Quando si parla di libertà di espressione subito il pensiero corre alla stampa ed è facile citare i molti esempi contenuti nelle varie costituzioni. Per esempio, il primo emendamento della costituzione americana, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948), la costituzione della repubblica federale di Germania (1949), la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata dall’Italia nel 1955) sanciscono la libertà d’opinione e di espressione.
La costituzione italiana (art. 21) ci dice che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
In ogni Stato la legge fissa i limiti alla libertà di espressione, per esempio in caso di buon costume, di apologia di reato, di diffamazione ecc. Più sfumato il limite relativo all’ingiuria, tanto che la Cassazione ha precisato che “la reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità professionale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico. Non costituiscono, pertanto, offesa alla reputazione le sconvenienze, l’infrazione alla suscettibilità o alla gelosa riservatezza”.
Ma allora perché quando si apostrofa una persona con una frase del tipo “tu stai dicendo fesserie!” (sto liberamente esprimendo il mio pensiero), pur non infrangendo nessuna legge, spesso la controparte o altri ci vogliono bocciare, censurando di fatto la nostra libertà di espressione?
Ci sono sostanzialmente due posizioni.
Il permaloso – Non accetta di essere giudicato; il nostro tono aggressivo gli permette di far scattare la difesa per risentimento, un grave errore razionale: non avendo argomenti validi, ci si attacca al tono con cui un argomento è stato esposto. Occorre notare che, non accettando il giudizio su di sé e sulle sue idee, il permaloso tenderà sempre e comunque a replicare anche a un tono pacato, ma che esprima una sostanziale distanza fra le due posizioni, una sostanziale incompatibilità. Soprattutto se è violento, tenderà ad avere sempre l’ultima parola.
La mia attività in Rete mi ha fatto conoscere moltissimi permalosi/violenti. Per loro ho confezionato una risposta standard; dopo due o tre risposte “costruttive”, una volta verificato che il livello di incompatibilità è alto (e quindi inutile un dialogo via mail) mando una risposta standard: “Le nostre posizioni sono troppo distanti. Non replicare tanto non ti rispondo più”.
Naturalmente il permaloso/violento non sa smettere e, volendo avere l’ultima parola, rimanda una mail, spesso chilometrica (che ovviamente non leggo neppure). Al che riceve nuovamente la mia mail standard e così via. Il record è di un soggetto che su un tema piuttosto banale è riuscito a rispondere 18 volte alla mail standard pur di avere l’ultima parola.
Cosa dire al permaloso? Se è giudicata, la persona equilibrata riflette sul giudizio; se questo è sensato lo utilizza per migliorare, se non lo è, ci ride sopra e, in presenza di danno reale (come una diffamazione), può passare anche all’azione, usando la forza calma.
Il santo – Alcuni ritengono che giudicare sia sbagliato e si vantano di non giudicare mai. Se è vero che molte persone non le valutiamo semplicemente perché entrano marginalmente nella nostra vita, è altresì vero che quelle che “ci toccano” da vicino subiscono la nostra valutazione. Il santo tende a essere tollerante (anche se a volte confonde la tolleranza con il rispetto), ma tollerare non vuol dire non giudicare, tant’è che comunque non può esimersi dall’usare aggettivi negativi quando parla di persone con lui incompatibili, soprattutto moralmente. Può permettersi di credere di non giudicare solo perché porta a sé stesso esempi in cui tutto sommato non gli importa nulla del difetto dell’altro. Se però ha un minimo di personalità, ecco che, quando discute di argomenti per lui vitali, non lesina a mostrare valutazioni indirette come stima, biasimo ecc.
Se ha una personalità forte, un alibi che usa molto spesso è di disprezzare comportamenti o categorie, ma non direttamente i singoli, senza accorgersi che quando disprezza un comportamento disprezza automaticamente tutti coloro che lo manifestano e quando disprezza una categoria disprezza tutti coloro che vi appartengono.
Per smontare la sua aureola, basterebbe che riflettesse: se per lui l’argomento X è prioritario, non può stimare allo stesso modo chi plaude a ciò in cui lui crede e chi per esempio irride gli stessi valori. In realtà, il santo si autoconvince di non giudicare perché per lui l’essere buono è il fondamento della sua autostima, non a caso è spesso patosensibile.
