Shopping è un termine strettamente legato alla società dei consumi e al concetto di consumismo. Vi sono casi in cui questa azione assume caratteristiche anormali e la psichiatria si è persino scomodata a creare una patologia, lo shopping compulsivo; in tale patologia il paziente sente un irrefrenabile bisogno di acquistare, invertendo lo stato emotivo negativo soltanto dopo aver fatto acquisti.
Fare shopping
Fare shopping è un’espressione molto comune e non è certo associabile alla dipendenza che si riscontra nello shopping compulsivo, anche se è chiaro che nella popolazione esistono persone che amano fare shopping e altre che lo ritengono una pura perdita di tempo.
In effetti, chi fa shopping spesso non sa ancora cosa comprerà, ma impiega il suo tempo andando in giro per fare acquisti, il più possibile motivati e il più possibile “convenienti”. Questo comportamento è sfruttato per esempio dalle campagne di saldi come cassa di risonanza dell’argomento principale, la riduzione dei prezzi.

La sindrome del compratore può evolvere in shopping compulsivo
Già nel 2016 Albanesi propose l’esistenza di una certa continuità fra il semplice fare shopping (sindrome del compratore) e lo shopping compulsivo. Le motivazioni sono le stesse, solo che cambia la frequenza. Esattamente come per l’assunzione eccessiva di alcolici e la dipendenza da alcol.
“Fare shopping” è pertanto un indicatore per la valutazione di personalità equilibrata.
Con la locuzione “fare shopping” si sottintende infatti la necessità di comprare per gratificarsi.
In genere il soggetto che fa shopping non esce con l’intento di “comprare un vestito”, ma con quello di “andare per negozi”, “cercare fra i saldi”, “andare al Pippomercato” ecc., senza cioè che sia chiaro l’oggetto della ricerca; la ricerca mirata evidenzia un bisogno reale (o almeno presunto tale).
Il test di Albanesi per lo shopping compulsivo indentifica la frequenza di acquisti non vitali (il cibo) in due acquisti al giorno, esattamente come chi supera quotidianamente la soglia salutistica di alcol (soglia etanolica) deve ritenersi un alcolizzato.
Nella sindrome del compratore la frequenza non è così alta, il fare shopping può essere per esempio un’occupazione del sabato pomeriggio oppure essere legato a particolari occasioni (festività, compleanni ecc.).
Il sopravvivente
La sindrome del compratore interessa gran parte della popolazione, tanto che per molti è la regola, un comportamento assolutamente normale. Stupisce per esempio il clamore con cui viene evidenziato il fatto che il soggetto X (spesso un apparente) ha speso in una giornata 100.000 euro facendo shopping, quando il suo patrimonio, rapportato a quello medio, è di 1.000 volte superiore: in altri termini, la sua condizione è analoga a quella del cittadino medio che spende 100 euro nelle sue scorribande fra i negozi.
Se si analizzano i tratti caratteristici di chi soffre di sindrome del compratore non è difficile trovare che la personalità più coinvolta è quella del sopravvivente: per lenire le difficoltà e le frustrazioni di una vita tutto sommato scialba si compra perché l’acquisto è associato a concetti piacevoli come senso di possesso, festa ecc.
Si può tranquillamente affermare che lo shopping per molti individui rappresenta un antidepressivo (non a caso il depresso patologico e conclamato non fa shopping!), un farmaco di reazione a una situazione esistenziale tutto sommato spiacevole. In alcuni soggetti tale reazione permane anche quando la situazione è evoluta positivamente: così un soggetto, che ha vissuto in ristrettezze economiche subendone una frustrazione, anche quando avrà raggiunto una certa agiatezza, potrà provare un senso di piacere e di gioia nell’acquisto di un oggetto insignificante.
Viceversa, ogni fattore che impedirà lo shopping potrà provocare frustrazioni e un abbassamento dell’autostima, anche se mai a livello patologico, perché il soggetto ha messo comunque in atto una strategia di sopravvivenza che lo tiene a galla.
Che i sopravviventi siano la personalità più coinvolta nella sindrome del compratore è evidenziato dal fatto che circa il 90% di essi appartiene alla classe media, senza particolari gratificazioni nel lavoro e non più giovanissimi (nei giovani la speranza non ha ancora del tutto “approvato” la strategia di sopravvivenza), tanto che questi soggetti seguono la massima di L. Benson: “compro, dunque sono”. Un bel passo indietro rispetto al cogito ergo sum cartesiano!