Genitori e figli: spesso un rapporto molto difficile. Che relazione esiste fra i figli e la felicità? Non fare figli può essere una scelta ragionevole e positiva? Provate a rispondere a questa domanda: siete pronti ad affrontare i sacrifici che richiedono i figli? La valutazione della risposta alla fine dell’articolo. Prima però una profonda analisi del problema.
Sicuramente i figli non sono una condizione necessaria, come è dimostrato ormai dalle tante coppie che non ne hanno e vivono felicemente; ostinarsi a sostenere che sono condizione necessaria rivela o posizioni mistiche (come quelle derivanti da un’adesione acritica ai principi della propria religione) o forti condizionamenti che legano senza nessuna logica la felicità dell’individuo al benessere della futura collettività (se non facciamo figli cosa sarà dell’uomo?); questa ultima posizione è spesso tipica di personalità sopravviventi o contemplative.
Sicuramente non sono una condizione sufficiente, visto che sono sotto gli occhi di tutti soggetti che hanno figli, ma che sono infelici. Ritenere i figli una condizione sufficiente è tipicamente romantico, con l’identificazione del figlio come idea dominante cui asservire la propria vita in cambio della felicità. Non a caso, chi li ritiene sufficienti alla felicità ha spesso una visione tradizionale che, un po’ cinicamente, si può ridurre alla sequenza nascita-amore-matrimonio-figli-morte.
I figli potrebbero essere però una condizione facilitante, penalizzante o ininfluente.
Da decenni mi sono accorto che, nell’attuale società, i figli sono una condizione penalizzante per la gran parte delle persone e che una visione moderna dell’uomo non può che arrivare a questa conclusione. D’altro canto, vive meglio solamente chi coglie i mutamenti dei tempi.
Negli ultimi anni, anche altri hanno espresso simili posizioni, magari in modo non del tutto equilibrato e imparziale (come il saggio No Kid. 40 ragioni per non avere figli di Corinne Maier, un’opera che fra tante verità, inseriva anche le frustrazioni di una madre che aveva perso il massimo della vita, diventando a tratti troppo polemica). Finalmente nel 2008 è stata pubblicata una ricerca con dati che confermano l’impressione che si ha semplicemente spostandosi nella società.
NOTA – Non si deve leggere l’articolo in chiave logica, vero/falso, ma in chiave statistica dove termini come gran parte, mediamente ecc. sono fondamentali alla comprensione. Non contestatelo per risentimento (perché avendo figli vi sentite criticati). Non deve essere contestato con lo stesso approccio di chi, per partito preso, non vuole sentire frasi (affermazioni statistiche) del tipo “gli italiani sono meno civili dei danesi”. Cercate di capire il concetto di affermazione statistica. D’altra parte non siate così superficiali da concludere affrettatamente (senza un check-up della vostra posizione) “sì, ho capito, vale per molti altri, ma non per me”.
La ricerca di Simon
La sociologa statunitense* Robin Simon ha analizzato le risposte date nell’indagine commissionata dall’Ufficio nazionale statistiche su un campione rappresentativo di 13.000 famiglie, arrivando alla conclusione che
- le coppie senza figli sono più felici delle coppie con figli;
- ciò vale per tutte le fasce d’età;
- la situazione è andata progressivamente peggiorando negli ultimi 50 anni;
- la negatività esistenziale diminuisce quando i figli si formano la propria famiglia.
In molti Paesi (l’Italia è troppo “cattolica” per concetti moderni come questo…) già da diversi anni si ipotizzavano conclusioni come quelle di Simon. Per esempio, il francese Hefez aveva già sottolineato il fatto che il primo figlio peggiora la qualità di vita di molte coppie, ma che il secondogenito affossa ogni tentativo di vivere al massimo la propria libertà. I condizionamenti ricevuti convincevano la coppia che i sacrifici erano necessari per una piena realizzazione di sé, almeno fino a che nella società le coppie senza figli sono state così numerose da smentire con la semplice evidenza dei fatti l’uguaglianza sacrifici=realizzazione.
Il bilancio
Partendo dalla terza conclusione di Simon, è facile capire che alla base della prima conclusione c’è sicuramente il cambiamento della società negli ultimi 50 anni. Una volta i figli venivano accuditi per al massimo un ventennio, a mo’ di investimento esistenziale, poi diventavano il bastone della propria vecchiaia e si recuperava con gli interessi l’amore dato. I figli diventavano degli schiavi amati che riverivano (Onora il padre e la madre, ma nulla si dice in favore dei figli) e accudivano i genitori. Oggi non è più così:
- i figli hanno ampiamente adottato il concetto di distacco, tant’è che chi non riesce a implementarlo diventa spesso un inibito: i genitori continuano a essere amati, ma “a distanza” e il giovane è libero di farsi la sua vita.
