Disinformazione
Sono ovviamente tantissimi gli esempi di disinformazione; ne abbiamo scelti due che hanno suscitato molto scalpore negli anni passati.
Il titolo di un articolo comparso su Corriere Salute (2012) è La premonizione non è leggenda: esiste davvero. Nel testo dell’articolo si descrive la ricerca (frutto del lavoro di un team formato dai ricercatori delle americane Northwestern University e University of California – Irvine e dell’italiana Università di Padova) che ha analizzato i dati di 36 studi (1978-2010) e a poco a poco si corregge il titolo iniziale (chissà quanti ricorderanno solo il titolo, il vero delitto attribuibile al giornalista!) arrivando alla verità: la ricerca dimostra “solo” che la premonizione riguarda gli aspetti biologici della nostra vita; in altri termini, in alcuni casi siamo in grado di prevedere in modo molto “debole” (questo il termine usato dagli scienziati) eventi imminenti (si parla di una manciata di secondi) che comunque ci aspettiamo: evidentemente ci sono persone che hanno “antenne” migliori di altre, in grado di captare qualche secondo prima il verificarsi di un evento. Messa così, il titolo è un vero e proprio reato di disinformazione, peraltro probabilmente supportato dalle interviste dei ricercatori che hanno tutto l’interesse che si parli della ricerca. Regola del titolo:
se il titolo di un articolo non è conforme al contenuto, l’articolo è un articolo spazzatura.
Sul Corriere della Sera del 21 aprile 2005 uscì un pezzo dal titolo Sorpresa Usa, un po’ di pancia allunga la vita a firma Alessandra Farkas. Viene riportata una ricerca USA che dimostrerebbe che avere qualche chilo in più favorirebbe la longevità.
Williamson e Flegal, del Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (CDC), e Graubard e Gail, del National Cancer Institute, hanno preso in esame le morti di 55.000 soggetti avvenute nell’anno 2000, dai 25 anni in su. Avrebbero scoperto che l’aumento del rischio di morte riguarda soltanto gli “obesi estremi”: cioè solo l’8% dell’intera popolazione americana. La sorpresa è che le persone normopeso avrebbero un rischio maggiore dei sovrappeso.
Secondo il New York Times lo studio sarebbe condotto da scienziati indipendenti nel modo più rigoroso possibile. Vediamo come i geniali ricercatori hanno diviso le categorie.
Come spiega la professoressa Flegal, le categorie “sono create secondo un body mass index (BMI, o IMC all’italiana, N.d.R.) che mette in rapporto il peso corporeo con l’altezza, senza prendere in considerazione il sesso della persona. Chi è alto 1 metro e 76 centimetri e pesa meno di 55 chili è considerato sottopeso, se raggiunge una media di 55-74 chili è normale e se ingrassa fino a pesare tra i 75 e gli 89 chili viene catalogato come sovrappeso. Quando lo stesso individuo arriva a 90-103 chili è obeso, per diventare gravemente obeso quando l’ago della bilancia oltrepassa i 104 chili”.
Riporto ora dal Corriere:
Se «obesità» ed «estrema obesità» provocano circa 112 mila morti all’anno (su un totale di 2 milioni di decessi registrati negli Usa ogni 12 mesi), l’essere sovrappeso ne previene circa 86 mila. Il che riduce il numero di morti nelle tre categorie a soli 26 mila, contro i 34 mila morti «in eccesso» causati dalla magrezza estrema.
Già questi dati non sono chiari e la giornalista che li ha riportati ha sicuramente fatto confusione. Infatti anche la grafica continua a citare “morti a causa di problemi di peso”. Si doveva riportare il dato delle 5 classi e mostrare che la classe sovrappeso era quella che ne aveva meno. Invece, se rileggete la frase, vi rendete conto che 86.000+26.000 fa 112.000, ma allora che significa la frase “il che riduce il numero di morti nelle tre categorie” (quali sono?)? Sembrerebbe che 26.000 sia il totale di sottopeso+normali+sovrappeso, ma poi si dice che i sottopeso causano 34.000 decessi.
Ricapitoliamo:
- la giornalista cita dei numeri senza capirne il significato reale;
- non c’è nessun confronto fra il numero di morti nella classe normopeso e in quella sovrappeso.
Basta leggere l’articolo originale per capire cosa i ricercatori volessero dire e riportare i dati nella loro correttezza: rispetto ai normopeso gli obesi hanno 111.909 morti in più, i sovrappeso 86.094 in meno e i sottopeso 33.746 in più. I dati sono relativi alla popolazione dei normopeso, non sono assoluti come il testo e la grafica vorrebbero far credere! Incredibile: diffusione di una notizia completamente incoerente su un giornale nazionale.
