Questo aneddoto vuole spiegare che cos’è “praticamente” l’invidia. Tutti più o meno invidiamo qualcuno, ma l’invidia può essere un motore per farci migliorare, rimuovendo difetti e ampliando pregi, oppure un sasso che può far deragliare il nostro treno verso una scarpata senza ritorno.
L’invidia negativa si attua:
- Sottolineando caratteristiche dell’invidiato, caratteristiche che nulla hanno a che vedere con l’oggetto dell’invidia.
- Non riconoscendo i propri difetti, spesso minimizzati e resi trascurabili nella spiegazione della realtà.
- Attribuendo alla fortuna i successi altrui e alla sfortuna i propri insuccessi.
- Attribuendo a cause esterne non particolarmente pulite il successo altrui, a volte scorrette o persino illegali.
Esempi:
- Tizio è ricco, ma non dovrebbe essere permesso che lo sia, visto che è una persona moralmente discutibile (una specie di fallacia ad personam).
- Sì, non ho titolo di studio e non mi piace lavorare, ma ci sono persone come me che comunque guadagnano tanto.
- Ha vinto la corsa solo perché il suo avversario è caduto; io sono arrivato decimo perché sono partito male.
- Certo che vince ogni gara: sarà sicuramente dopato!
Ovviamente gli esempi possono riguardare ogni ambito della vita privata. Penso di essere diventato immune all’invidia negativa fin da ragazzo (e i soli veri amici che ho hanno dimostrato di avere la stessa immunità), quando ancora adolescente frequentavo, grazie alla caccia, il mondo degli adulti. Allora cacciavo la lepre con mio padre, ma erano già in molti a cacciare i fagiani con i cani da ferma. Anch’io avevo una breton che usavamo per battere con calma i campi dove ci portavano gli altri due segugi e dove probabilmente c’era la lepre. Quando non era distrutta dalle ore di caccia mattutina e non dovevo studiare, la portavo a caccia di fagiani attorno alla riserva del Rizzi. Di fagiani non sapevo granché, ma la cosa più piacevole era incontrare tante figure umane, tutte profondamente diverse.
Si narravano storie e una di queste riguardava Luca, il figlio del campè (colui che sorvegliava l’irrigazione dei campi).
Luca non mi era simpatico e dall’alto dei miei massimo dieci fagiani che prendevo in una stagione avevo tutte le ragioni per invidiarlo. Ma la cosa non mi è mai passata né per la mente né per il cuore perché avevo appreso la lezione del Barozzi.
Il Barozzi era un vecchio cacciatore che aveva superato i settant’anni. Aveva un cane così così e sparava malissimo, peggio del sottoscritto che all’epoca aveva difficoltà a centrare un elefante. Nonostante questo, c’era talmente tanta selvaggina che una decina di fagiani all’anno li prendeva anche lui. Quando succedeva, passava ore sui confini della riserva, lisciando la coda del fagiano che usciva dal carniere e raccontando a tutti quelli che incontrava come aveva fatto a catturare il pennuto. Lui era felice, forse una delle ultime gioie della sua vita che non era stata facile.
Un giorno l’incontrai e decisi di sorbirmi il prezioso racconto della cattura, forse con la sciocca cattiveria di chi è pronto a sorridere delle esagerazioni altrui. Il Barozzi aveva appena iniziato il racconto quando arrivò un altro cacciatore che, quasi subito, gli fece presente che lui sì aveva preso un fagiano, ma che Luca ne prendeva “almeno …” e buttò lì un numero che sapeva di esagerato e di incredibile a un tempo. “No, non era giusto”.
Con la calma degli anziani il Barozzi spense quelle parole piene d’invidia con una semplice profezia: “il giorno che tu riuscirai a far prendere a Luca solo 30 fagiani, io non ne prenderò nemmeno uno e non potrei raccontarti quello che ha reso la mia giornata un po’ più bella”.
Il Barozzi non sarà stato un grande cacciatore, ma sicuramente era un uomo semplice e non invidioso.