La frase – “Non giudicate e non sarete giudicati” (Luca 6,37), sembra il motto del santo (non giudicare) e del permaloso (non essere giudicato). Peccato che, se interpretata logicamente, la frase evangelica non sia una condanna del giudizio. Infatti, perché mai essere giudicati deve essere considerato negativo? In realtà, solo chi non è equilibrato teme il giudizio.
Non giudicare e non sarai giudicato, ma una persona intelligente giudica e accetta il giudizio altrui: solo i permalosi non accettano di essere giudicati!
La soluzione – In realtà basta considerare ogni giudizio valido non in assoluto bensì relativamente al nostro modo di vedere il mondo che, a meno di non essere intolleranti, è una delle possibilità, uno dei punti di vista, non l’unico (per esempio, sono convinto che il Personalismo sia una strada che porta alla felicità, non ho la pretesa che sia l’unica).
Se dico che Tizio è una persona che non stimerò mai ecc. non faccio altro che sottintendere “coerentemente con i miei comportamenti non posso che giudicare Tizio ecc.”. Ovvio che Tizio può fare lo stesso con me. La consapevolezza che io sono il metro di giudizio rende la valutazione valida solo per me (per esempio, per costruirmi il mondo dell’amore) e blocca sul nascere ogni intolleranza: “tu dici un sacco di sciocchezze, ma ti tollero perché tu puoi pensare lo stesso di me”.
Premesso che esiste la legge per sancire i limiti della libertà di espressione, è utopistico sperare di usare un linguaggio che non ferisca mai nessuno. Se una persona (che non è necessariamente debole psicologicamente, anzi magari è forte) mi vuole vendere delle sciocchezze, ho tutto il diritto di esplicitare il mio pensiero.
Del resto, i giudizi non si danno solo con le parole: più di una frase sgarbata, può fare la bocciatura per un posto di lavoro o un voto a scuola. Quando un professore dà 4 a un tema di uno studente equivale a dirgli che il suo tema fa schifo!
Per il santo:
non bisogna assecondare i deboli, ma farli diventare forti. Altrimenti, per quanto li si assecondi, resteranno sempre degli irrecuperabili.

Premesso che esiste la legge per sancire i limiti della libertà di espressione, è utopistico sperare di usare un linguaggio che non ferisca mai nessuno.
I limiti della libertà di espressione
Cerchiamo di definire i limiti della libertà di espressione. Iniziamo da un errore classico: “un Paese è tanto più civile quanto meno limita la libertà di espressione”. Se fosse vero, vorrebbe dire che libertà di espressione e civiltà sarebbero direttamente proporzionali, ma è banale trovare casi in cui un’eccessiva libertà di espressione è proprio contraria alla civiltà. Si tratta cioè di una frase a effetto, utilizzata in modo acritico. Pensiamo al reato di diffamazione: io non posso andare in giro a sostenere che Tizio o Caio sono ladri se non ho prove (a prescindere dal fatto che lo siano veramente), la mia libertà di espressione è limitata proprio per una questione di civiltà. Pensiamo ai pedofili: si riuniscono in un gruppo e pretendono di divulgare la loro filosofia di vita sui media, Internet compresa: dubito che un genitore riterrebbe questa libertà di espressione un segno di civiltà.
Un altro errore è di rapportare a sé la situazione: “a me X non offende, quindi perché vietarlo?”. Se vedo un uomo nudo per strada che si masturba, a me non fa né caldo né freddo, ma è dura sostenere che “deve essere lasciato libero di esprimersi”.
Così ho dialogato tempo fa con chi difendeva il diritto delle donne islamiche alla libertà di indossare il burqa, ma si trovava poi in imbarazzo quando facevo presente che non aveva mai preso la stessa posizione nei confronti per esempio del reato di apologia del fascismo o delle condanne di chi nega l’olocausto.
Quindi cerchiamo di non vivere di utopie, ma chiediamoci quale sia il limite della libertà di espressione. A mio avviso, gli esempi soprariportati ci dicono che tale limite è nell’incompatibilità dell’espressione con la società in cui ci si esprime.
Io con un pedofilo, un neonazista, un fondamentalista islamico compatibile non sono.