- Diminuendo il potere genitoriale, i figli hanno maggiori richieste e restano in famiglia molto più a lungo.
- I costi sociali per allevare un figlio sono decisamente superiori al passato, mentre la contropartita economica è minima (nelle società contadine i figli iniziavano in giovane età a lavorare per la famiglia).
- La maggiore difficoltà nell’educare i figli in una società più evoluta non rende certo o altamente probabile il risultato di avere una “buona” famiglia.
- Il quarto punto di Simon non riporta (come osservato anche da D. Gilbert, docente di psicologia di Harvard) il livello di felicità a quello espresso in media da coppie senza figli, probabilmente perché le molte opportunità perse non sono sempre recuperabili.
Questi (e altri) punti rendono oggi il bilancio esistenziale negativo. Nessuno può negarlo, a meno di non accettare fideisticamente che “figlio è bello”.
Una posizione moderna
Le ricerche di Simon, Gilbert e altri mostrano sembra ombra di dubbio che
è ormai superato il concetto che vede nella procreazione uno degli scopi dell’esistenza.
Per chi non ne fosse convinto e continuasse a riferirsi a una visione naturalistica dell’uomo, può essere utile il paragone con la sessualità. Se nel 5000 a.C. era logico pensare che l’atto sessuale fosse uno scopo dell’esistenza, naturale sfogo a istinti naturali, oggi nessuno sosterrebbe che un uomo che salta addosso a una donna per strada stia positivamente perseguendo uno degli scopi della sua vita.
Così, per la maternità (che peraltro è meno “necessaria” di quanto sembri, visto che molte donne ci rinunciano senza problemi) si deve comprendere che il progredire sociale ne ha ridotto l’ampiezza esistenziale: la nascita di un figlio non necessariamente è un fatto positivo, esattamente come per altri concetti: il matrimonio, il lavoro, una relazione ecc.
La nascita di un figlio va quindi valutata alla luce del peso esistenziale che essa ha nella vita del singolo; più avanti vedremo di capire le ragioni per cui essa, nella maggior parte dei casi, è penalizzante, arrivando anche a tracciare un ambiente in cui possa essere ancora una condizione positiva per la qualità della vita.
Figli: perché no
Come premessa alle motivazioni che portano a considerare i figli come condizioni penalizzanti per la felicità, un commento a un’illogica posizione che ho letto tempo fa:
Credo che innanzitutto dovremmo metterci d’accordo su cosa intendiamo per felicità e poi ricorderei che la felicità ha un prezzo. Che la serenità ha un prezzo. I nostri figli c’entrano solo fino a un certo punto con la felicità. Non possono esserne l’unica fonte. Amarli non ci impedisce di ammettere che in certi momenti possono essere degli enormi rompiballe. Ma questo non ci renderà più o meno felici: siamo tristi se abbiamo una vita grigia.
La posizione è tipica del sopravvivente che è convinto che la felicità sia un concetto sfuggevole, che non si possa definire. Premesso che il Personalismo lo fa in maniera concreta (ovvio che si tratti di una definizione, sempre contestabile, ma precisa), la cosa buffa è che il sopravvivente non sa definire la felicità, ma sa comunque che deve avere un prezzo! E chi lo dice? La posizione puzza di cadavere già in decomposizione, una di quelle che definisco “medievali” tanto sono incapaci di guardare al futuro e di smuoversi da stereotipi ormai superati.
La coppia scoppiata
Esistono due condizioni nelle quali a un osservatore esterno i figli sono chiaramente visti come condizioni penalizzanti:
- in caso di separazione/divorzio.
- nel caso in cui il rapporto sia pessimo e si stia insieme solo per i figli (una soluzione pessima per il Personalismo, ma scelta da molte persone).
In entrambi i casi, se non si è accecati dall’amore per il figlio, si comprende che sarebbe stato meglio non avere figli, riservando la propria genitorialità per il rapporto con una persona più compatibile. In genere si obietta che non è possibile essere certi che la persona scelta sia quella giusta, ma l’obiezione confonde il certo con il molto probabile che una persona razionale e positiva deve mettere alla base della sua decisone di fare un figlio con un’altra persona.