L’altro dato incredibile è che sono state riportati commenti di alcuni ricercatori (evidentemente medici con poco spirito critico) “contrari” alla ricerca che biascicavano solo qualche obiezione, direi, puerile. Ben altre sono state le obiezioni che negli USA la ricerca ha sollevato; infatti gli studi che contraddicono la ricerca in questione sono tantissimi. L’obiezione più comune (e allineata con il nostro sito) è che nella classe normale erano compresi anche individui che devono definirsi sovrappeso (quelli con indice fra 22 e 25), quindi la classe normopeso si beccherebbe anche le morti di molti sovrappeso. Non solo: come riportato da diversi siti americani, alcuni ricercatori della CDC si sono opposti alla pubblicazione della ricerca perché il metodo era molto dubbio e ciò avrebbe aperto un’inchiesta interna alla stessa CDC.
Vediamo i due punti principali per cui tale ricerca è un esempio di errore interpretativo e scopriamo i due trucchi (in realtà solo i principali) usati per arrivare a una conclusione completamente errata. Parlo di trucchi perché è evidente l’intento di “arrivare a una conclusione scioccante”.
Il metodo – 55.000 soggetti è un numero significativo e la morte è un dato certo. Il primo trucco però è usare il peso alla morte! Infatti, se chi muore d’infarto ha lo stesso peso di quando stava bene, chi muore di cancro o di altre patologie croniche presumibilmente avrà avuto un periodo debilitante in cui ha perso molti chili. Dalla classe dei sovrappeso è finito in quella dei normopeso!
Il campione – Usare l’IMC è un errore stratosferico, perché non è vero che il BMI (o IMC all’italiana) permette di prescindere dal sesso della persona.
Tutti sanno che una donna alta 170 cm pesa in media meno di un uomo alto 170 cm. La differenza è di due unità circa nell’IMC. Cioè se l’uomo di 170 cm pesa per esempio 70 kg (IMC=24,2) una donna alta uguale, per essere giudicata della stessa magrezza, deve pesare 64,2 kg (IMC=22,2).
Dov’è il trucco??? Banale. Un individuo maschile alto 176 cm e pesante 55 kg non è magro, è malato!!! Ha un IMC di 17,7 quando un soggetto sano dovrebbe avere un IMC superiore a 19. Quindi la fascia di normalità deve partire da 59 kg. Praticamente si prendono come sani tutti gli uomini malati fra 55 e 59 kg.
L’impressione è che stia per scoppiare una guerra come sul vino: per assolvere il sovrappeso si gioca sul chilo in più o su quello in meno, confidando che ognuno sia poi portato a credere che il SUO sia il peso giusto.
Il danno – Personalmente ritengo che la pubblicazione di articoli come quello comparso sul Corriere siano devastanti perché forniscono alibi a stili di vita sbagliati con costi sociali altissimi. I due trucchi che ho elencato non sono da premio Nobel della medicina, ma da persona che riflette un attimo su ciò che scrive. Quindi regola numero uno di un Giornalista dovrebbe essere
se non si vuole o non si sa riflettere sul pezzo che si scrive, se non ci si sa formare un’opinione personale, è meglio non scrivere il pezzo.
Disinformazione: dopo 8 anni (2013), stesso errore
Su L’HUFFINGTON POST (con più di 600 Mi piace di persone che non hanno spirito critico) del 2 gennaio 2013 una notizia (L’obesità uccide ma il sovrappeso potrebbe allungare la vita) simile a quella del Corriere nel 2005. In 8 anni i ricercatori e i giornalisti non hanno imparato nulla. Nel pezzo si riporta la notizia che un moderato sovrappeso potrebbe allungare la sopravvivenza. Ad affermarlo è un recente studio dei Centers for Disease Control and Prevention’s National Center for Health Statistics che è stato pubblicato sulla nota rivista JAMA (Journal of the American Medical Association). Sempre secondo i dati riportati nello studio, l’obesità, condizione che si verifica nel caso in cui l’indice di massa corporea sia uguale o superiore a 35, è causa di un incremento del rischio di morte del 29%, ma i soggetti in sovrappeso (indice di massa corporea compreso tra 25 e 30), che nei soli Stati Uniti sono più di trenta milioni, hanno il 6% in meno di rischio di morire rispetto a coloro il cui indice di massa corporea sia compreso tra 18,5 e 25. La ricerca dei Centers for Disease Control and Prevention’s National Center for Health Statistics ha preso in analisi 97 studi in cui sono state coinvolti circa 3 milioni di soggetti in tutto il mondo.
