Parresia è un termine poco conosciuto che indica la franchezza di esprimersi, di dire ciò che si ritiene vero, senza mezzi termini, non dire solo ciò che fa comodo. Il termine si rifà al cinismo e a Diogene di Sinope, chiamato “il cane” perché come un cane abbaiava a chi lo disturbava. Celebre l’aneddoto dell’incontro fra Alessandro Magno e il filosofo cinico: il condottiero si mise fra il filosofo e il sole, presentandosi come Alessandro, il gran re. Il filosofo rispose: “e io sono Diogene, il cane”. Lo stupefatto Alessandro chiese perché si chiamasse “cane”. Diogene gli rispose: “Perché faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi.”.
La parresia non ha quindi nulla di sociale, ma è una qualità individuale che a livello politico si esprime nel rinnegare, per esempio, il politicamente corretto e a livello generale nel dare un giudizio piuttosto negativo all’assertività quando è usata come unico metro di confronto con gli altri.
Da Euripide a Socrate, da Platone ad Aristotele la parresia ebbe un valore positivo. Per esempio, la costituzione democratica di Atene era basata su:
- isegoria (uguale diritto di parola nelle assemblee)
- isonomia (uguale partecipazione al potere politico)
- parresia (uguale diritto per tutti di esprimersi francamente nei dibattiti politici).
A poco a poco la parresia divenne un concetto ingombrante soprattutto per chi, a torto o a ragione, si ritenesse in grado di conoscere il vero meglio degli altri, si ritenesse più autorevole e affidabile. In epoca moderna, nei regimi democratici si è sempre più assistito a una condanna implicita della parresia a fronte del politicamente corretto.
Solo nel 1983 Michel Foucault (grande filosofo, storico e sociologo del XX sec.), sei mesi prima della sua morte, tenne a Berkeley una serie di discorsi sulla parresia, inserendola nel suo insegnamento di come si compone e si struttura il potere. Ecco alcune perle tratte dai suoi discorsi:
- Dire la verità è in primo luogo un dovere morale, civico.
- Dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o sé stessi) a vivere meglio.
- Nella parresia il parlante fa uso della sua libertà e sceglie il parlar franco invece della persuasione (in altri termini, sceglie di essere un guru anziché un leader, interessato più alla popolarità che alla diffusione di ciò che crede vero).
- I grandi giornali non dicono sempre la verità, ma solo quella di comodo. Infatti, non possono disturbare il potere, in modo particolare le lobbies.
- Essere chiari implica l’essere coraggiosi perché non tutti gli interlocutori sanno accettare la franchezza.
Parresia e stile del sito
Lo stile del sito non convince sempre tutti, ma non è che una conseguenza della parresia del Personalismo. Alcuni visitatori, per esempio, sostengono che sarebbe opportuno adottare una linea più morbida, di convincimento lento e progressivo. A prescindere dal fatto che il messaggio ne uscirebbe molto più indebolito, sono pienamente convinto che con la linea morbida si ottengono risultati decisamente inferiori. Inoltre, per il Personalismo la franchezza, il dire sempre la verità (parresia) è una regola fondamentale.
Il Personalismo usa uno stile duro proprio perché solo con questo stile si possono spezzare i condizionamenti, gli idoli a cui finora si è immolata la propria vita. Se una persona è convinta per educazione che non si debba mai divorziare dal coniuge, per quanto male esso ci faccia, avrà una vita disastrosa. Si può provare a farla ragionare (linea morbida), ma il suo condizionamento avrà sempre il sopravvento. Per opporvisi occorre usare qualcosa di altrettanto forte (linea dura), provocando una rottura e la necessità di una nuova analisi del problema.
Senza rottura non c’è rielaborazione della situazione, non si riesce a creare predisposizione a cambiare.
Essere assertivi?
Rimandando all’articolo sull’assertività (la capacità di esprimere efficientemente le proprie opinioni senza offendere o usare comportamenti aggressivi verso l’interlocutore) per una trattazione generale, occorre chiedersi nel nostro caso specifico: perché non usare nella conversazione i toni di grigio di chi vuole mediare, anziché uno stile on-off?
Lo spiego con tre esempi, tralasciando i casi in cui si sia di fronte a una persona non equilibrata (per esempio un debole che evita ogni forma di scontro oppure un apparente che cerca sempre e comunque il consenso dell’altro).