La persona equilibrata fa un figlio solo con una persona che vede accanto a sé per lo meno per tutto il tempo in cui il figlio ha bisogno di un’educazione comune, cioè fino alla fine dell’adolescenza. Se non c’è questa piena consapevolezza, fare un figlio è solo irresponsabile; è invece egoista chiunque faccia un figlio, disinteressandosi dell’altro genitore, pretendendo di fare contemporaneamente da padre e da madre.
I prossimi casi riguardano quindi persone con una vita di coppia per lo meno soddisfacente.
Il genitore scimmia
Non si devono fare figli perché si deve.
Riguarda tutti quei casi in cui i condizionamenti ricevuti (genitori, società, religione ecc.) portano ad agire senza aver fatto un check-up dei propri convincimenti ed essersi posti il problema con buon spirito critico. La posizione è tipica del bravo ragazzo, ma non solo: il soggetto arrivato a una certa età, su pressione di chi gli sta vicino, per imitazione degli amici, per certe inconsce esigenze della propria educazione, decide di fare un figlio perché deve. Se si è sposati o si ha una relazione stabile, prima o poi si devono fare dei figli. Ma chi lo ha detto?
A questa domanda molti danno risposte scontate e banali.
Per perpetuare la specie – Cioè la necessità morale di non essere egoisti e pensare al futuro dell’umanità ecc. La risposta in un commento nella pagina dei sopravviventi.
Per evitare che la società sia costituita da vecchi – Questa è la risposta che più piace ai politici (che del resto non sono certo giovani e moderni!), ma il Personalismo insegna la profonda differenza fra vecchi e anziani. Se una persona invecchia bene, resta attiva e positiva fino alla fine dei suoi giorni. Quindi non bisogna costringere la gente con un fine lavaggio del cervello a fare figli, quanto insegnare alle persone a invecchiare bene!
Di genitori scimmia ne esistono due tipi: lo svogliato e il diligente. Lo svogliato fa il minimo necessario per allevare il figlio, sente il peso che ha su di sé e tende a trovare strategie che minimizzino l’impatto del figlio sulla sua vita (ne affida gran parte dell’educazione ai nonni, lo tratta da adulto facendo in modo che si adatti alle esigenze della famiglia, sceglie per lui strade educative, come scuola e hobby, che rechino meno disturbo possibile ai genitori ecc.). Il genitore svogliato è proprio sicuro che con la sua intelligenza non intuirà fin dai primissimi momenti che quel (poco) amore che riceve è forzato? Genitore svogliato, figlio disgraziato.
Il diligente può avere coscienza o meno del peso esistenziale della genitorialità, ma si forza con molta dignità ad accettare il suo ruolo; è la soluzione più positiva perché “minimizza i danni” (cioè le perdite nel bilancio esistenziale): nei casi più positivi, genitori equilibrati e con buone condizioni facilitanti riescono a fornire una buona educazione a figli che crescono bene e stabiliscono un buon rapporto con i genitori. Purtroppo quello che il genitore diligente spesso fa è di mentire a sé stesso, parlando di sacrifici in cambio di soddisfazioni. Va da sé che una soddisfazione meno un sacrificio dà come bilancio esistenziale zero o giù di lì, soprattutto se si considera che molte delle rinunce o dei sacrifici fatti saranno piuttosto vani quando il figlio si formerà una sua famiglia. In altri termini, quando ci sarà il distacco (se non ci sarà, il figlio sarà un inibito, ancora dipendente da adulto dai genitori, una condizione che un genitore non dovrebbe assolutamente desiderare) i genitori ritorneranno liberi, ma smarriti: avendo perso gran parte dello slancio vitale, con scelte lavorative coinvolgenti (fatte anni prima per mantenere la famiglia), senza particolari oggetti d’amore (messi da parte proprio a causa dei figli) avranno sì (punto 4 di Simon) un miglioramento esistenziale, ma sicuramente rimarranno a un livello inferiore rispetto alle coppie senza figli. Anzi, i più “stanchi” non faranno altro che attendere di diventare nonni e chiudere la loro vita, immolata alla famiglia.
Il genitore padrone
Non si devono fare figli per avere un bastone per la vecchiaia.