Che dire? Un’altra ricerca demenziale. O meglio, è demenziale l’interpretazione che ne viene data ed è gravissimo che nessun giornalista ragioni sulla notizia. Parlando di 6% in meno si usa il solito trucco delle percentuali relative: è veramente pochissimo; se la probabilità di morire nel prossimo anno è dell’1%, il 6% in meno vuol dire che è dello 0,94. Su 100 persone che muoiono con quella probabilità di partenza (cioè su un insieme di 10.000 persone), nel corrispondente insieme dei sovrappeso ne muoiono 94, ovvero 6 in meno. Peccato che non si debba essere geni per capire che fra i 10.000 magri molti lo sono (ben più di 6) per problemi di salute (pensiamo agli anziani magri) e non per una scelta di vita salutistica. Banale capire (tranne che per i ricercatori) che delle 100 morti molte sono attribuibili non alla magrezza, ma a patologie (croniche o meno) che l’hanno causata.

Oggi tutti i media nascondono il pericolo di una cattiva informazione, per cui è necessaria consapevolezza
Seminformazione
Anche nel caso della seminformazione esistono moltissimi casi. Vi invitiamo a studiare questi esempi classici.
Il doppio di zero – Bellissimo il prodotto che consente di aumentare il tasso di crescita di uomini fra i 22 e i 32 anni (dopo i 22 anni non si cresce più nel 99,9% dei casi) del 50%. L’affermazione è vera perché il 50% di zero è zero!
Il Gratta e perdi – Il Gratta e vinci fa credere all’utente di avere buone possibilità di vincere, mentre in realtà ha più probabilità di perdere che di vincere, quindi dovrebbe chiamarsi Gratta e perdi.
Le ricerche sugli animali – Hanno fatto la fortuna di moltissimi ricercatori con un ritorno molto basso verso l’umanità.
Ciò che avviene per un topo non è detto avvenga per gli uomini.
Moltissimi farmaci utili sui topi sono stati poi ridimensionati dopo l’uso sugli uomini (questo è uno dei motivi che spingono alle campagne contro la sperimentazione animale: gli studiosi massacrano in mille modi i poveri animaletti per giungere a risultati che poi sull’uomo hanno un impatto basso o addirittura nullo).
Pensiamo a una ricerca che voglia studiare gli effetti negativi dello stress sulla salute. Lo stress umano è fondamentalmente diverso da quello animale. È uno stress a lungo termine, mentre quello animale è a brevissimo termine (e quindi, si può supporre, porti a un rilascio ormonale enorme). Pensiamo a chi ha un lavoro stressante. Supponiamo che al mattino si svegli e gli venga comunicato che ha vinto 10 miliardi di euro e che quello sarà il suo ultimo giorno di lavoro. Sicuramente affronterà lo stress di quella giornata con il sorriso sulle labbra, con energie da vendere e con una grinta mai vista. Quello che distrugge il nostro amico non è quindi ciò che accade nella giornata, ma la somma di cento, mille giornate così, senza magari la prospettiva di miglioramento, con la frustrazione esistenziale che cresce sempre di più.
Nell’animale non è possibile simulare uno stress da durata equivalente a quello umano. A causa della ridotta intelligenza, l’animale o non si accorge dell’agente stressante o avverte paura o terrore nel breve termine. Lo stress dell’animale è cioè più simile a una passeggiata di notte nel Bronx piuttosto che al normale “logorio della vita moderna” contro il quale la storica pubblicità tentava di venderci il Cynar.
NOTA – Quanto detto sopra non è contro la sperimentazione animale, quanto contro la sperimentazione non regolamentata.
È scorretto affermare che qualcosa che funziona su un animale funziona sull’uomo (posizione di moltissimi ricercatori, anche se non manifestata apertamente); questa è la posizione di moltissime ricerche che ottimisticamente affermano che i risultati ottenuti su animali (o addirittura in vitro) sono importanti perché bla, bla bla… Di fatto si tende a rendere sufficiente ciò che può essere solo facilitante.
