Leggere anche: La mentalità meridionale
LE MAIL E I COMMENTI
(In)civiltà borbonica
Volevo parlarti di alcune cose che succedono qui giù nel napoletano.
Vivo a San Giorgio a Cremano, ridente paesino alle falde del Vesuvio confinante con alcuni dei quartieri più caratteristici dello spirito goliardico partenopeo: San Giovanni, Barra e Ponticelli. è proprio da quest’ultimo che voglio partire… Devi sapere che molti anni fa vennero costruiti in questo quartiere interi casermoni di cemento per sopperire a quel dramma che fu il terremoto dell’80. Purtroppo, oltre che estetico, il problema è anche sociale. Densità criminale che sfiora il 90%, varie piazze di spaccio di stupefacenti e qualità della vita, nonché civiltà, pari allo zero.
Devi sapere che però fra una serie di casermoni e l’altro nasce un parco pubblico dove all’esterno è stata costruita una simpatica pista podistica. 1.500 metri di corsia dedita al nostro beneamato sport. La cosa divertente è che non viene usata sempre per il più nobile degli sport (no, non la boxe 😉 )… ma anche come pista per bici, pattini, motocross, minimoto, miniauto, modellini radiocomandati, ecc.
Tralasciando questo, che volendo non è proprio un grosso problema (l’ottimismo della disperazione – N.d.D.), c’è da dire che negli anni (si correva attorno a questo parco anche prima che costruissero la pista) si sono viste numerose persone allenarsi anche per gare importanti. Certo a volte può capitare che qualche “amorevole” bambino spari qualche pallettone, col suo bel fucile ad aria compressa, dal proprio balcone che si affaccia sulla pista (in effetti chi di noi non sarebbe tentato dal colpire tutti quei bersagli in movimento?). Può capitare che nel correre si venga superati da qualcuno che poi si scopre essere inseguito da qualche poliziotto… ma alla fine l’importante è correre, noo??
Beh, ci sarebbe tanto da dire… Tu che pensi di questa città? Come si può catalogare un dramma come quello che viviamo qui? Sembra uno scherzo del destino: una città dall’apparenza bellissima, ma che nasconde (e non tanto, pensandoci bene) al suo interno un male così profondo e radicato da non poter vedere nascere nulla di costruttivo. Com’è possibile vedere così tante persone dedite alla violenza? E non solo quella criminale… Qui ognuno si sente depredato di qualcosa da chiunque altro gli stia accanto. Ognuno sente di dover fare la voce grossa con la scusa di non voler essere sopraffatto… Ognuno crede (e pretende) di essere più furbo degli altri… Qui i bambini sognano di fare i camorristi, sognano di non dover più andare a scuola, di fare paura al prossimo, di incutere timore e ricevere rispetto. Com’è successo che siamo arrivati a questo punto? Se esiste un male dove ne è l’origine? Qui ormai non c’è più una distinzione fra il nero e il bianco…. c’è solo una grande sfumatura di grigio… Lo vedi soprattutto nelle istituzioni: le forze di polizia (quando non sono corrotte) pullulano di fanatici arroganti che alzano la voce con i più deboli e calano lo sguardo davanti ai veri criminali; i politici che fanno affari coi camorristi; i funzionari della Pubblica Amministrazione che sono comandati dal boss di turno; ecc. Le poche persone perbene che c’erano, o sono emigrate, o sono state uccise, o si sono vendute, o cercano semplicemente di sopravvivere a questa città maledetta… e pensare che c’è ancora qualche temerario turista che mette piede qui. Com’era quel detto? “Vedi Napoli e poi muori!!”… beh, ora ne capisco il perché. Saluti… Pasquale (pSy) Mauriello.
Le tue domande pesano come macigni e, prima di tentare una sintetica risposta, devo premettere alcuni fatti che ritengo incontestabili.
- Ragioni storiche – Sicuramente il Sud non è riuscito a recuperare il distacco inflittogli dalla dominazione dei Borboni. Sembra assurdo, ma, considerando il solo progresso sociale, la linea di demarcazione fra Nord e Sud è ancora quella del vecchio regno borbonico.