I genitori padroni sono coloro che si aspettano l’eterna riconoscenza dei figli; quando saranno anziani saranno i figli che li aiuteranno a superare le difficoltà della vecchiaia. A parte il fatto che chi vede la propria vecchiaia come un periodo in cui necessariamente si ha bisogno di sostegno ha già un piede nella fossa, i figli non sono cose da possedere e una volta che c’è il distacco essi hanno diritto a fare la propria vita. Resta l’amore per i genitori, ma questi non possono pretendere di essere accuditi e riveriti come se i figli fossero loro schiavi.
Il genitore eterno
Non si devono fare figli per avere l’illusione di continuare a vivere in qualcuno.
Nelle famiglie più moderne la posizione del genitore padrone è stata già ridimensionata, a volte trasformata in quella del genitore eterno: fa un figlio per continuare a vivere in qualcuno.
Magari si lascia ai figli l’azienda di famiglia oppure si pensa a qualcuno che ci sia vicino negli ultimi giorni della nostra vita (“non voglio morire solo come un cane”). Tutte queste considerazioni sono molto irrazionali perché non cambiano la sostanza del discorso: fra cento o mille anni nessuno si ricorderà di noi ed è inconsistente mettere in scena un rituale (la nascita del figlio) con cui ci si illude di “continuare a vivere”.
Spesso il genitore eterno si danna come un pazzo per costruire l’avvenire ai propri figli; ma se ciò fosse giusto, anche i figli dovrebbero comportarsi così e l’umanità non godrebbe mai i frutti di un’insensata corsa a riprodursi.
Il genitore fallito
Non si devono fare figli per realizzare i propri sogni.
È il classico caso del genitore che ha fallito o non ha potuto, per le circostanze della vita, dedicarsi a qualcosa cui teneva molto. Sebbene l’obiettivo a cui i figli vengono indirizzati da questa cattiva motivazione dei genitori possa sembrare comunque positivo (si pensi al genitore che non è riuscito a laurearsi e vuole che il figlio diventi dottore a tutti i costi), dobbiamo sempre tenere presente che le spinte del genitore fallito sono sempre nevrotiche e non aiutano certo il figlio nella realizzazione dei propri obiettivi. Inoltre ognuno (anche i figli!) è libero di decidere la propria strada.
Il genitore incosciente
Non si devono fare figli per salvare il rapporto.
Chi fa un figlio per tentare di salvare il rapporto dimostra un’incoscienza e un egoismo senza pari. Possibile che non si chieda che cosa succederebbe se il tentativo fallisse? È come far crollare il tempio sperando di uccidere tutti i filistei e salvarsi sotto le macerie.
Il genitore professionista
Non si devono fare figli per sentirsi realizzati.
Chi pensa che la propria vita non abbia un senso senza un figlio, in realtà non ha la capacità d’amare perché non sa trovare altri oggetti d’amore che rendano significativa la propria esistenza. E se non ha la capacità d’amare è meglio che non faccia un figlio. Non solo, ma è meglio anche che non adotti un figlio perché chi non ha trovato qualcosa che dia un senso alla propria vita non può essere un buon genitore. È un argomento delicato, ma chi vuole adottare un bambino deve chiedersi almeno due cose: l’avrebbe adottato anche avendo un figlio proprio? Avrebbe accettato anche un affido, magari temporaneo, pur di aiutare il piccolo? Se le risposte sono positive, allora l’adozione è cosa giusta e meritoria. Se sono negative, allora l’adozione non è che un atto egoistico. È pur vero che anche da un atto egoistico può nascere amore, ma bisogna andarci molto cauti. Ricordo sempre una coppia di miei conoscenti che lottò per anni per avere in adozione un bambino. Una settimana prima dell’arrivo del piccolo mi recai a casa loro e il marito, ebbro di gioia, mi disse: “La settimana prossima arriverà il nostro piccolo, così mia moglie potrà smetterla di prendere quella roba”. Mentre mi diceva queste parole mi indicava un comodino sul quale stavano disordinatamente alcune confezioni di antidepressivi. Pazzesco.
Il genitore casuale
Non si devono fare figli per caso.
La contraccezione è sinonimo di civiltà. Un figlio non può arrivare per caso. Troppe vite sono state rovinate da figli arrivati per sbaglio; non penso che la Chiesa possa ormai difendere con intelligenza le posizioni sulla contraccezione e in ogni caso quello che conta è la qualità della vita. Una donna che prende la pillola non offende Dio, penso che Dio sia invece offeso da quei sacerdoti che autorizzano metodi naturali di contraccezione e condannano quelli artificiali. Alla base c’è sempre la volontà dei genitori di non avere figli: che differenza fa se utilizzo dei calcoli, un pezzo di gomma o una pillola? Quello che conta è l’intenzione, non il mezzo con cui la realizzo: se uccido, ha poca importanza se lo faccio con un bazooka, un coltello o una pistola!