È scorretto affermare che qualcosa che funziona su un animale non funziona sull’uomo (posizione degli animalisti). Di fatto molti veleni uccidono sia l’uomo sia l’animale, quindi testare gli effetti collaterali di un farmaco su un animale dà comunque un quid di garanzie (poche o tante a seconda dei casi): il superamento del test è una condizione facilitante l’approvazione del farmaco. Di fatto gli animalisti tendono a rendere ininfluente una condizione facilitante. Un’ulteriore precisazione: forse questa nota non è chiaro per chi ragiona solo intermine di necessario/sufficiente, dimenticando che esiste anche la condizione facilitante/penalizzante. Un caso classico, dove le parti dovrebbero discutere su come rendere facilitante al massimo la condizione, anziché scannarsi su posizioni contrapposte.
Million Women – La ricerca Million Women (Università di Oxford, 2012) ha coinvolto 1,3 milioni di donne fra i 50 e i 65 anni: le donne fumatrici sono risultate quasi tre volte più a rischio di morire nei successivi 9 anni rispetto alle non fumatrici. Come si vede, la ricerca usa il trucco delle percentuali relative per dare maggior enfasi al risultato. Infatti dalle tavole di mortalità dell’ISTAT la probabilità di morte di una donna fra i 50 e i 65 anni è abbastanza bassa, il 2,6%; ovvio che dire che triplica fa un certo effetto e provoca il meccanismo di seminformazione nel giornalista ricevente.
Evidentemente non preparatissimo in statistica, il giornalista prende una cantonata e titola che “le donne che non fumano guadagnano 10 anni di vita”. Chissà quanti replicheranno l’errore! In realtà la ricerca dice che su 100 donne fumatrici, 7,8 muoiono, mentre su 100 non fumatrici solo 2,6. Non dice nulla su ciò che accade dopo i 65 anni; paradossalmente se per le sopravviventi non cambiasse nulla (ipotizzando per le fumatrici morte un’età media alla morte di 60 anni e una vita media delle donne di 80 anni), la vita media dei due insiemi differirebbe solo di circa un anno, non di dieci!
Informazione soft
Esempio num. 1
Alcuni amici del sito ci segnalarono anni fa il libro Decidi di stare bene, autori Luciana Baroni e Hans Diehl. Si tratta di un interessante esempio di informazione soft.
I due autori sono medici (Alessandra Baroni è presidentessa della Società Scientifica Vegetariana) e il libro è presentato niente meno che da Umberto Veronesi, vegetariano convinto. Tutto il testo si muove a metà fra medicina convenzionale e un certo spirito alternativo. Personalmente ritengo che ci sia una presunzione di base, il credere che la salute sia una nostra scelta. Purtroppo un medico dovrebbe sapere che la genetica sta sempre più dimostrando che un corretto stile di vita può migliorare la nostra esistenza, ma non garantirci l’eternità. Tradotto in altri termini, si possono ridurre le possibilità di ammalarsi, ma non azzerarle, soprattutto se uno è geneticamente sfortunato (la parte sugli anticancro naturali nel capitolo 3 è veramente ottimistica; gli autori dimenticano tutti i vegetariani che comunque si ammalano di tumore). Questa critica tarpa già le ali alle pretese scientifiche del testo e lo riporta indietro di venti anni quando i più ottimisti erano veramente convinti che, evitando inquinamento e mangiando lattuga, si potesse vivere fino a cent’anni. Limitandomi alla sola parte dell’alimentazione, è evidente la radice vegetariana degli autori.
L’informazione contenuta nel libro è soft perché, se si giudicano le singole affermazioni (moltissime sono condivisibili come la lotta la fumo, all’alcol, all’eccesso di calorie ecc.), si direbbe che tutto fila alla perfezione. In sostanza, viene definito un modello alimentare basato su cereali, legumi, verdura e frutta, con limitazione dei grassi al 10-25% delle calorie totali. Che questa dieta possa essere salutistica non ci piove, ma che possa mantenere ciò che promette è illusorio, un’utopia.
Innanzitutto perché la gran parte della popolazione quando legge cereali pensa a pane e pasta ed è ormai risaputo che questi due alimenti, se spinti oltre misura, portano al sovrappeso individui sedentari. Tant’è che molti vegetariani sono in sovrappeso. Il testo non tratta per nulla il problema di controllare lo stimolo della fame, anzi promuove concetti del tipo: “mangiare di più, pesare di meno”. Molto blando anche l’accenno all’attività sportiva, espresso nel solito modo soft (concetto: “Bruciare i grassi: camminare contro l’obesità”) che attira il sedentario, ma che poi lo delude quando vede che non ottiene nulla.
