La psicologia (la scienza che studia la psiche) è una scienza che non ha un primario indirizzo terapeutico; in tal senso si differenzia dalla psichiatria che studia e tratta i disturbi mentali e del comportamento. Il confine di demarcazione tra le due scienze non è però così netto poiché è abbastanza poco realistico pensare di trattare i problemi mentali senza conoscere come dovrebbe funzionare correttamente la psiche. Inoltre, molte correnti psicologiche si sono orientate alla risoluzione dei problemi mentali. Una distinzione più pratica fa riferimento al fatto che lo psichiatra in genere è un medico che accentra la sua attenzione sulla neurofisiologia del cervello e solo in un secondo tempo passa a considerare la personalità del paziente che è invece di importanza primaria per lo psicologo che può anche non essere un medico.
Se sicuramente sono basilari per la cura dei disturbi mentali gravi, quando le due scienze ampliano il loro campo d’azione a tutta la popolazione spesso diventano poco utili e, per comprendere quale sia il confine di utilità, è necessario analizzare le componenti del disagio esistenziale.
Si è soliti attribuire a Wilhelm Wundt il merito di aver fondato la psicologia (Fondamenti di psicologia fisiologica, 1873-74); nella storia della psicologia non si possono però non ricordare l’opera di Franz Brentano, la scuola tedesca (psicologia della Gestalt), quella americana (ricordiamo per esempio Titchener e James), quella russa (noti a tutti sono gli esperimenti di Pavlov, premio Nobel per la medicina, 1904) fino ad arrivare alla psicoanalisi di Sigmund Freud.
Nonostante la grandezza del suo ideatore, la psicoanalisi ha evidenziato risultati molto modesti quando applicata in larga scala nella popolazione perché i tempi e i costi necessari per ottenere risultati significativi su casi di lieve-media gravità sono risultati sempre eccessivi. Si noti il fatto che è molto facile ottenere un risultato significativo su un grave caso clinico dove un netto miglioramento può incidere nettamente sulla qualità della vita del paziente; viceversa un miglioramento in un paziente tutto sommato “normale” non è avvertito come tale perché, di fatto, il paziente non è guarito! La finezza è che di fronte a un malato mentale grave tutti si accontentano di un buon miglioramento, mentre di fronte a una persona “normalmente” depressa o ansiosa ci si aspetta la guarigione.
Dopo Freud la psicologia ebbe uno sviluppo notevole con molte correnti psicologiche spesso in contrasto fra loro, contrasto che mostra la difficoltà di arrivare a qualcosa di oggettivo in campo psicologico.
La psicologia e la comprensione del mondo
Per costruire una vita senza problemi occorrono tre ingredienti fondamentali:
- Non avere condizioni stabilmente penalizzanti
- Comprendere la realtà
- Tradurre la comprensione della realtà in uno stile di vita positivo.
Nel primo punto è fondamentale il termine “stabilmente”; chi implementa gli altri due punti spesso riesce a correggere e a invertire una condizione penalizzante, annullandone le primitive conseguenze. Per questo possiamo avere un soggetto che ha avuto un’infanzia difficile, ma che ha una vita da adulto serena e felice, e un altro che invece si porta con sé tutti i danni ricevuti nell’infanzia.
Una diversa interpretazione dei tre ingredienti porta a definire scuole di pensiero molto differenti. Limitandoci a casi di lieve-media gravità (tali per cui il soggetto può vivere tranquillamente nella comunità senza che questo costituisca un danno per sé o per gli altri), vediamo come è possibile mal interpretare i tre punti precedenti.
I limiti della psicologia e della psichiatria
Passiamo velocemente in rassegna i limiti più evidenti di un uso non ottimale delle due scienze (la frase sottintende ovviamente che non tutti i professionisti sono soggetti a questi limiti!).
Il limite terapeutico – Consiste nel voler applicare soluzioni efficaci in casi clinici di una certa gravità alla popolazione in generale. Un primo esempio eclatante è rappresentato dalla psicoanalisi; se i primi e originali casi descritti da Freud prevedevano soluzioni “da manuale”, le stesse soluzioni proposte a tutti hanno avuto solo l’effetto di diventare una moda a cui molti nemmeno credevano più di tanto (si pensi alla psicoterapia negli USA); un secondo esempio è quella dell’inflazione dell’uso di farmaci usati per malati gravi in ambito ospedaliero: tranquillanti, antidepressivi ecc. usati sulla popolazione non sono stati in grado di curare in percentuale soddisfacente, apparendo più dei sintomatici che dei farmaci realmente efficaci sulla causa. Vedasi a tal proposito l’articolo sulla depressione.