Nonostante queste considerazioni per cui la contraccezione dovrebbe essere un atto responsabile, molti hanno però un figlio senza motivo, perché “arriva”. A prescindere dal fatto che non controllare la propria vita quando è possibile è sinonimo di approssimazione esistenziale, è importante chiedersi se si sarà in grado di amare in modo pieno e responsabile il figlio che viene. Provate a vedervi il giorno prima della consapevolezza della gravidanza e chiedetevi come avreste risposto alla domanda: “perché avere un figlio?”.
Se la risposta non è positiva almeno all’80%, avete tre possibilità:
- prendere in considerazione la possibilità dell’aborto;
- accettare il figlio come un peso da gestire il meno peggio per lui e per voi (genitore svogliato);
- accettare un degrado della vostra vita come pena per essere stati approssimativi nel controllo della propria vita e impegnarvi a dargli il massimo (genitore diligente).
La terza scelta è curiosa: visto che è naturale essere padre o madre, possiamo tentare di essere buoni genitori. Anche coltivare la terra è estremamente naturale e tutti possono farlo, ma che cosa direbbero questi “genitori per caso” se fossero costretti a lasciare il loro lavoro per diventare agricoltori? Il punto è che diventare genitori comporta una serie di scelte e di rinunce a cui non tutti sono portati. Ce le si può imporre, ma la sensibilità dei figli sarà tale da recepire che ciò che viene fatto per loro non è fatto per amore, ma per dovere.
Ovviamente la scelta peggiore è la seconda. Così vigliacca da non prendersi la responsabilità dell’aborto e così egoista da non prendersi la responsabilità piena di genitore. Il figlio verrà spesso parcheggiato di qua o di là, posposto al lavoro, ci saranno carenze nel dialogo: insomma un disastro annunciato. Se siete in queste condizioni, non ponetevi nemmeno il problema di come educare i figli: ponetevi seriamente il problema di cambiare la testa e il cuore.
Dal punto di vista pratico esiste spesso una quarta condizione: “non volevano un figlio in questo momento, ma ora sono contenti” (frase classica detta dai genitori dei giovani genitori). Si tratta di una variante della terza possibilità, molto comune quando i genitori sono dell’idea di aspettare ancora un po’ prima di avere figli per costruirsi una solida posizione, per divertirsi ancora qualche anno ecc. Ho conosciuto molte coppie di questi genitori “contenti”: in realtà nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di genitori che hanno fatto buon viso a cattiva sorte, che accettano i compromessi della nuova vita, ma sono, nel loro intimo, consapevoli che hanno dovuto rinunciare a uno stile di vita che in quel momento sentivano comunque più loro. Sono genitori scimmia.
Il genitore temporaneo
Non si devono fare figli se non si è sicuri del proprio rapporto.
Abbiamo già visto che è assurdo fare un figlio per tentare di salvare il rapporto, ma ciò non basta. Occorre anche essere ragionevolmente sicuri che il rapporto duri nel tempo. È da irresponsabili fare un figlio sapendo che è probabile che nel giro di qualche anno si cambierà partner; è un atto egoistico fare un figlio sapendo già che questi probabilmente non avrà accanto che uno solo dei genitori. Nessuno può illudersi di essere contemporaneamente un padre e una madre.
I genitori incompatibili
Non si devono fare figli se non si ha una visione comune sulla loro educazione.
Se i genitori divergono sull’educazione del proprio figlio, quest’ultimo diventerà una mina vagante nel loro rapporto, rimanendone coinvolto in prima persona. Una coppia formata da una persona di religione cattolica e da una di religione musulmana, entrambe praticanti, come potrà educare un figlio? È inutile nascondersi che fra le due religioni esistono punti di vista diametralmente opposti che la tolleranza religiosa può mitigare, ma che non possono coesistere in una stessa persona. Poiché entrambi i genitori sono (veramente) osservanti, non accetteranno mai di crescere il loro figlio senza religione per farlo decidere quando sarà maggiorenne. Come si vede, la situazione è veramente difficile e non basta il buonsenso per risolverla. Il problema è che un figlio è qualcosa di comune e, se non c’è accordo su ciò che è comune, si arriva allo scontro. Senza giungere a esempi così estremi, ogni divergenza educativa si tramuterà in motivo di conflitto fra i genitori e in un avvicinamento del figlio a chi dei due gli è più favorevole.