- Ragioni economiche – Le condizioni nel napoletano oggi non sono certo migliori di quelle che per esempio c’erano nelle campagne lombarde nel 1850. Eppure in quell’epoca la povertà al nord non significava automaticamente violenza e criminalità. Se analizziamo la differenza, dovrebbe essere chiaro che il Sud contemporaneo è uno degli esempi più evidenti di come la presenza di ricchezza su un substrato culturalmente non pronto non possa che generare criminalità. In parole povere, se girano soldi (pensiamo ai numerosissimi appalti susseguitisi negli anni) e modernità in un ambiente che culturalmente non è pronto a riceverli, non può che scatenarsi la caccia alla (facile) ricchezza. Questa tesi dovrebbe mettere in guardia chi pensa che con i soli aiuti umanitari si possano migliorare le condizioni del Terzo Mondo. Senza cultura succederebbe quello che succede ora a Napoli. Non a caso i posti del Sud dove tutto sommato si vive bene sono quelli dove c’è stato uno sviluppo compatibile con la realtà del territorio, cioè con le risorse del territorio.
- Ragioni sociali e personali – È quella mentalità meridionale di cui parlo nell’articolo del sito (Mentalità meridionale). Tu descrivi in maniera magistrale quella violenza (criminale e non) che è alla base dell’inciviltà delle persone. Il grave è che al Sud non hanno capito che la violenza non criminale è comunque esecrabile e “patologica”. È abbastanza inutile fare cortei contro la mafia e la camorra quando poi fra le mura domestiche ci si comporta come un padrino o un boss. Non è un caso che la malavita organizzata si basi sempre su tratti negativi della personalità di chi subisce (la mafia cinese sulla debolezza dei cinesi, la yakuza giapponese sul senso dell’onore dei giapponesi, la mafia russa sull’esaltazione della forza e della violenza presenti nelle società slave).
Che fare? – Sul primo punto c’è poco da fare, se non cercare di cancellare quei confini con mezzi che confini non hanno: televisione (più che giornali) e Internet hanno il difficile compito di far arrivare a tutti una realtà diversa da quella che i napoletani sono abituati a vivere, cercando di convincerli che si può vivere “diversamente” e soprattutto “bene”. Questi mezzi hanno anche il compito di sgretolare quella mentalità meridionale che ho trattato nel terzo punto. Sul secondo punto la parola magica è autosufficienza. Finché arriveranno soldi dall’esterno e non verranno prodotti sul posto, ci sarà sempre qualcuno che si darà da fare per prenderseli, anche perché, moralmente, non deruba nessuno dei suoi conterranei o dei suoi amici. Nel frattempo le istituzioni dovranno cercare di portare cultura anche dove sembra impossibile possa attecchire. Senza cultura non c’è pace.
Quanto ci vorrà? Probabilmente diverse generazioni. Per questo, io me ne andrei. Sento già le obiezioni: “ma se tutti facessero come te, chi risolverebbe il problema?”. Forse nessuno, ma senza nessuno da taglieggiare la criminalità non vincerebbe. Si fa come con gli incendi: si fa terra bruciata intorno per far in modo che le fiamme non abbiano più nutrimento. Visto che i politici, di destra e di sinistra non sanno risolvere il problema (domanda per tutti i prossimi aspiranti premier: “ci promette che in 5 anni Napoli diventerà vivibile?”), vorrei che mi spiegassero perché siamo pronti a capire e ad accogliere chi lascia terre lontane dove non ha prospettive e poi saremmo i primi a condannare chi lascia Napoli.
Non c’è differenza fra Nord e Sud
Caro Roberto, ho letto la tua puntuale definizione di “mentalità meridionale”. Hai precisato con saggezza che la definizione ha una validità statistica. Hai fornito 5 elementi che definiscono la mentalità meridionale:
- l’arte di arrangiarsi infrangendo le regole
- l’attaccamento morboso alla famiglia
- il dominio del maschio
- la giustificazione alla violenza a difesa dell’onorabilità
- la visione preistorica della religione.
