Il sentimentalismo è una spiritualità fittizia e sta al vero amore come il buonismo sta alla bontà.
Potremmo definirlo una capacità di provare emozioni che non si fondano su vero amore; per “vero” intendiamo l’amore che si basa sui quattro pilastri fondamentali descritti nell’articolo sugli oggetti d’amore.
Molte persone lo usano come strategia esistenziale per provare emozioni, la cosa più importante per sentirsi vive. In questo non c’è nulla di sbagliato, ma la strategia ha anche il rovescio della medaglia: in genere, poiché non si controlla la genesi delle emozioni, si è colpiti anche da sensazioni negative e il bilancio esistenziale è tutto sommato casuale.
Immaginiamo una persona che al mattino apra la finestra e si bei del canto degli uccellini. Lei non sa nemmeno che uccelli siano, anzi, potrebbero essere anche finti (come accade in certi parchi di divertimento) e non se ne accorgerebbe: esattamente come chi, a digiuno d’arte, si emoziona di fronte a una grande opera, senza saper riconoscere l’originale da un banale falso. Genericamente l’emozione non nasce dall’amore che porta alla profonda conoscenza dell’oggetto amato, ma dalla simbiosi con qualcosa che si reputa bello o importante (il tifo sportivo ne è un esempio, il tifoso si identifica, partecipa alla vita della sua squadra), simbiosi che genera un’autosuggestione.
Senza amore c’è superficialità e si cade in balia degli eventi. Come analogia potremmo usare quella della casa: tutti vogliamo una casa dove vivere, ma essa può essere costruita su fondamenta solide (amore) oppure su fondamenta instabili e traballanti (sentimentalismo). Quando c’è bel tempo anche le fondamenta insicure reggono, ma quando c’è tempesta la casa crolla. Così la persona che si bea del cinguettio mattutino, quella giornata che c’è un tempaccio, silenzio assoluto o, peggio, macchine che in fila vanno al lavoro, ecco che si sentirà meno bene, addirittura potrà immalinconirsi per il tempo o stizzirsi per il caos. Probabilmente l’alternanza di emozioni positive e negative porterà il soggetto nelle fila dei sopravviventi con alibi del tipo “per fortuna ho anche tante emozioni negative perché altrimenti non mi sentirei umano”, “momenti di noia e di depressione? E chi non ne ha?” ecc.
Chi invece ama, basa le sue emozioni su profonda conoscenza, stabilità, indipendenza e frequenza dell’oggetto amato. Se, per esempio, ama la natura, non si limiterà a gioire di cinguettii sconosciuti, ma addirittura riconoscerà i suoi amici quasi a uno a uno, saprà che nei giorni bui nessuna allodola salirà verso il cielo a cantare allegramente, ma che comunque troverà i cormorani lungo il fiume, saprà gioire anche dello sgraziato canto delle cornacchie e sarà felice di trovare alla sera una civetta che, anziché presagi di sventura, porterà senza paura un saluto a lui che cammina nel buio su una strada senza ostacoli perché conosciuta a memoria.
Questo spiega perché chi si ferma ai semplici cinguettii perde molto di quello che potrebbe avere e di fatto non avrà mai una vita da leggenda.
Riassumendo, il sentimentalismo è una strategia che può avere effetti positivi solo in presenza di notevoli condizioni facilitanti, altrimenti porta verso una vita sostanzialmente piatta, fatta di alti e bassi. Piatta non significa senza emozioni, ma con emozioni che si elidono, con un giorno sereno e uno nuvoloso.
Le difficoltà del sentimentale sono su vari livelli.
Il primo è quello di chi è sufficientemente razionale da limitare il suo sentimentalismo a situazioni comunque oggettivamente positive; per esempio un bel viaggio o un evento particolare e poco ripetibile (per esempio il matrimonio di un amico/a). La difficoltà di questo livello è data dalla “necessità” di cercare eventi che costruiscano emozioni. Se il soggetto ha anche emozioni da suoi oggetti d’amore, la necessità non è poi pressante perché la vita non è comunque priva di spiritualità; se invece mancano gli oggetti d’amore, ecco che vivrà a rate, negli unici momenti in cui trova l’evento scatenante l’emozione. Diventa il soggetto che quando si incontra con gli amici non riesce a trovare altro tema di discussione che le vacanze, i momenti importanti della vita (matrimonio, figli, nuovo lavoro) e tutto il resto diventa routine: un sopravvivente.
Il secondo livello è quello di chi non è abbastanza razionale e punta sul sentimentalismo come unica strategia esistenziale positiva per sentirsi vivo. Classico è il sentimentalismo dei romantici. È spesso chiamato passione, emozione o semplicemente sentimento. Da un punto di vista pratico il romantico è convinto che la sua anarchia emozionale (passione) sia il massimo della spiritualità. Anche in questo caso si scopre spesso che la spiritualità (come molte passioni) è superficiale e temporanea oppure (come alcuni sentimenti) distruttiva per sé e per gli altri (vedasi i grandi drammi del romanticismo).

Il sentimentalismo spesso è caratterizzato da patetismo
Il terzo e più penoso livello è quello di chi finisce per bearsi anche delle emozioni negative, viste quasi come segno di vitalità. Ricordiamo:
- il sentimentalismo dei patosensibili – È spesso chiamato profonda sensibilità; di profondo non ha nulla, si basa semplicemente sull’incapacità di affrontare e gestire il dolore e il male che ci sono attorno a noi. Nel patosensibile l’emozione negativa di fronte al dolore è vista come nobiltà d’animo. Il patosensibile giudica insensibile (e quindi privo di spiritualità) il soggetto forte che di fronte al dolore non si scompone, ma cerca la miglior soluzione (ecco che compare la ragione) per gestire la situazione.
- La spiritualità degli inibiti – È spesso vissuta come sofferenza. Non è però qualcosa di proprio, è semplicemente il dolore che l’inibito prova perché non sa liberarsi dalle (ribellarsi alle) sue dolorose inibizioni.
- La spiritualità dei mistici – Il rapporto con il trascendente (con rinunce che spesso arrivano all’autopunizione, si pensi all’ingenuo concetto di fioretto alla Madonna) viene vissuto come un’alta forma di spiritualità, mentre in realtà non è che un bisogno (quindi con valenza negativa) o una scelta (in questo caso a priori con valenza neutra) del soggetto.