Il genitore superimpegnato
Non si devono fare figli se non si ha il tempo di amarli.
Ormai sempre più coppie pianificano l’arrivo di un figlio, sapendo di poterlo poi parcheggiare all’asilo nido durante il giorno e alla sera presso i genitori. Altri sanno che il lavoro li occupa a tal punto da condurli distrutti a casa ogni sera; alcuni di loro arrivano a chiedere al medico di prescrivere dei tranquillanti per il figlio che alla sera non vuole saperne di addormentarsi. Il figlio diventa un pacco postale da spostare qua e là, tutt’al più una piacevole sorpresa durante i week-end. Chi crede nella famiglia condanna questi atteggiamenti, invitando i neogenitori a sacrificare un po’ della propria esistenza in nome dei figli. Io non credo che mentire a sé stessi e ai figli (perché tale è compiere un sacrificio di malavoglia) sia la soluzione migliore: i figli hanno una sensibilità particolare per capire quando non sono amati. La soluzione più semplice per queste persone è una sola: non fare figli.
Figli: perché sì
Dopo la sfilza di motivazioni negative viste precedentemente potrà sembrare poca cosa trovarne una sola a favore dell’avere figli. In realtà è necessario che siano soddisfatte più condizioni perché la risposta sia positiva.
(1 – il genitore amorevole) Un figlio lo si deve fare per amore.
Il consiglio positivo può sembrare scontato, ma quanti genitori se lo pongono alla base della loro scelta, cioè come prima motivazione? Ci sono persino quelli che decidono di fare un figlio perché il governo ha alzato le detrazioni fiscali per i figli a carico! Solo l’amore deve essere il motivo per cui si decide di fare un figlio; solo così potrà essere amato, cresciuto ed educato nel migliore dei modi. Prima di mettere al mondo un figlio pensate alle rinunce che ciò può comportare nella vostra vita: se il lavoro è troppo importante, se non ve la sentite di rinunciare ai vostri hobby e a ciò che amate, se pensate di poter demandare ad altri la cura del vostro bambino, allora non è il tempo di avere un figlio.
Senza l’amore come ragione prima della genitorialità, il genitore diligente imparerà ad amare comunque i figli e, soprattutto nel periodo più gratificante, quello che va dai sei ai dodici anni, dove massimo è il legame genitore-figlio, affermerà senza dubbio che avere un figlio è una situazione positiva. La ricerca di Simon ha però evidenziato che non è la più positiva.
Poiché un oggetto d’amore ha come condizione necessaria l’indipendenza (altrimenti è una droga), verificate il vostro amore con questa semplice domanda:
(2 – il genitore libero) se non potessi avere figli, sarei felice lo stesso?
Se la risposta è no, il figlio non lo fate per amore, ma lo fate per soddisfare una vostra esigenza, predisponendovi a un “possesso” del tutto immotivato.
L’amore basta?
La risposta è no. Qualunque oggetto d’amore deve essere coltivato, l’amore si dimostra con le azioni, non con le vuote parole (uno dei motivi di incomprensione fra genitori e figli è proprio l’incapacità da parte del genitore di far arrivare l’amore ai figli). Quindi
(3 – il genitore presente) se non si ha tempo per seguire i figli è meglio non farli.
Quanti parcheggiano i figli ai nonni o negli asili perché “altrimenti non saprebbero come fare”? La prima soluzione è spesso disastrosa e non è certo un gesto d’amore; di puro comodo (i nonni non costano nulla), fa allevare i figli da persone che sono spesso indietro di una o due generazioni; la seconda è più moderna, ma deve essere comunque limitata nel tempo: il figlio deve passare molto più tempo con i genitori che con la maestra dell’asilo o la tata.
(4 – il genitore forte) altra condizione necessaria è la forza di allevare un figlio.
Se non si ha la forza (vedasi personalità svogliata, classico genitore che vorrebbe amare i suoi figli, ma, costandogli troppo, in parte li trascura), se non si agisce per i figli al di là del semplice benessere materiale (per esempio si vede come un peso occuparsi dei propri figli, seguirne l’istruzione, capire i loro hobby ecc.), non si dovrebbe avere un figlio.
Nonostante il genitore abbia tempo e voglia, spesso non ha le risorse. Si legga il test di Carla per capire la regola
(5 – il genitore responsabile) non fate figli, se ciò penalizza la qualità della vostra vita. Se con il lavoro che fareste normalmente potete mantenerne uno (due), non fatene due (tre).