Io ti rispondo per Napoli, non per Bari, Matera o Lecce (anche se sono convinto che le cose anche lì siano analoghe); ti rispondo cioè per le cose che conosco bene evitando di fare un po’ come Salgari che ci raccontava di posti lontani senza esserci mai stato. In sintesi, sui 5 punti che ci hai affibbiato, ti dico: il punto 1 (arrangiarsi infrangendo le piccole regole…) è verissimo. I punti 3, 4 e 5 per niente. Mi spiego meglio; se nella statistica escludiamo i casi che presentano una varianza eccezionale rispetto al sentire medio italiano per quanto riguarda la condizione femminile, la giustificazione alla violenza e la religione, la tua affermazione è completamente sballata. Questi casi che presentano una varianza elevata non sono percentualmente significativi. Cerco di essere più chiaro: se mi elimini, e qui do dei numeri a caso, 30000 casi su 1 milione di abitanti (tra i 30.000 hai quelli che vedi al miracolo di San Gennaro, ecc.) io affermo che non esiste alcuna sostanziale differenza tra il napoletano medio ed il padano medio rispetto ai punti 3, 4 e 5. Per quanto riguarda il punto 2, “attaccamento morboso” alla famiglia, dovremmo in primo luogo definire cosa significa “morboso”. Certo che se nel “morboso” rientra l’interessarsi anche della salute, del successo, dei problemi dei propri familiari, non lasciare un familiare anziano solo a morire in un ospizio o non lasciarlo morire in solitudine in casa salvo poi accorgersene dopo un mese, se si intende offrire aiuto al familiare che perde il lavoro, e allora sì, lo ammetto: a Napoli abbiamo mediamente un grande “attaccamento morboso” alla famiglia. Ettore
Le tue motivazioni hanno un baco di fondo, pur risultando verissime. Dico più volte che il sud sta cambiando e che ci vorrebbe poco. Ma quel poco è proprio quel 5% che tu banalizzi. È proprio quel 5% che fa la mentalità meridionale e rende “palpabili” le differenze con il nord. Si tratta cioè di metterci d’accordo su cosa si intenda per statistica interessante nella questione di cui stiamo parlando.
Se io esamino un fatto grave, non mi interessano i grandi flussi, mi interessano le deviazioni, le condizioni al contorno, gli eccessi. A un popolo in cui il 5% muore di fame, tu non puoi dire, ma l’altro 95% sta bene! Sono proprio gli eccessi di cui tu parli che fanno il problema, quel 5% (mi piace molto l’esempio di San Gennaro), perché influenzano in maniera drammatica la restante popolazione. In altri termini, è banale che i camorristi a Napoli sono una minoranza, ma il 5% è disastroso… È banale che il 5% (uso questo dato, tanto per fissare un numero) di gente che porta in processione la Madonna un giorno sì e l’altro pure non crea problemi, ma qui al nord il corteo sarebbe investito da gente che ha fretta di andare a lavorare o di andare a divertirsi. Insomma, in un Paese (Italia) in cui un partito che ha il 5% è un partitone, non puoi “ignorare” questi numeri, seppure piccoli rispetto al totale. Qui stiamo parlando di comportamenti deviati dove anche l’1% è importante. Anzi, ti dirò di più, il sud emergerà a nuova vita quando quel 5% sarà ridotto a meno dell’1% …
Sull’atteggiamento morboso hai compreso benissimo: il privilegiare il concetto di familiare rispetto a quello più generico di amico. Se uno mi ama più di mio fratello è il mio nuovo fratello: questo al sud sarebbe impensabile. Al sud il familiare ha dei diritti, a prescindere dal suo valore, è “migliore” per definizione rispetto a chi familiare non è.
Le iniziative giuste
Ciao Roberto,
ti scrivo poche righe in merito a ciò che ho letto sul vostro sito a proposito di NAPUL’È. Mi presento mi chiamo Gennaro ho 31 anni e sono della provincia di Napoli, da 12 anni oramai non vivo più a Napoli, anche se di tanto in tanto ci ritorno perché ho ancora dei legami. Attualmente vivo nel sud del Libano per motivi di lavoro, come sai questa zona del Libano è a maggioranza composta da musulmani e spesso a malincuore mi accorgo che sono troppe le analogie con il mondo in cui sono cresciuto (nessun rispetto per il codice della strada, piccoli taglieggiamenti ai parcheggi, prepotenza gratuita, invadenza familiare ecc., ma l’elenco potrebbe essere lungo). È triste dover ammettere tutto ciò, per chi come me ama la propria terra, ma io voglio e pretendo di vivere in maniera civile, in un paese civile dove ci sia il rispetto tra le persone, dove si possa vivere in armonia con ciò che ti circonda, dove la “qualità della tua vita” sia superiore di quella in cui hai vissuto.