Insomma, un testo che, partendo da diversi dati esatti, ne amplifica la portata per perorare il consumo di vegetali. È orientato a persone che vogliono avere uno stile di vita spartano (e già su questo non tutti concordano) e che non si pongono altro che il problema di “stare in salute”, senza capire che non è solo importante sopravvivere, ma anche vivere al meglio. In altri termini, da medici, gli autori vogliono far vivere il paziente il più a lungo possibile, senza rendersi conto che, quando si demonizzano certi alimenti (cibi proteici, grassi, animali ecc.), l’alimentazione diventa una cura, il soggetto un malato, la vita un ospedale. Se il soggetto vuole uscire, anche saltuariamente, da questo luogo di cura, crolla tutto. Un dato numerico che spiega come mai molti vegetariani (sedentari o blandamente sportivi) possano essere in sovrappeso: basta un’eccezione alla settimana (la classica cena fuori) allo spartano regime di vita e, siccome non si hanno metodi di correzione, si aumenta di 5-6 kg all’anno.
Esempio num. 2
Wald e Law sono gli inventori della Polypill, una pillola costituita da una statina in dose appropriata (un farmaco anticolesterolo), tre farmaci antipertensivi (per esempio un diuretico, un betabloccante e un ace-inibitore), acido folico e aspirina. Tale pillola dovrebbe essere impiegata su soggetti a rischio di malattie cardiovascolari o diabete (in questo caso viene ipotizzata l’aggiunta di un insulino-stabilizzante). Il loro lavoro è apparso sul British Medical Journal e ha diviso la comunità scientifica, nella quale solo un quarto circa è favorevole. I contrari ovviamente si aspettano dei dati (per ora è solo un’idea) e soprattutto l’analisi dei possibili effetti collaterali.
In men che non si dica ecco però che l’idea della Polypill è stata ripresa nel campo dell’alimentazione da ricercatori olandesi dell’University Medical Centre di Rotterdam i quali (sempre con articolo sulla stessa rivista) sostengono il Polymeal, cioè un regime alimentare dove non mancano mai 7 alimenti: pesce, aglio, verdure, frutta, mandorle, cioccolato fondente e un bicchiere di vino: la combinazione quotidiana di questi ingredienti ridurrebbe il rischio di malattie cardiache del 76%, allungherebbe la vita degli uomini di sei anni e mezzo e quella delle donne di cinque.
Lo studio è statisticamente molto povero perché si basa su deduzioni e su studi singoli precedenti: per verificare che la dieta Polymeal sia corretta occorrerebbero decine di anni e di test. Infatti non è detto che i benefici delle contemporanee assunzioni siano la somma dei benefici singoli! In altri termini, molto probabilmente chi mangia molta frutta e verdura, mangia anche pesce. Sommare i benefici delle ricerche che analizzano i singoli cibi non è corretto. A parte questo, l’informazione soft insita nella ricerca è l’illusione che basti mangiare quei cibi per non avere problemi, cosa che ovviamente non è vera: se il soggetto fuma, beve alcolici che vanno al di là del bicchiere di vino, si abbuffa di dolci (non solo di cioccolato fondente) ecc. la salute con la Polymeal diventa pura utopia e si ritorna al punto di partenza.
Esempio num. 3
Su un vecchio numero di Glamour comparve la dieta furba step by step, nella quale una nota nutrizionista spiegava come arrivare alla dieta corretta. Ci sono quattro passi: la scelta peggiore, già meglio ma, vicini alla meta, brava-bravissima. Vediamo cosa ci propone lo step Brava, bravissima:
- Colazione: caffè o tè, miele, pane integrale, yogurt, spremuta.
- Spuntino: frutta fresca.
- Pranzo: insalatona sana (verdure fresche e cotte, uovo sodo – o mozzarella – tonno al naturale e olio d’oliva extravergine.
- Cena: zuppa di legumi e cereali.
- Prima di coricarsi: un paio di noci e un bicchiere di latte.
Il soggetto segue la dieta alla lettera per 25 giorni al mese, sgarra alla grande per soli 3-4 giorni (per forza, deve avere una fame terribile!) e si ritrova comunque in sovrappeso a fine anno di 5-6 kg. Risultato: il lager non funziona! Quelli che hanno un maggiore senso di colpa, si convincono che per essere magri occorre essere santi e che purtroppo la cosa non fa per loro.
Come nel caso del testo Decidi di stare bene, perché non dire le cose come stanno? Che si può mangiare di tutto purché non si esageri con le calorie e si faccia attività fisica!