Ovviamente poi il caso peggiore è quello di chi si ammazza di lavoro e non riesce comunque a supportare la prole che ha messo al mondo.
Infine la condizione probabilmente meno conosciuta fra quelle necessarie:
(6 – il genitore maestro di vita) la cosa più importante da fare per un figlio è insegnargli a vivere.
Se non si riesce a trasformare il figlio in un adulto positivo non si dovrebbe avere un figlio, quindi, prima di farlo, si deve essere convinti di saperlo educare bene. Quante famiglie hanno gravi problemi a causa di un’educazione approssimativa dei figli! Si veda l’articolo sull’educazione dei figli.
Quante coppie superano questi sei punti? Realisticamente non più del 10%. Alla banale obiezione che, se solo il 10% delle coppie facessero figli, vivremmo in un mondo di vecchi, è immediato rispondere che l’obiettivo deve essere quello di insegnare agli anziani a invecchiare bene in modo da non pesare sulla società: del resto oggi non è difficile trovare ottantenni più arzilli di cinquantenni mal messi.
L’ultimo test
Rispondete con pochi secondi di riflessione, a questa domanda, prima di aver letto il seguito:
(7 – il genitore equilibrato) siete pronti ad affrontare i sacrifici che richiedono i figli?
Purtroppo molti genitori sono convinti di rispettare tutte e sei le condizioni del paragrafo Figli: perché sì. Si sentono amorevoli, liberi, presenti, forti, responsabili, maestri di vita. Ciò è abbastanza incompatibile con i risultati di Simon, altrimenti sembrerebbe che l’amore non basti a non rendere i figli condizioni penalizzanti. Il tutto si spiega semplicemente con il fatto che una buona parte delle risposte è di facciata, situazione ben nota a chi prepara questionari nei quali si evitano sempre domande che “forzano” risposte. Come si può capire se la gente mente a sé stessa? Semplice: con la risposta all’ultima domanda.
Domanda all’apparenza banale, ma che, nel caso di una risposta affermativa, distrugge l’amore precedentemente affermato.
Infatti chi ama qualcosa non parlerebbe mai di sacrificio, termine che indica chiaramente una rinuncia, un compromesso. Supponiamo che io incontri un amico sedentario e gli parli di tutti i “sacrifici” che faccio per fare sport; a tutti apparirebbe del tutto normale se l’amico mi dicesse: “ma scusa, se ti costa tutti questi sacrifici, chi te lo fa fare?”. Ineccepibile.
Per i figli è la stessa situazione, solo che i condizionamenti subiti non portano le persone a dirsi “ma chi me lo fa fare di fare tutti questi sacrifici?”. In altri termini, la risposta corretta al domandone finale è un sincero “ma quali sacrifici?”. La stessa risposta che io do per i miei oggetti d’amore.
Chi ha risposto sì alla domanda non ha quindi passato il test!
Per approfondire il concetto di sacrificio, leggete l’articolo Lacrime e sacrifici olimpici.
Riassunto
Per sapere cosa aspetta gli aspiranti genitori si legga l’articolo Figli e qualità della vita.
——–
* Un’obiezione interessante ai dati di Simon è che la ricerca è statunitense, cioè potrebbe non valere per la realtà italiana.
Se, rispetto a una certa ipotesi, un campione B è più facilitato di un campione A, se l’ipotesi è negata per B, a maggior ragione le conclusioni valgono per A.
Esempio: se una ricerca sugli sportivi evidenzia che l’età media non è superiore a 85 anni, a maggior ragione (se uno sportivo mediamente vive più di un sedentario) posso concludere che l’età media dei sedentari sia inferiore a 85 anni.
La traslazione alla realtà italiana è quindi valida se si ammette che negli USA essere genitori è più facile perché il concetto di famiglia non è un “dovere” come in Italia e il giovane diventa prima autosufficiente, cioè resta in famiglia per meno tempo (non a caso Simon mostra che la qualità della vita migliora quando i figli se ne vanno).
LE MAIL E I COMMENTI
Il senso della vita
Gully ci scrive:
Riguardo i figli, proprio ieri mi è capitato di riflettere mentre ascoltavo una trasmissione radiofonica che aveva come tema “il senso della vita”. La gente telefonava o mandava sms per dire quale fosse per loro il senso per vivere la vita. Certamente, per quanto possa esser buono il bacino di utenza di una radio come 101, l’attendibilità del sondaggio è decisamente discutibile, ma quello che ne è uscito è stata una schiacciante prevalenza per i figli.
