Chi sono i permalosi? Permaloso è colui che si risente di atti o parole che altri non considererebbero offensivi. L’essere permalosi è un grave handicap sulla strada verso la felicità perché impedisce di gestire serenamente i giudizi altrui. Infatti il permaloso è molto poco incline a essere giudicato. Si tratta di un difetto trasversale alle varie personalità che è particolarmente presente in alcune, senza peraltro appartenere a tutti coloro che hanno quella personalità critica. Una personalità critica può non accettare critiche perché minano il punto centrale della sua esistenza: la sua fede (mistico), la sua forza (violento), le sue aspettative (insofferente), la sua idea dominante (romantico), la sua cultura (contemplativo) ecc.
Lo statico non accetta giudizi perché non si rende conto di essere stato superato dai tempi, mentre il vecchio è permaloso quando, in virtù della sua condizione, pretende rispetto e deferenza. L’insoddisfatto, se è perfezionista, può essere permaloso perché è già eccessivamente critico con sé stesso e quindi non accetta un giudizio che rimarca la sua imperfezione. Il debole può aver fatto proprio un’interpretazione letterale del Vangelo di Luca (“non giudicate e non sarete giudicati”) senza comprendere che è nello scambio di giudizi fra uomini (corretti o meno) che noi possiamo migliorare la nostra vita; certo, se io temo il giudizio altrui è opportuno che sia il primo a non giudicare, ma se lo vedo come occasione per crescere, la frase evangelica è solo una constatazione, non un ordine o un consiglio.

Permaloso è colui che si risente di atti o parole che altri non considererebbero offensivi
Permaloso: i termini alternativi
Un esempio di permalosità è il tentativo di coniare sempre e comunque un termine alternativo a una situazione spiacevole o presunta spiacevole. Storicamente forse l’usanza risale alla necessità di evitare significati razzisti a parole come “negro” (sostituendolo con nero); alla base del processo c’è indubbiamente un intento lodevole, ma anche l’incomprensione che il razzismo non si rimuove rimuovendo una parola! Pensiamo alla parola negro detta con disprezzo e capiremo subito che è l’intonazione della voce, il contesto, le azioni cui si accompagna che determinano il razzismo.
Infatti posso dire negro e non essere razzista; pensiamo a una donna assatanata che definisce uno scultoreo fisico di un uomo di colore come “che bel negro!”. L’aggettivo “bel” ha cambiato la valenza del suo giudizio. L’impiego di un altro termine per evitare di essere scambiati per razzisti può essere sensato (secondo la logica: se uso “nero” non sono razzista), ma è un trucco che funziona per breve periodo perché molti razzisti nell’animo possono tranquillamente usare “nero” e discriminare comunque. Insomma, una soluzione fumosa, per nulla concreta. Tanto più fumosa quanto più si estende, come oggi, a macchia d’olio. Portatore di handicap, diversamente abile, non vedente, operatore ecologico, collaboratrice domestica ecc. sono tutte gentilezze che rivelano una sostanziale permalosità d’animo: chi le usa, se fosse al posto del soggetto indicato, si sentirebbe in qualche modo offeso dal temine primario. Ben diversamente da quello scacchista cieco che, commentando una partita, mi disse sorridendo alla sua stessa battuta: “cavolo quella mossa non l’ho vista!”.
C’è infatti da rilevare che molti soggetti non hanno nessun problema a definirsi ciechi anziché non vedenti (non a caso l’associazione si chiama Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti) o handicappati anziché diversamente abili. Il fastidio che una persona prova deriva dal suo grado di permalosità, cioè dall’accettare o no di essere confrontata con la realtà.
Supponiamo che per una ragazzina stuprata venga coniata l’espressione “diversamente vergine”: anziché farle prendere coscienza del reato che ha subito, facendole capire che non ha nessuna colpa e che quindi solo una visione superata della sessualità potrebbe farla sentire sporca, violata ecc., non si fa altro che compatirla, un atteggiamento devastante.
Il permaloso tenderebbe a cambiare nome a tutto: se è basso vorrebbe essere chiamato diversamente alto, se è uno sportivo amatoriale o principiante vorrebbe definirsi non olimpionico, se è povero diversamente ricco o non ricco ecc. Notiamo nell’ultimo esempio come si alteri la realtà: un non ricco può essere comunque un benestante, senza essere povero!
Quindi impariamo che non è il termine che assume valenza negativa quanto il modo e il contesto in cui è usato e che coniarne di nuovi non ha nessun senso.