Supponiamo che uno studente esprima il teorema di Pitagora così: in ogni triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale all’unione dei quadrati costruiti sui cateti. Molti riterrebbero che lo studente sappia ciò che dice, mentre un professore di matematica lo boccerebbe perché il termine “uguale” è sbagliato, non ha senso, deve essere sostituito con “equivalente”.
Supponiamo che di fronte a un astrologo che fa le sue previsioni in televisione, Tizio sorrida bonariamente mentre Caio se ne esca con un perentorio “che cretinate!”.

Etimologia di parresia: dal greco, composto di [pan] tutto e [rhema] discorso
Cosa hanno in comune i tre esempi? Che chi valuta la situazione “molto grave” usa toni duri. Quindi, se si è equilibrati, usare toni morbidi è tipico di chi non valuta come grave il comportamento in oggetto. Tizio sorride quando sente l’oroscopo, Caio commenta che “solo gli stupidi possono crederci”; Tizio non vede nessun male nell’ascoltare le previsioni astrologiche, mentre Caio ritiene che esse abbiano pesanti ricadute sulla vita del soggetto credulone.
Per questo lo stile del sito è duro e la parresia è fondamentale: perché di molti indicatori esistenziali diamo una valutazione molto più negativa della maggior parte della gente che non vede i danni che fanno.
Parresia: aiutare il prossimo
Supponiamo di trovarci di fronte una persona sana di mente con un problema esistenziale. Dovremmo innanzitutto chiederci se siamo in grado di aiutarla; se non lo siamo, anziché cadere vittima di deliri di onnipotenza o di una compassione controproducente, dovremmo indirizzarla verso altri: questo è il miglior aiuto che noi possiamo darle. Del resto, quando ci fermano per strada e ci chiedono di una via che non conosciamo, non millantiamo una conoscenza che non farebbe altro che confondere il nostro interlocutore, ma lo indirizziamo, per esempio, al bar o all’edicola di fronte per una corretta informazione.
Supponiamo quindi di aver capito il problema della persona. Semplificando esistono due possibili strade per aiutarla.
- Strada compassionevole – Soffriamo con l’altro, cerchiamo di capirlo, ne guadagniamo la fiducia e poi cerchiamo di farlo ragionare, prospettandogli la nostra possibile soluzione.
- Strada di rottura – Gli spieghiamo senza fronzoli che sta sbagliando e perché.
La prima soluzione è tipica di chi ritiene che i problemi siano inevitabili nella vita e che dipendano solo in piccola parte dalle nostre scelte oppure è tipica del patosensibile. All’inizio del mio percorso l’ho usata per anni ottenendo risultati concretamente nulli: avevo l’approvazione di tutti quelli che pseudoaiutavo (quindi oggi con questa strada venderei molti più libri), ma nessuno di questi cambiava veramente e ricadeva sempre negli stessi errori. Un giorno, vedendo un telefilm, una frase mi illuminò:
a chi ami non devi dare quello che ti chiede, ma quello di cui ha bisogno.
A un drogato che ti chiede una dose, fornirgliela consente di ottenere la sua gratitudine, ma di certo non la sua resurrezione esistenziale. E una persona che ha un problema ha soprattutto bisogno di due occhi per vedere dove ha sbagliato o per vedere la soluzione.
Ha bisogno della verità.
Fornirgliela annacquata dalla nostra compassione non fa altro che rafforzare i suoi alibi.
Sottolineo come la linea morbida in campo salutistico abbia offerto risultati fallimentari. Per motivi di audience (basta ascoltare in televisione la maggioranza dei cosiddetti esperti) o per interessi commerciali, spesso vengono proposti concetti all’acqua di rose che, ulteriormente annacquati dal ricevente, diventano insignificanti. Esempi di annacquamento.
- Se non si è sovrappeso con un IMC di 25, se il mio è 26, “praticamente” sono in peso forma…
- Se bere mezzo litro di vino al giorno è accettabile (letto su un sito che dovrebbe essere un riferimento nel campo dell’alimentazione; la dose salutistica massima va da 200 a 350 ml, secondo le fonti più accreditate), se anche ci aggiungo un paio di aperitivi e un digestivo cosa vuoi che cambi…
- Se fare 20′ di camminata al giorno è una sana attività sportiva, i dieci-quindici minuti che faccio per andare da casa alla fermata dell’autobus sono il mio sport!