La cosa mi ha messo proprio tristezza. Come si può, ancora nel 2008, ridurre il senso della vita solo nei figli??
Ammesso che lo sia, quando crescono e se ne vanno di casa, uno si deve ammazzare perché non ha più nulla per cui vivere!
Purtroppo i figli sono stati imposti come scopo esistenziale dalla religione; le risposte in Danimarca sarebbero state molto diverse. Si veda l’articolo: Felicità: i numeri. Una risposta moderna e molto più ampia di quella data è: “il senso della vita è trovare oggetti d’amore”. Per approfondire: Il senso della vita.
Il test di Carla
Carla è una giovane donna con una relazione disastrosa alle spalle; ha una figlia, frutto della relazione passata. È bella e ha una discreta cultura (è diplomata); non faticherebbe a trovare un lavoro decente, ma non è facile avere il meglio per lei e soprattutto per la figlia, che ama veramente. I casi della vita la portano a contatto della professione più vecchia del mondo; così si mette in proprio, si fa il suo giro di clienti fidati e affezionati, lavora dalle 12 alle 20 in uno studio che ha preso in affitto e guadagna abbastanza per avere un futuro per sé e per la figlia, futuro ben più roseo di quello ottenibile con un lavoro tradizionale.
Come la giudicate? Con che probabilità, nelle condizioni di Carla, avreste fatto la sua scelta?
Il test è molto subdolo perché è indiretto: ve l’ho proposto perché può rivelare forti incoerenze. Infatti non mi interessa discutere sulla risposta, quanto sulla grave incoerenza in cui cade la maggioranza degli intervistati. Il test l’ho ripreso da una rivista che mi è capitato di leggere tempo fa in Francia (penso che in Italia sia ancora peggio!): ben il 62% degli intervistati condannava Carla senza appello (cioè senza attenuanti). Fin qui ci sta. Ma sono certissimo che buona parte di questo insieme di persone:
- ha un lavoro che gli pesa un po’;
- lo fa per dare un buon sostentamento alla propria famiglia, soprattutto ai figli che, a differenza dell’altro coniuge, non sono autosufficienti.
Ci sarà chi torna un’ora più tardi alla sera e lavora nei week-end perché deve far carriera per mandare i figli all’università; chi non può far carriera, ma fa tanti straordinari per poter dare questo o quello ai propri figli; chi ha scelto un lavoro molto impegnativo e stressante per guadagnare di più ecc. Il lavoro pesa e i più bravi sono riusciti a essere in equilibrio con esso, ma, se si guardano allo specchio e potessero avere un bacchetta magica, si darebbero un lavoro migliore che penalizzi di meno la loro vita. Se si considera poi che una vita più difficile penalizza ulteriormente i rapporti con i figli, perché si deve condannare la scelta di Carla? Solo per ragioni etiche? E non è prostituirsi perdere il proprio tempo e la propria vita, asservendolo ad altri per una manciata di soldi in più?
I genitori-nonni
La domanda: cosa ne pensate dei genitori-nonni, di chi cioè vuole diventare padre/madre a 60 anni?
Anche questo è un test indiretto e “nasconde” un’incoerenza che è tipica di gran parte della popolazione. Fissiamo l’attenzione su coloro che rispondono che è assurdo essere genitori a 60 anni e poi affidano parte dell’educazione e la cura dei loro figli ai loro genitori, cioè ai nonni!
La bocciatura della genitorialità avanzata di solito passa attraverso motivazioni come queste:
- quando il figlio sarà grande (diciamo avrà 20-25 anni) i genitori avranno buone probabilità di non esserci più o di essere malridotti. Vero (anche se non è scontato), ma un ragazzo a 20-25 anni dovrebbe essere già autosufficiente e pensare che abbia bisogno ancora dei genitori come guida vuol dire che l’educazione è stata fallimentare (se non sono bastati 20 anni…) e che non si è attuato nessun distacco.
- C’è un’eccessiva differenza generazionale che non assicura un’educazione ottimale. Questa motivazione (sulla quale sono d’accordo, salvo rarissimi casi) è quella che rivela l’incoerenza: che senso ha affidare i propri figli ai nonni quando si pensa che una persona non possa fare il genitore a 60 anni? Solo il tornaconto personale può giustificare una tale incoerenza: fa comodo che il nonno dedichi il suo tempo al nipotino.