Non saprei però se la situazione nel meridione possa MAI cambiare, se tutti quelli che come me ed i miei amici non ci stanno e vanno via chi rimarrà per creare le basi dei cambiamenti futuri?
Sono però convinto che la situazione è, e rimarrà così: in questo modo chiunque arrivi potrà fare promesse e intascare una marea di voti; ma sono anche convinto che se TU governatore ti sforzassi di migliorare la società anche la gente cambierebbe. Un esempio pratico? Come sai a Napoli stanno costruendo nuove linee metropolitane e ogni fermata è diventata, grazie all’intervento di artisti contemporanei un museo all’aperto, questo progetto ha interessato anche gli abitanti delle zone, che non solo sono diventati gelosi custodi di questo museo, ma pretendono anche che i miglioramenti siano apportati a tutto il quartiere, questo solo per dire, che se si dà una possibilità a qualcuno forse qualcosa cambierà.
L’esempio (sostanzialmente socio-culturale) che hai fatto è il modo corretto per spiegare che migliorare la qualità della vita non si ottiene semplicemente dirottando soldi al mezzogiorno, ma coinvolgendo la popolazione in un miglioramento che è sia materiale sia morale.
Il cambiamento
Mi consenta uno “sfogo”: dal Sud (Ischia)
VOGLIO ESPRIMERE IL MIO PIENO E TOTALE ACCORDO ALLE SUE CONSIDERAZIONI SULLA MENTALITA’ MERIDIONALE (nella sezione Personalismo). So che una mail così è inutile, ma, ripeto, è uno sfogo. Chiedo scusa per il disturbo e la saluto. Admeto.
Non penso proprio che la tua mail sia inutile, anzi. L’articolo sulla mentalità meridionale produce un buon flusso di mail, alcune di critica, altre di approvazione. Fra queste, molte vengono dal sud. Ciò significa che qualcosa sta cambiando (a dispetto dei pessimisti che ritengono che tutto rimarrà ancora tale e quale per secoli). Ho detto più volte che avere una mentalità (settentrionale, meridionale ecc.) è molto limitante perché identifica un atteggiamento mentale che per forza di cose, riferendosi a una regione piuttosto che a un’altra, è ristretto. Il vero progresso si ottiene quando il nostro cervello è libero dai condizionamenti del posto in cui si è nati. La comunicazione moderna (giornali, televisione, Internet ecc.) sta facendo molto per creare una mentalità “comune” che si ispiri solo a ciò che giusto, migliore, positivo.
La violenza: Napul’è
Gentile dott. Albanesi,
leggevo prima l’articolo sui meridionali ed ho pensato di dire alcuni miei pensieri. La mentalità che c’è qui giù, dove i portabandiera sono i miei compaesani napoletani, è di credersi invincibili a tutto e a tutti. Non portare il casco e’ una prassi che serve a far vedere, nei giovani, la loro forza e il loro “coraggio” ad andare contro le istituzioni e, nel caso di incidente, nel rischiare la vita. Da aggiungere che in alcuni quartieri c’è anche l’impossibilità , perché prescritto dalla camorra, di portare il casco perché coprendo la faccia non ne permette l’identificazione del soggetto e quindi può essere pericoloso per i boss che ci abitano.
