Onicofagia è un termine medico che popolarmente viene “tradotto” con l’espressione “mangiarsi le unghie“. In ambito psichiatrico l’onicofagia rientra nella categoria dei cosiddetti disturbi compulsivi.
Nel DSM IV (la quarta revisione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), l’onicofagia viene classificata tra i disturbi del controllo degli impulsi (condizioni psichiche le cui caratteristiche principali sono sia l’incapacità di trattenersi dal compiere un determinato gesto sia lo sperimentare, dopo il gesto stesso, una sensazione che a seconda dei casi può essere di sollievo, di piacere, ma anche di senso di colpa); rientrano nella stessa categoria dell’onicofagia disturbi quali cleptomania (la tendenza impulsiva al furto), piromania (intensa ossessione verso il fuoco) e tricotillomania (l’impulso di tirarsi, arrivando a strapparli, capelli e peli).
In base alla classificazione ICD-10 (International Classification of Diseases; in particolare, International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death, decima revisione), invece, l’onicofagia rientra tra i disturbi specifici del comportamento e delle emozioni che, classicamente, si presentano nel corso delle età infantile e adolescenziale.
Nei casi più gravi, l’onicofago (così viene definito il soggetto affetto da onicofagia), oltre alle unghie, mangia anche le pellicine e le cuticole circostanti.
Di norma il problema si manifesta in modo più eclatante quando il soggetto attraversa periodi particolari in cui è più nervoso, annoiato o comunque sottoposto a un determinato stress. Se in alcuni casi, l’onicofagia è sintomo di un lieve stato di ansia, in altri può essere spia di un disagio ben più marcato.
Chi è affetto da onicofagia ha di norma un comportamento compulsivo e ripetitivo nel mordere cuticole e pellicine intorno alle lamine delle unghie; il soggetto compie il gesto in modo inconscio e, per buona parte del periodo in cui si morde le unghie e le parti circostanti, non ha la percezione di portarsi alla bocca le mani per rosicchiarne le unghie.
Chi interessa?
L’onicofagia affligge soprattutto soggetti in età infantile e adolescenziale, ma in alcuni casi, se il problema viene trascurato dalle persone di riferimento del ragazzo (genitori, insegnanti ecc.) può protrarsi molto in avanti nel tempo.
Si ritiene che l’abitudine di mangiarsi le unghie sia rilevabile in circa un terzo della popolazione di età compresa fra i 7 e i 10 anni e in quasi la metà dei ragazzi in età adolescenziale. La stragrande maggioranza di costoro cessa in modo spontaneo di mangiarsi le unghie quando raggiunge l’età di trent’anni.
Generalmente il problema riguarda tutte le unghie delle mani e il modo di morderle porta solitamente la persona ad avere le unghie sempre della stessa lunghezza.

L’onicofagia è uno dei fattori predisponenti all’insorgenza del patereccio
Onicofagia – Cause
Perché alcuni soggetti provano l’incontrollabile tentazione di mangiarsi le unghie? In base alle teorie formulate da Sigmund Freud, l’abitudine del mangiarsi le unghie è un sintomo che può essere ricondotto alla cosiddetta fase di fissazione orale. La bocca è la parte attraverso la quale il bambino entra in contatto con la madre attraverso il seno di quest’ultima; nella primissima età, in effetti, l’esigenza più importante che il piccolo ha con il mondo esterno è quella di tipo alimentare ed essa viene esplicata appunto attraverso il contatto con il seno materno. È infatti tipico dei bambini molto piccoli portarsi tutto alla bocca: il seno della madre, gli oggetti che destano in lui interesse ecc. Tutte le fissazioni relative a questa particolare fase della vita vengono appunto dette fissazioni orali; queste ultime sembrano derivare dalla lunghezza eccessiva o troppo breve di questo particolare periodo.
L’elemento che accomuna le diverse fissazioni orali è l’eccessiva inclinazione verso comportamenti che coinvolgono il cavo orale (mangiare, bere, fumare, succhiare ecc.). Si ritiene che un evento traumatico durante tale periodo o reiterate frustrazioni nel corso dello svezzamento possano rendere “orali” i tratti del carattere di un soggetto. Probabilmente, il portare qualcosa alla bocca richiama in un certo senso l’esperienza del seno materno e il mangiarsi le unghie ha la stessa efficacia calmante.
Diversi autori sono concordi nel ritenere che alla base dell’onicofagia vi siano problemi di natura psicologica (per esempio, eccessive aspettative da parte dell’ambiente familiare, problematiche all’interno dello stesso ambiente, difficoltà nel gestire i propri stati ansiosi ecc.). Il problema ha la tendenza a scomparire in modo spontaneo nel momento in cui viene meno la causa che provoca il malessere, anche se può ripresentarsi qualora il soggetto attraversi un periodo per lui particolarmente stressante.
Onicofagia – Rimedi
Se per molti l’onicofagia rimane un problema di poco conto (non va comunque, se non altro dal punto di vista igienico, considerata una buona abitudine; non ci si dimentichi, per esempio, che l’onicofagia è uno dei fattori predisponenti all’insorgenza del patereccio, affezione nota popolarmente come giradito), in alcuni casi, quelli più gravi, l’unico rimedio valido è il ricorso a un trattamento psicoterapeutico al fine di individuare le cause alla base del disturbo e cercare di rimuoverle.
Bisogna però anche considerare che in moltissimi casi, il vizio di mangiarsi le unghie è il semplice risultato di una cattiva abitudine che si è protratta nel tempo e non vi sono altre cause sottostanti di carattere psicologico; in alcuni casi, per esempio, i bambini iniziano a rosicchiarsi le unghie soltanto perché si trovano, come spesso accade ai più piccoli, a imitare i gesti dei propri genitori o di persone a loro vicine, senza che vi siano dietro al gesto motivazioni psicologiche di qualsivoglia natura.
Nei casi non collegati ad altri gravi disturbi della personalità, l’onicofagia può essere risolta semplicemente aumentando la volontà anevrotica del soggetto; in sostanza ci si deve imporre il raggiungimento di obiettivi a prescindere dalla gratificazione concreta (prova anevrotica). L’unica gratificazione deve essere il controllo che noi abbiamo sulla psiche e sul nostro fisico.