La glossofobia è la paura di parlare in pubblico. Il termine è di origine greca ed è composto da glossa (lingua) e phobia (paura, fobia).
La glossofobia è inserita nelle fobie sociali tra i disturbi d’ansia (DSM-5), soprattutto quando correlata alla performance (i sintomi si presentano cioè prevalentemente – ma non esclusivamente – nel momento in cui effettivamente si parla in pubblico). La glossofobia è classificata tra le prime dieci paure dell’uomo.
Come per altre fobie, la glossofobia si può percepire a differenti livelli: da una semplice sensazione di disagio fino alla manifestazione di importanti sintomi fisici e psicologici. Non prenderemo in esame le situazioni patologiche, sia perché riguardano una parte minoritaria di soggetti, sia perché questi casi devono essere affrontati attraverso interventi medici/psicoterapeutici ad hoc.
Trattandosi di un problema che può riguardare la vita quotidiana di molti (a differenza di altre fobie che sono molto più specifiche – come l’aracnofobia o la paura di volare – e meglio gestibili dal soggetto) quello che interessa è fornire a chi ne soffre informazioni e indicazioni utili per conoscerla e affrontarla concretamente in modo positivo.
Sarebbe intanto sbagliato credere che siano poche le persone che soffrono di glossofobia, seppure senza arrivare agli stati patologici. Stime a livello mondiale mostrano che almeno una persona su quattro (25%) ha delle vere e proprie difficoltà a parlare in pubblico e che un ulteriore 50% non si sente comunque a proprio agio in questa situazione tanto che, se appena potesse, ne farebbe volentieri a meno. In sostanza quindi, circa 75 persone su 100 non hanno un rapporto sereno con questo aspetto della vita sociale.
Riferendosi al parlare in pubblico non si intende necessariamente davanti a una folla di persone, ma spesso semplicemente in situazioni del quotidiano di ciascuno: una riunione di lavoro, un’assemblea condominiale, una festa di compleanno, un ritrovo di amici…
Per eliminare o ridurre il numero di queste occasioni di vera e propria difficoltà, molti mettono in atto anche comportamenti di evitamento (per esempio, non esprimono la loro opinione all’assemblea di condominio o non vi partecipano affatto) mentre, quando non si può evitare di esserci, la “sofferenza” per il momento fatidico inizia spesso a percepirsi già nei momenti precedenti, a volte anche nei giorni precedenti.
In pratica, chi ne soffre percepisce in misura eccessiva la pressione del giudizio altrui e sente distintamente su di sé tutti quegli occhi pronti a giudicarlo; questo è quasi sempre il nocciolo del problema, ma, fortunatamente, molto spesso rappresenta anche l’elemento di partenza per la sua soluzione.

Stime a livello mondiale mostrano che almeno una persona su quattro ha delle vere e proprie difficoltà a parlare in pubblico
Perché tanta paura?
Una parte degli studiosi ritiene che una prima ragione possa essere di carattere antropologico, un’eredità genetica dell’evoluzione: per migliaia di anni la sopravvivenza del singolo è stata essenzialmente legata anche alla sua capacità di stare in gruppo e di collaborare con esso. Ciò ha sempre garantito maggiori probabilità di sopravvivenza in un mondo difficile e pieno di minacce. Il giudizio degli altri poteva decretare o no la possibilità di fare parte del gruppo; esserne esclusi poteva significare morire. L’imperativo era quindi sapersi fare accettare, farsi giudicare positivamente dagli altri membri del gruppo, non commettere errori. Questa necessità di accettazione ce la portiamo dentro in parte ancora oggi e la potremmo definire giudizio/reputazione sociale.
Una seconda ragione attiene alle personali esperienze di vita di ciascuno e il modo in cui si è stati accolti ed educati può aver amplificato questa paura. Genitori che hanno tarpato le ali con ripetuti rimproveri davanti agli altri e situazioni infantili in cui non è stato consentito esprimersi liberamente senza oggettive ragioni, possono aver reso difficoltosa e incompleta la corretta costruzione dell’autostima e della fiducia in sé stessi.
Una terza ragione va ricercata nelle caratteristiche della personalità di base di ciascuno, con particolare riferimento, per esempio, all’essere naturalmente introversi o particolarmente timidi.
Poiché questi elementi possono avere tra loro un effetto sinergico, il gioco è fatto: la paura di commettere errori e/o di essere giudicati negativamente può diventare quasi insostenibile.
Glossofobia – Come si manifesta
Se si è tra coloro che ne soffrono, anche solo l’idea di dover parlare in pubblico può procurare a volte una serie di pensieri e di sensazioni fisiche spiacevoli.
Per una parte delle persone si tratta semplicemente di una leggera tensione emotiva (peraltro, sarebbe quasi impossibile non avvertirne almeno un po’, al pari di una corretta attivazione psico-fisica in occasione di una performance sportiva) che col tempo si riduce e per molti non è poi più avvertita come fastidiosa, ma come stimolo positivo.
Per altri, invece, già all’avvicinarsi del momento fatidico, si instaura un circolo vizioso di pensieri che pare inarrestabile: “Non ce la farò mai”, “sarà un disastro”, “chissà cosa penseranno di me”, sono alcuni esempi di ciò che può frullare in testa.