Anni fa mi capitò di scontrarmi con un motorino a un incrocio in cui io avevo la precedenza. Non portando gravi conseguenze né io e né loro (purtroppo erano ancora interi), ebbero l’ardire di minacciarmi cercando la mia reazione. Fortunatamente non sono persona da cadere in certe istigazioni e me ne andai per la mia strada. Dopo venni raggiunto dagli stessi tipi che continuavano a minacciarmi e a colpire la mia auto. Avendo capito di rischiare la vita, prontamente li colpii e loro caddero rovinosamente. Uno di loro nel cadere perse l’uso delle gambe e l’altro invece se la cavò con un mese di ospedale. Morale della favola ho dovuto subire anche un’indagine dove, grazie anche al mio avvocato, non ho subito fortunatamente conseguenze. La cosa più assurda che non riuscivo a capire era com’era possibile che due ragazzi su un motorino credessero di essere più forti di una persona chiusa in auto. Se fossero stati armati me la sarei vista veramente brutta e infatti al Pm dissi che quando li colpii stavano facendo il gesto di cacciare un’arma. Beh, dopo tanto tempo e tanti fatti di cronaca simili letti sul giornale ho capito che per questa città non c’è più niente da fare. Questa è una città che sta implodendo su sé stessa e finché non ci sarà una civiltà di cittadini degna di tale nome non penso che si potrà fare molto.
Forse perché sono un inguaribile ottimista, ma la speranza c’è. E parte proprio dalle tue ultime frasi. Sono perfettamente d’accordo con la “civiltà di cittadini”. Per realizzarla non servono soldi (che finiscono in mano alla camorra, alla mafia ecc.), ma soprattutto “cultura”. Dare un lavoro a un giovane disoccupato può essere utile, ma non si cambia granché se non gli si offre anche la cultura per cui possa capire che l’esistenza dell’uomo non si riduce solo a concetti come denaro, potere, dominio, violenza ecc. Del resto se i giovani del sud che si lasciano irretire dalle organizzazioni criminali avessero un buon grado di cultura, capirebbero che il consiglio di non aderire alla criminalità non è etico (leggasi morale, se la parola è troppo difficile), ma pratico: se su 100 malavitosi, 30 muoiono ammazzati, 50 finiscono in carcere, 19 devono nascondersi per tutta la vita, fare il malavitoso conviene???
Lo sport al Sud
Carissimo Ing. Albanesi,
le scrivo, più che per chiederle un consiglio, per sfogarmi sul pensiero comune che nei paesi del Sud (abito in Prov. di Lecce) si ha del running. Ero un podista appassionato, mi allenavo in media quattro volte a settimana per al massimo un’ora e mezza, mi nutrivo in modo equilibrato limitando dolciumi, merendine e fritti tanto da pesare 65 kg per 1,76 m. Veniamo al perché ho detto che ero un podista e ora non lo sono più; il motivo è semplice: il pensiero comune delle persone che considerano sportivo chi va in palestra a farsi i muscoli e non chi nutre una passione differente che però lo fa diventare “una larva umana senza muscoli e per nulla attraente”; le virgolette sono di mia moglie che da palestrata appassionata mi ha detto chiaramente che dovevo ingrassare almeno quattro chili e che avrei fatto meglio a non sprecare il mio tempo a correre come uno stupido. A nulla sono valse le mie dimostrazioni rispetto alla salubrità del running rispetto al suo “palestrismo” per cui ho dovuto per “amore” abbandonare tutto e darmi alle pantofole! Grazie per la sua cortese attenzione! Un podista sconfitto.
Il tuo comportamento, caro ex-podista, è sbagliato perché ti sei lasciato vincere dalla mentalità arretrata che ti è intorno. Il tuo comportamento è simile a quello della ragazza che accetta l’orribile marito imposto dai genitori, rinunciando all’amore della sua vita. Dai troppo importanza a cosa gli altri pensano di te. Tu non sei bravo perché gli altri ti applaudono, né sei un imbecille perché uno ti dà del cretino. Il tuo valore devi trovarlo da solo, dentro di te, con le cose che il tuo cuore vuole vivere. È preistorico pensare che per amore si debba rinunciare a essere sé stessi. Se fosse come dici, perché tua moglie per amore non rinuncia alle sue convinzioni e ti accetta come sei? Certo fra vent’anni, quando sarai una vera larva umana, grassa, con il cuore che non regge più il colesterolo dei continui pranzi domenicali fra parenti, avrai la soddisfazione di dire a tua moglie: “vedi, se avessi continuato a correre, non dovresti ora sopportare un invalido”. Mi sembra però una magra consolazione.