli aspetti positivi della propria personalità; il ricco pensa di farsi degli amici invitando tutti nella sua tenuta o sulla sua barca, il colto spandendo a destra e a manca la sua cultura, la bella donna sbandierando la sua immagine. Di ricconi e di coltissimi non ce ne sono molti (la strategia è poi ulteriormente fallimentare quando è un apparente che la applica, cercando di apparire ricco o colto anche se non lo è), ma provate a navigare fra i blog e troverete una marea di corpi in bella mostra, a mo’ di dei greci. Triste a dirsi, ma l’unica cosa che mostrano è la loro incredibile solitudine.
La strategia è poco produttiva per il semplice fatto che tende a costruire compagnie più che amicizie, sempre ammesso che non naufraghi prima dopo aver provocato la difesa per risentimento di chi viene contattato e che viene comunque classificato “inferiore”.
Alcuni pensano che questa strategia sia un modo di catturare comunque l’attenzione e avere rapporti umani che, con il tempo e nel numero, potrebbero dare qualche frutto. Perché non riflettere e giungere alla conclusione che è una strada troppo tortuosa che nasconde l’incapacità di gestire rapporti umani fra le persone che sono attorno a noi? Come un commesso viaggiatore spera di fare affari vendendo porta a porta, così molti cercano amicizie semplicemente mettendo in mostra ciò che hanno di positivo. Dovrebbero leggere Morte di un commesso viaggiatore…
Si potrebbe pensare che il vanitoso sia un apparente o un violento e spesso è così; ma molte volte si tratta solo di una persona che non ha ancora compreso i rapporti umani, spesso è un debole che cerca forza in quelle che pensa siano le sue armi vincenti. Probabilmente gli basterebbe essere sé stesso per avere migliori risultati nei rapporti umani, senza forzature e senza salite in cattedra.
Il brillante
Da quanto detto, dovrebbe essere chiaro che per vincere la solitudine sono essenziali:
- una personalità equilibrata (in particolare non debole e non apparente, non violenta e con una buona autostima)
- oggetti d’amore che servano per condividere momenti comuni con i propri amici.
Fra gli equilibrati hanno un ulteriore grande successo i brillanti. Chi sono costoro? Si tratta di persone che hanno caratteristiche che favoriscono rapporti umani sinceri e duraturi. Il brillante:
- è estroverso
- è un leader, ma sa lasciare spazio agli altri
- è ironico e autoironico
- scherza su tutto, ma, quando occorre, sa essere serissimo
- non è vanitoso né egocentrico né superbo
- non è insofferente, ma sa adattarsi alle situazioni negative
- è una persona semplice, onesta e sincera.
Come si diventa brillanti? Può essere un dono di natura, ma sicuramente si deve amare la vita. Chi vuole approfondire legga l’articolo sulla brillantezza.
Solitudine – Frasi famose
Senza una grande solitudine nessun serio lavoro è possibile. (Pablo Picasso)
La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno. (Luigi Pirandello)
Bisogna essere molto forti per amare la solitudine. (Pier Paolo Pasolini)
La peggior solitudine è non essere a proprio agio con te stesso. (Mark Twain)
Tutto il problema della vita è rompere la propria solitudine, comunicare con gli altri. (Cesare Pavese)
Chi non ama la solitudine non ama neppure la libertà, perché si è liberi unicamente quando si è soli. (Arthur Schopenhauer)
La massima sventura è la solitudine, tant’è vero che il supremo conforto – la religione – consiste nel trovare una compagnia che non falla, Dio. (Cesare Pavese)
Più una mente è potente e originale, più sarà incline alla religione della solitudine. (Aldous Huxley)
La solitudine è bella, ma abbiamo bisogno di qualcuno a cui dire che la solitudine è bella. (Honoré de Balzac)
La solitudine, unendosi alle anime semplici, le complica. (Victor Hugo)
I COMMENTI
Il cancro indolore
La solitudine è un cancro senza dolore fisico.
Oggi però qualcuno mi ha ascoltato.
Era un rospo, era brutto, ma si è fermato.
Felice gli ho detto:
“Essere o non essere? Questo è il problema“.
Se ne è andato.
Solitudine e tristezza
Un nostro amico ci parla della difficoltà a vincere la solitudine interiore, solitudine che spesso riemerge con un carico di tristezza difficilmente gestibile.
La pesantezza della solitudine interiore è un po’ come la morte, si può dimenticare, ma non cancellare. E dimenticarla è la strategia migliore, coprendola con tanti oggetti d’amore.
Prima una persona deve riuscire a stare da sola, poi apprezzerà ancora meglio la compagnia degli altri, sarà la ciliegina sulla torta. E per star bene da soli non c’è che un modo, amare ciò che si fa, penetrando dentro di esso e fondendosi con esso fino a dimenticare tutto ciò che ci circonda (solitudine compresa!).
Molti mi scrivono che non corrono perché “da soli” è più dura. È noto che allenarsi da soli penalizza un po’ l’allenamento, ma non deve penalizzare il nostro amore per la corsa. Anzi, se vogliamo, è un test per verificare il nostro amore per lo sport. La corsa serve per stare bene, per essere forti e avere energie per amare altre cose.
Fare una cosa da soli non deve essere frustrante.
Si deve cioè imparare che ciò che si ama (dalla lettura di un libro a una corsa, da una passeggiata allo stare con una persona) è vero amore se tu ti fondi con esso; per convincersene si rilegga, nel paragrafo Una visione moderna, l’aneddoto dello scacchista che va avanti ad analizzare la sua partita nonostante l’improvviso terremoto. Questa è la fusione con l’oggetto d’amore.
Naturalmente mi è sempre capitato di fondermi con ciò che amavo. Da ragazzo, quando giocavo a pallone e si era sotto di un goal, non c’era nulla che potesse distrarmi dalla voglia di recuperare lo svantaggio; la stessa cosa mi capitava con il basket e oggi con gli scacchi o con la caccia.
Io amo moltissimo la caccia al fagiano, caccio sempre da solo e mai caccerei con altri (molti amici non cacciatori hanno chiesto spesso di accompagnarmi, ma ho sempre cortesemente rifiutato) proprio perché da solo assorbo tutto ciò che la campagna mi dà, senza distrazioni. Analogamente posso studiare scacchi per ore finché non capisco perché proprio quella mossa era la migliore. Non sono un solitario perché ho una moglie fantastica e molti amici, ma sono sicuro che li apprezzo proprio perché saprei star bene anche da solo, li vedo come uno splendido regalo che la vita mi ha fatto, non come ancore di salvezza in un mare che non amo abbastanza e che vuole mandarmi a fondo. Come li ho trovati? Con le cose che amo. Ci sono persone che si rattristano al solo pensiero di passare una domenica da sole. Ma hanno qualcosa da amare? Sì? E allora si diano da fare, escano e facciano ciò che amano, da sole o con altri. Invece che piangersi addosso, dicano al mondo ciò che amano e il mondo le ricompenserà permettendo loro di incontrare altre persone che amano gli stessi oggetti d’amore. Quando lasciamo che i pensieri negativi offuschino ciò che amiamo, ecco che siamo noi a decretare la fine della nostra giornata, facciamo calare il buio della notte: non possiamo poi pretendere di essere felici.