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Indice di benessere

Definire l’indice di benessere di un soggetto che vive in un dato Paese non è cosa facile. Sin dalla fine del XX sec. in ambito accademico sono apparsi lavori che ruotavano attorno al concetto di benessere (well-being), sia per definirne le caratteristiche sia per trovare gli indicatori più opportuni (cioè definire indici di benessere). In letteratura è possibile trovare una serie di questi studi cui hanno fatto seguito una miriade di iniziative (molte delle quali extra-accademiche). Infatti, negli ultimi anni è apparsa evidente la parziale scorrelazione fra benessere (qualità della vita) e prodotto interno lordo, cioè fra benessere e ricchezza; è per esempio del 2009 la partenza dell’iniziativa della Commissione Europea Beyond GDP; questa evidenza si è tradotta nel tentativo di definire indici altrettanto chiari e maneggevoli come il vecchio PIL.

Purtroppo, i diversi tentativi risentono dell’impostazione culturale degli autori e quindi, probabilmente, non è possibile definire un indice di benessere assoluto perché, anche ammesso che le componenti siano le stesse, possono variare i pesi dati a esse.

In altri termini, dagli sforzi fatti, dovrebbe essere ormai chiaro che

non esiste un indice di benessere totalmente oggettivo.

Per un movimento come il Neocinismo che ha dato una chiara e scientifica definizione di felicità e propone uno stile di vita orientato a raggiungere la massima condizione esistenziale, partendo dalle proprie condizioni iniziali, appare evidente che una formula che indichi l’indice di benessere deve necessariamente legarsi a pochi e importanti parametri. Nei vari modelli, esistono parametri spuri come la gestione della salute, dell’istruzione e del lavoro del cittadino (che evidentemente sono correlati fortemente alla ricchezza del Paese). Altri, come l’ordine pubblico o l’ambiente, sono semplici medie: si pensi per esempio agli Stati Uniti e a un soggetto che viva nel Bronx o nel Montana: nel primo caso sicurezza e ambiente avranno punteggi molto bassi, mentre nel secondo potrebbero essere valutati molto bene.

Inoltre, la formula deve essere:

  1. Abbastanza semplice da essere calcolata per ogni Paese senza ricorrere a studi ad hoc.
  2. Essere in linea con le classifiche della felicità (vedasi L’articolo Formula della felicità) che annualmente sono redatte da molti istituti.

Indicatori di benessere

Nella nostra formula dell’indice di benessere terremo conto di tre parametri.

indice di benessere

Da oltre cinquant’anni si discute su come superare il PIL come unico indicatore di misurazione del benessere

Reddito familiare (R^2/1000) – La ricchezza non è una condizione né necessaria, né sufficiente alla felicità, ma è una condizione facilitante che incide pesantemente anche su salute, lavoro, istruzione ecc. La famiglia può essere costituita da uno o più membri, ognuno dei quali può o meno lavorare. Si considera il reddito familiare e non quello pro-capite perché di fatto ognuno “subisce” lo stato di benessere del nucleo in cui vive, prima ancora di avere altri condizionamenti sociali.

Fonte: https://www.oecdbetterlifeindex.org/it/topics/income-it/

Numero dei figli (NF)– Checché se ne dica, tutti concordano che avere un numero di figli troppo elevato rispetto alle proprie condizioni economiche penalizzi la qualità della vita (il primo Paese dell’OCSE come numero di figli per donna è Israele che figura all’ottantesimo posto!); nei Paesi più poveri avere un alto numero di figli per donna indica anche un basso livello culturale che porta al non impiego di metodi contraccettivi. Si potrebbe obiettare che il parametro perde di significato quanto più il Paese è ricco, ma per questo si veda l’articolo Figli e qualità della vita.

In teoria, il numero di figli influenza il già presente il reddito familiare, ma è necessaria un’ulteriore correzione perché, a prescindere dal reddito, è ormai dimostrato che in media i figli abbassano la qualità della vita (per esempio diminuendo il tempo libero della coppia che spesso per avere privacy o un momento di relax prende l’abitudine di parcheggiare i figli di qua o di là).

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Tasso_di_fecondit%C3%A0_totale

Percentuali di non credenti (PNC) – Anche in questo caso, checché se ne dica, dove la religione è praticata in modo massiccio nella popolazione, il benessere personale è spesso scarso. Appare imbarazzante che si salvi la religione nei Paesi più moderni semplicemente perché la si pratica occasionalmente oppure la si distorca in visioni personali che di fatto sono in conflitto con i precetti religiosi che si vorrebbero salvare!

Il sondaggio Gallup (2011) è sicuramente il più attendibile sulla religione (da notare che i dati sono ottimistici perché, come accade in Italia, nel resto del mondo il numero di praticanti è in continua diminuzione e il sondaggio è di oltre dieci anni fa) perché, oltre a dare i dati di tutti i Paesi, mantiene il più ampio spettro alla definizione di irreligiosità, la cui domanda è stata: “La religione è una parte importante della vostra vita quotidiana?” e la percentuale è riferita a chi ha risposto “no!”.

I Paesi aderenti all’OCSE sono in continua crescita; di seguito presentiamo i 38 i cui dati sono del tutto consolidati.

 La classifica dell’indice di benessere

Lussemburgo699761
Norvegia582161
Svizzera519552
Giappone496097
Germania486112
Svezia465628
Danimarca406429
Australia401683
Stati Uniti394776
Finlandia394040
Canada379543
Austria375000
Belgio373179
Francia360774
Islanda351538
Regno Unito342914
Paesi Bassi336913
Spagna243672
Corea237131
Nuova Zelanda207504
Repubblica Ceca203292
Irlanda187578
Estonia185655
Italia163136
Ungheria139862
Repubblica Slovacca127455
Israele125493
Federazione Russa119482
Slovenia112483
Portogallo109086
Lettonia88292
Polonia67786
Grecia54485
Cile42852
Turchia20638
Messico17335
Sudafrica11634
Brasile9166

Un commento all’indice di benessere

Rispetto alle classifiche tradizionali si notano comunque alcune interessanti anomalie.

La posizione del Giappone, un Paese spesso snobbato perché lo stile di vita non è propriamente “occidentale”.

La posizione del Brasile, un Paese troppo spesso sopravvalutato dalle festose immagini che arrivano dalle zone più ricche del Paese, dimenticandosi la povertà di enormi regioni come l’Amazzonia o le favelas delle città più importanti. Non a caso, la gestione della pandemia è stata disastrosa.

La posizione dell’Italia (24-esima su 38), leggermente sottovalutata rispetto alle classifiche annuali che la danno fra la 15-esima e la 20-esima posizione. Probabilmente, il dato andrebbe corretto, scorporando il Sud che ha dati mediamente peggiori rispetto al Centro-nord.

Si potrebbe obiettare che la formula è troppo semplicistica, ma come ribattere alla constatazione che praticamente riflette le classifiche annuali di prestigiosi istituti? Istituti che hanno coinvolto decine di persone e risorse economiche ingenti per arrivare poi a scoprire l’acqua calda!

 

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