Il cosiddetto panico da microfono può perfino procurare sudorazione, tremori, palpitazioni, sensazione di mancanza d’aria, gola secca, irrigidimenti muscolari, “farfalle nello stomaco” e anche i temutissimi vuoti di memoria.
Si arriva a un punto che alcuni, col tempo, si convincono che queste cose non riusciranno mai a farle bene e che esse siano alla portata solo di persone talentuose di natura, di coloro che già nascono con queste abilità specifiche, di quelli molto estroversi e un po’ speciali. E così, magari, incapaci di trovare una soluzione (che invece quasi sempre c’è), rinunciano del tutto a questo aspetto della vita sociale e perdono anche delle occasioni di lavoro.
Glossofobia – Come affrontarla positivamente
È necessario distinguere due situazioni profondamente diverse:
- le situazioni della vita privata;
- le situazioni legate alla vita pubblica e alla professione.
Per le situazioni di cui al punto 1, per chi cioè non deve parlare in pubblico per necessità di lavoro (in riunioni, gestione di collaboratori, conferenze, dibattiti…), non è importante possedere particolari abilità o arti oratorie. Tuttavia, per venire ascoltati (in famiglia o tra amici) si deve essere in grado di parlare in modo da essere interessanti e ispirare credito e fiducia in chi ascolta; in famiglia è fondamentale risultare autorevoli soprattutto con i figli, e tra amici, anche se non si è il leader, è importante avere la capacità di farsi ascoltare. Insomma, anche se non conta quanto bene si sanno dire le cose, è però indispensabile esprimersi in modo da ottenere i risultati voluti.
Per il punto 2 le cose sono differenti perché parlare in pubblico è una necessità e il problema va affrontato in modo diverso.
Considerato che negli ultimi decenni la comunicazione ha assunto un ruolo sempre più importante e che saper gestire bene questo elemento consente di avere una freccia in più al proprio arco, la glossofobia si può affrontare in modo positivo anche apprendendo apposite tecniche e affinando armi che in gran parte ciascuno ha già a propria disposizione per consentirgli di dare del tu a questo aspetto della vita sociale.
Premesso che avere una corretta autostima è fondamentale per potersi confrontare positivamente con gli altri e saperci “mettere la faccia”, di seguito le considerazioni e i consigli che possono essere determinanti per affrontare con successo questa paura:
- Non si deve cercare di essere chi non si è: ognuno dovrebbe essere sé stesso e imparare un proprio stile comunicativo; scimmiottare qualcun altro non farà che contribuire a rendersi meno credibili e non efficaci.
- Nessuno nasce esperto del parlare in pubblico, lo può diventare.
- È necessario accettare che, per quanto bravi si possa essere, non si piacerà mai a tutti e ci sarà sempre qualcuno che ci giudicherà negativamente.
- La fiducia e la sicurezza in ciò che si fa, aumentano moltissimo quando si ha piena consapevolezza, competenza e conoscenza dell’argomento da trattare. Se si affronta un tema, bisogna cioè conoscerlo bene, sapere molto di ciò di cui si parla.
- Una presentazione, un discorso, un incontro devono essere sempre preparati accuratamente.
- Allenarsi e provare ripetutamente è un’altra importante ancora di sicurezza.
- È necessario convincersi che la tensione emotiva che si prova è sostanzialmente la stessa che si percepisce nei momenti di emozione positiva; è un’attivazione psico-fisica che predispone ad affrontare una prova: il cuore che accelera, la temperatura del corpo che sale, la pressione sanguigna che aumenta ecc. sono normali adattamenti fisiologici. Questo è il momento in cui ancorare il pensiero all’emozione che si prova (eustress – stress positivo – e non distress – stress negativo – “non è paura ma semplicemente attivazione”); bisogna utilizzare queste sensazioni come ulteriori potenti alleati anziché lasciarsene sopraffare.
- Non c’è nessuno, neppure tra quelli apparentemente più disinvolti, sicuri di sé e con anni di esperienza, che non provi almeno un minimo livello di emozione all’atto di parlare in pubblico.
- Per alcuni può essere anche utile abituarsi a fare con regolarità qualche semplice esercizio di rilassamento fisico e mentale.
- Quando si osserva un oratore che affascina e conquista con le sue capacità, la sua bravura e il suo stile comunicativo, bisogna valutare che dietro a quel risultato ci sono un profondo lavoro, una grande dedizione e spesso anche un vero amore per quello che fa.
Non è tutto: anni fa partecipai a un corso di formazione specifico sul tema del public speaking e il docente iniziò la sessione con queste parole: “Vi do subito un suggerimento che, da solo, vale interi corsi di formazione e libri: se vuoi imparare a parlare in pubblico, parla in pubblico! Trovati delle occasioni e parla: davanti agli amici, al circolo delle bocce, allo sci club…”. L’aveva detto tra il serio e il faceto, ma conteneva un fondo di verità. D’altra parte, se vogliamo migliorare nei tiri liberi, nel calciare i rigori o nell’andare in bicicletta cosa facciamo? Proviamo, proviamo, proviamo…