- È vero che il fumo fa male, ma io non aspiro!
Non dire tutta la verità, addolcirla, cercare la parola giusta può essere utile se si fa il politico, ma, se si ha la presunzione di educare, è diverso perché esiste una parte della popolazione alla quale non puoi dire che ciò che a essa piace tu non lo giudichi positivamente. Certo, se i toni sono dolci, l’altro è pronto al dialogo, ma solo perché vuole convincerti sulle sue posizioni. Con questa strategia spesso il dialogo non è produttivo perché, se alla fine abbandoni per non scontrarti, hai solo perso tempo, se continui, alla fine sarà l’altro ad assumere posizioni sempre più dure (vuole avere ragione!) e lo scontro sarà comunque inevitabile. Con un percorso lunghissimo si può far ragionare una persona, ma la strategia vincente è diversa, la parresia:
meglio ottenere un risultato con 10 persone su 100 ed essere mandati al diavolo dalle altre novanta che piacere a tutte e cento, ma ottenere risultati solo con una o due (perché le altre 98 restano sulle loro posizioni, vittime dei loro alibi o dei loro condizionamenti).
A questo punto resta solo la seconda strada. I detrattori della linea dura sostengono che l’interlocutore potrebbe sentirsi offeso da paragoni in cui viene coinvolto direttamente e quindi fuggire ancora prima ancora di recepire il messaggio. In realtà, quando ciò accade, il soggetto non ha nessuna intenzione di cambiare la propria vita e usa il risentimento o la presunta offesa (visto che si parla impersonalmente) per mantenere il proprio status. In altri termini, è un soggetto che cerca solo compassione, ma non mette minimamente in conto di cambiare la sua visione del mondo, è uno spacciato che pensa di aver già capito tutto della vita quando invece non ha capito nulla (con l’analogia del drogato, è un soggetto che vuole la dose, non vuole disintossicarsi!).
Rottura, ma anche distacco
È però importante capire che la seconda strada prevede il distacco. Non si deve giudicare per sentirsi superiori, ma solo per “far sapere la nostra posizione nel modo più chiaro e diretto possibile”. Inoltre occorre essere propositivi, cioè proporre anche un percorso per migliorare chi ci sta di fronte. Consigliandolo ovviamente, non ordinandolo!
Quando la persona condizionata è posta di fronte a una tesi di rottura, è come se subisse un elettroshock che riazzera la sua mente. Quanto più si è distaccati quanto più si riesce a far reagire positivamente. Un paio di esempi.
Un medico ha di fronte un soggetto forte fumatore con enfisema. Può prescrivergli cure (che serviranno solo a sostenere il suo vizio) oppure dirgli chiaramente, ma con calma, lasciando al paziente la decisione, senza pressioni: se non smette di fumare, lei fra cinque anni sarà morto. Gli unici forti fumatori salvati sono quelli trattati con questa strategia.
Il test del moribondo è una famosa prova (percorrere 10 km in un’ora, non è certo necessario essere campioni per superarlo, basta qualche mese d’allenamenti) che ho ideato per dimostrare alle persone che il loro corpo non è efficiente. È vero che, fallito il test del moribondo, uno può dire: “Non faccio 10 km in un’ora, quindi sono uno sfigato”. Ma il bello inizia dopo questa frase.
Tizio dice: “Ma io non voglio esserlo!” e si dà da fare.
Caio invece comincia a piangersi addosso. Caio è uno spacciato. È quello che, dopo che hai speso due ore per spiegargli che, se la ragazza lo ha lasciato, ce sono cento altre, che l’amore non è tutto, che si possono amare tante cose, che bisogna essere felici con ciò che si ha, che la schiavitù da una persona non è amore ecc., ti guarda con faccia ebete e ti chiede: “Sì, sì, ma come faccio a riconquistarla?
LA MAIL
Linea morbida o linea dura?
Grazie, che dire,
non mi avete aperto gli occhi… ma mi avete aiutato ad accettare quello che già sapevo, e non ammettevo, su un insieme di cose assurde. Ho paura a scriverle…
Che dire, ora sarà ancora più dura, comunque meglio togliersi il prosciutto dagli occhi e affrontare questa vita… brrrr…
Non credo che sia stata la droga a farmi male, non solo quella almeno, anzi sinceramente le do un ruolo “marginale”. Ci si può auto-ingannare?
Che schifo e quanto c’è freddo poi. Ciao.