Il limite interattivo – In molte terapie la figura del terapeuta è fondamentale; si potrebbe obiettare che ciò è vero anche per le altre branche della medicina, ma in realtà, in campo psicoterapico, alla capacità del terapeuta (in termini di conoscenze e di esperienza) si somma la necessità del suo equilibrio psicologico: un terapeuta poco equilibrato può paradossalmente essere in grado di curare (utilizzando le nozioni apprese e la sua esperienza) un grave caso di psicosi, ma si rivelerebbe un totale fallimento nel trattare con un soggetto con disturbi lievi per il semplice fatto che la sua mancanza di equilibrio distorcerebbe la valutazione di un soggetto “quasi-normale”.
Lo psicologo dovrebbe capire che
i suoi studi di psicologia sono una condizione facilitante per capire gli altri e il mondo, ma non sono certo una condizione sufficiente.
Se non è una persona equilibrata, farà spesso danni.
Per superare questo limite, alcune correnti psicologiche (del resto anche il Personalismo è una di queste) cercano di non rendere indispensabile la presenza del terapeuta, consentendo anche un approccio individuale, diretto, che potrebbe rivelarsi vincente in casi in cui l’obiettività del singolo non sia completamente inficiata dal disturbo. Queste correnti devono essere molto attente a:
- Consentire un percorso individuale
- Essere fruibili alla massa della popolazione
- Essere orientate alla risoluzione dei problemi.
Il primo punto è analogo a quello che accade nella scienza della nutrizione. Se un modello alimentare è valido, non è necessario il dietologo perché il singolo possa implementarlo. In campo psicoterapeutico, il secondo punto garantisce una larga fruibilità del metodo.
L’ultimo punto è fondamentale: se si buca una gomma, può essere utile sapere dove la foratura ha avuto luogo per evitarne una in futuro, ma è poco significativo limitarsi a questa ricerca. Né si può sperare che la semplice scoperta del punto critico consenta magicamente di riparare la gomma. La semplice constatazione che un trauma produce differenti effetti su due soggetti deve far comprendere che, al di là della piena consapevolezza del trauma, è importante capire come modificare la propria personalità. Ovvio che la consapevolezza acquisita attraverso il terapeuta o individualmente attraverso metodi di analisi della personalità sia un grande aiuto al miglioramento della personalità, ma da sola non può essere sufficiente. C’è il rischio di spendere troppe energie nella ricerca delle cause senza che queste siano del tutto necessarie alla cura. Per analogia, si pensi alla cura del cancro: oggi molti tumori possono essere guariti anche se non se ne conosce la causa. Infine c’è anche la possibilità che le cause non vengano esattamente individuate, ma solo supposte o addirittura che si confondano fattori non influenti con le vere cause del problema. In sostanza, per risolvere i problemi esistenziali di soggetti non critici,
il passato è importante, ma non può esserlo più del presente.
Studiando lo stato attuale della psicologia, si scopre che questo è un concetto sicuramente in disaccordo con molte correnti psicologiche; disaccordo motivato dal fatto che queste correnti sono partite dall’analisi di pazienti critici; se si comprende il senso delle ultime affermazioni, si deduce che
il passato è tanto più importante quanto più critica è la situazione del soggetto.
Per comprendere quanto sia difficile rispettare i tre punti sopraccitati, si pensi all’analisi transazionale*, sicuramente un approccio molto interessante, più concreto e orientato ai bisogni della persona che non la psicoanalisi classica. Il primo punto può essere rispettato (un po’ forzatamente e non secondo tutti i terapeuti), ma il secondo sicuramente no. Per comprendere le basi dell’analisi transazionale occorre comunque una cultura medio-alta e per arrivare a quei dettagli che consentono un reale miglioramento del soggetto, sicuramente una cultura ad alto livello. Anche il terzo punto è rispettato solo in parte perché il soggetto è comunque condotto alla soluzione attraverso uno studio paritetico delle tre condizioni (genitore, bambino e adulto), delle quali le prime due riguardano il passato.
Il limite descrittivo – Nella descrizione dei comportamenti umani si tendono a privilegiare i motivi e le cause, piuttosto che il comportamento in sé perché si tende a:
considerare la media dei comportamenti umani come la condizione basilare, di partenza.
