Mi capita spesso di scontrami con il concetto di rinuncia quando evidenzio a qualcuno che “se parla di sacrifici, non sta amando quello che fa”. Ci sono sostanzialmente due posizioni:
- Una vita senza sacrifici non è possibile.
- Il soggetto cambia termine e introduce “la rinuncia” (beh, non si tratta proprio di sacrifici, ma di rinunce…).
Di solito colpisco qualcosa d’importante per il mio interlocutore: l’avere figli, un risultato sul lavoro o nella vita privata (arrivato dopo “tanti sacrifici” ecc.) e la prima non è che una difesa per risentimento: che nella vita ci siano sacrifici ci sta, ma non certo per un oggetto d’amore. Per chi non è convinto, rimando all’articolo sulla soddisfazione (ved. paragrafo sui sacrifici).
Il secondo punto a mio avviso è più interessante e parte dalla costatazione che “qualunque scelta noi facciamo rinunciamo a qualcosa”, sottintendo la rinuncia all’alternativa non scelta. In realtà c’è un equivoco sulla parola rinuncia. La rinuncia implica (Treccani) l’abbandono volontario di beni o soddisfazioni che si potrebbero avere o sperare. Beni o soddisfazioni, quindi qualcosa di positivo. Se messo di fronte alla scelta se vivere o morire, io scelgo di vivere, suonerebbe piuttosto comico se qualcuno mi dicesse “ma come, tu hai rinunciato a morire?”.
Facciamo un esempio classico. Devo scegliere fra un oggetto d’amore e la festa di compleanno di un mio amico. Rinuncio a partecipare a un evento che implica il mio oggetto d’amore e vado alla festa dell’amico (altrimenti magari si offende)? Se ho dubbi nella scelta, probabilmente (visto che definire oggetto d’amore un amico suona strano, non è un figlio o un partner) quello che io credevo un oggetto d’amore non è tale oppure sono talmente condizionato dalle convenzioni sociali da “rinunciare” al mio oggetto d’amore e andare alla festa di compleanno dell’amico (peggio ancora se si tratta della festa del mio capo, alla Fantozzi).

Il concetto di rinuncia spesso viene ammantato di un significato positivo che non necessariamente ha
Molti si chiederanno come sia possibile che non mi dispiaccia nemmeno un po’ rinunciare alla festa. No, zero. L’evento collegato all’oggetto d’amore azzera ogni presunto beneficio dell’alternativa. Di solito questo si capisce per eventi negativi, magari luttuosi: se per esempio mio figlio sta male, è stato portato all’ospedale, della festa dell’amico non mi importa nulla. Bene, se X è veramente un oggetto d’amore, vale anche al positivo: non vivere l’evento collegato a X sarebbe illogico come lasciare il figlio all’ospedale e andare a divertirsi dall’amico. La difficoltà di comprendere il concetto sta proprio nel non comprendere che un oggetto d’amore (qualunque esso sia) non è negoziabile.
P.S.: E se ho più oggetti d’amore? In questo caso vale il principio della rotazione che li mette in una scala di priorità, vedasi l’articolo corrispondente.