In psicologia questo errore comporta che lo sforzo del terapeuta potrà far arrivare il paziente al massimo alla media della popolazione, media che spesso è decisamente positiva per chi soffre di gravi problemi, ma è un ben scarso traguardo per chi ne ha di lievi e vorrebbe vivere veramente bene. Si noti infatti che la media della popolazione su una variabile è in genere comunque ben sopra alla variabile del soggetto che si rivolge allo psicologo; per esempio un soggetto che voglia risolvere la propria introversione di solito appare introverso anche a un osservatore non professionale e non è il caso di scomodare la curva gaussiana dell’introversione nella popolazione!
Un esempio del limite descrittivo. Un terapeuta di fronte alla confessione di un tradimento non aggredirà il proprio paziente accusandolo di quale persona meschina sia (perché darne un giudizio morale?), di quanto abbia sbagliato e così via, poiché questo è quello che farebbe un genitore, non un terapeuta. Il terapeuta probabilmente cercherà innanzitutto di discutere i motivi che hanno portato all’avvenimento per comprenderne la causa, ma finalizzando ciò a un cambiamento concreto.
Giusto? No! Manca la premessa che esistenzialmente (non moralmente) il tradimento è un grave errore esistenziale che non può che apportare problemi: parlando di motivi, cause ecc. di fatto si assolve parzialmente il soggetto. Ovviamente molti psicologi sulla valutazione del tradimento non saranno d’accordo, ma questo dimostra quanto la valutazione della realtà dello psicologo (acquisita dai suoi studi e/o dalla sua esperienza) conti nel rapporto con il paziente.
Il limite descrittivo nasce sostanzialmente da due fattori.
1) La trasposizione dei propri difetti nella professione. In psicologia è molto facile trovare professionisti che ritengono “normale” un certo comportamento perché sostanzialmente non ne sono immuni (esempio: se una persona mi offende pesantemente, il fatto che io gli dia un pugno è deprecabile, ma comprensibile; in realtà, è sempre e solo il risultato di una personalità violenta). Non a caso Musatti sosteneva che il miglior psicoanalista che aveva conosciuto era il suo portinaio; come dire: se uno psicologo non ha buon senso, non è perfettamente equilibrato, non potrà dire che sciocchezze, per quanto abbia studiato e per quanto si sia applicato.
2) La personalità apparente dello psicologo (vedasi molti psicologi che esprimono giudizi in televisione) che quando deve esprimere un giudizio cerca di mediare, di non scontrarsi, di essere apprezzato dal ricevente. Con questo atteggiamento ogni peccato mortale per la qualità della vita diventa un peccatuccio veniale, che val la pena considerare, ma che è “umano”… Esempio ripreso da uno psicologo che mi spiegava come operava sui pazienti con attacchi di panico: spiegava al soggetto che tutti possiamo soffrire di attacchi di panico ecc. Quel “tutti” è decisamente spropositato e vuole addolcire la patologia del paziente che invece sottintende una personalità comunque non ottimale: forse lo psicologo guarirà il paziente dagli attacchi di panico per la situazione X, ma il soggetto resterà un soggetto a rischio, fragile e comunque insicuro. Un atteggiamento più professionale (che non escludo che certi psicologi usino) sarebbe stato: “chi soffre di attacchi di panico ha qualcosa da sistemare nella propria vita (per esempio vive situazioni troppo stressanti), quindi ora risolviamo il problema contingente, poi, se vorrà, discuteremo del resto”.
Insomma, con certi consigli non si vive meglio la propria vita, si continua a sopravvivere.
Caratteristiche del Personalismo
In psicologia, il Personalismo:
- studia le condizioni facilitanti e penalizzanti l’esistenza
- studia come comprendere la realtà tramite lo sviluppo dell’intelligenza esistenziale (raziologia e sviluppo dell’intelligenza affettiva)
- studia come mettere in pratica la teoria, rimuovendo le personalità critiche
- è una teoria che può essere applicata anche dallo stesso individuo
- è di facile comprensione, non richiedendo una cultura sofisticata
- è orientata ai problemi, non trascurando le cause, ma dando più importanza al presente che al passato.
Il secondo punto potrebbe sembrare superfluo in quanto in genere si pensa che la stragrande maggioranza delle persone sia in grado di comprendere la realtà e chi non riesce a farlo possa sicuramente definirsi malato; uno psichiatra parlerebbe apertamente di psicosi per coloro che non riuscissero ad avere una comprensione corretta della realtà (quasi in contrapposizione al termine nevrosi che indica una patologia psichica di chi comprende la realtà). All’atto pratico non è così e ciò è implicitamente confermato dall’usuale constatazione empirica che “non tutti i matti sono in manicomio”. Questa banale frase indica che spesso ci accorgiamo di comportamenti assurdi in persone che sono (o dovrebbero essere) normalissime.
La difficoltà nel capire la realtà si traduce in una serie di errori (si potrebbero definire vere e proprie patologie) che impediscono all’individuo di dare un’interpretazione corretta ai fenomeni che lo circondano. Possiamo coniare una definizione allargata e pratica di psicosi: se viene considerato psicotico chi si crede Napoleone (e non lo è), altrettanto dovrebbe definirsi psicotico colui che crede che le cose nella vita vadano in un certo modo, mentre in realtà vanno in direzione completamente opposta! È ovvio che mentre il nostro Napoleone sarà un osso molto duro da guarire, l’individuo che interpreta male la realtà (ma è psichiatricamente normale) potrà capire i suoi errori e guarire quasi istantaneamente; ciò non toglie che, finché non comprende, non lo si possa ritenere malato.
Gli errori di comprensione del mondo sono la follia nella normalità.
Se si è compreso quanto detto, questa deduzione è immediata. Se, data una certa situazione, non siamo in grado di sintetizzare una regola di vita che ci permetta di gestire quest’ultima, vuol dire che non l’abbiamo capita. Sicuramente non è normale chi, gridando a un paralitico “salta!”, conclude che l’uomo che ha di fronte è sordo perché non esegue il suo comando. Questo esempio è ovviamente paradossale, ma che differenza c’è con chi sbaglia nel dedurre una conclusione da una situazione?
La lingua della realtà – La maggioranza delle persone parlano male l’inglese, ma questo “male” consente loro di leggere un articolo di giornale, di chiedere informazioni, di soggiornare persino in un paese straniero. Questa conoscenza sommaria della lingua non consente però di seguire un film, di capire una canzone, di discorrere con un inglese o con un americano. Così molti vivono parlando male la lingua della realtà e capendone solo una frase qua e là. Se volete sapere se siete in grado di comprendere la realtà o se ne capite solo qualche frase cimentatevi ne Il test di personalità di Albanesi.
Come scegliere uno psicologo: il test
L’articolo non è una condanna della psicologia e degli psicologi, vuole solo mettere in guardia da facili ottimismi: come in ogni professione, non è facile trovare persone motivate, preparate e disponibili.
Il percorso più corretto è quello indicato nel paragrafo Personalismo: una condizione facilitante.
Per quanto riguarda la scelta di uno psicoterapeuta si consulti l’articolo Albert Ellis e il Personalismo per capire quali correnti psicologiche sono più vicine al Personalismo.
Ecco comunque un semplice test per valutare il grado di equlibrio di chi sembra avere tutte le carte in regola per essere un buon psicologo:
invitandolo a riflettere, chiedetegli se concetti come ira, gelosia, ambizione possono avere una qualche valenza positiva nella vita.
Se la risposta sarà affermativa con l’indicazione di quei casi in cui possono essere positivi (sciocchezze del tipo: “l’ira a volte può servire a scaricarsi”, “la gelosia può unire la coppia” ecc.), siete di fronte a una persona che, più che fare lo psicologo, dovrebbe andarci!
* L’analisi transazionale – In L’analisi transazionale è una teoria psicologica elaborata, verso la fine degli anni ’50, da uno psicologo canadese, Eric Leonard Bernstein, più noto come Eric Berne; il testo fondamentale di riferimento di questo nuovo approccio psicoterapeutico è la sua opera intitolata Analisi Transazionale: un nuovo ed efficace metodo di terapia di gruppo. Secondo i suoi sostenitori, è possibile ricorrere a questo approccio in qualsiasi settore ove si riscontri la necessità di comprendere le persone. L’oggetto basilare della teoria di Berne è lo scambio (transazione) che si verifica nel momento in cui due o più soggetti si trovano a comunicare tra di loro; un esempio di questo tipo di transazione può essere rappresentato dallo scambio di gesti di affetto tra due o più persone. Secondo la teoria formulata da Berne, le persone hanno la tendenza ad agire seguendo una sorta di copione; determinate esperienze, vissute fin dai primi anni dell’infanzia, sono utilizzate anche in seguito come strategie di vita, siano esse state positive che negative.
Lo scopo dell’analisi transazionale è quello di riuscire, attraverso la scomposizione della struttura della personalità nei tre stati dell’Io (Genitore, Bambino, Adulto), a indagare il comportamento delle persone che si relazionano, capire i motivi per i quali queste persone avvertono disagio e individuare il modo migliore per rimuoverlo permettendo agli individui di vivere il più armonicamente possibile i loro rapporti con gli altri.