Negli ultimi anni, ogni mese, una decina di donne sono state uccise con un atto di femminicidio. Certo, rispetto a vent’anni fa i casi di femminicidio si sono dimezzati, ma sono sempre terribilmente troppi, anche perché la riduzione frena (un 5% all’anno circa).
Continuano i femminicidi e continuano le sciocchezze che si dicono al riguardo. Qualche tempo fa una sociologa raccontava di come l’uomo possa essere violento ecc. Ovvio, tutto vero, ma sarebbe come raccontare di come possa esistere la criminalità. Che senso ha continuare a insistere sul fatto che una percentuale di uomini è violenta, quando nella popolazione tale percentuale ci sarà sempre? Certo, educando la popolazione, potrà diminuire, ma pretendere che si azzeri è utopistico.
Il mezzo per combattere i femminicidi passa anche attraverso un’educazione della donna, non solo dell’uomo. Sono risibili i cortei contro la violenza sulle donne, quando poi è proprio il comportamento della donna che genera il problema. In altri termini, nessuno di noi lascia la porta aperta se si sa che ci sono ladri in giro, si mettono sistemi d’allarme ecc. Non si pretende, ottimisticamente, che la polizia catturi tutti i ladri.
Le vittime
Curiosamente, nel caso dei femminicidi si fanno pochissime azioni sulle donne, le si educano poco. Nessun sociologo, nessun psicologo ha il coraggio di dire che la donna vittima di femminicidio spesso ha una personalità fragile, personalità che andrebbe curata e rafforzata. Qual è l’identikit della donna che sarà la prossima vittima?
Tre sono le personalità coinvolte.
La donna romantica è il primo potenziale bersaglio. La donna che cerca l’uomo che le dice “tu sei tutto per me!”, che la riempie di attenzioni, che la corteggia fino a farla diventare una protagonista di quegli scellerati romanzi dell’800 pieni di lacrime e sangue, dove l’amore mieteva vittime peggio di una guerra. Eppure, sono convinto che, se un professore in un liceo bruciasse certe opere “immortali” come esempio di degrado esistenziale della società, sarebbe immediatamente sospeso. Possibile che una donna non capisca che il suo principe azzurro può diventare il suo peggior incubo nel momento in cui lei si dovesse stancare delle sue attenzioni: il passo a “senza di te non posso vivere, quindi ti ammazzo per la tua crudeltà nel lasciarmi e poi mi ammazzo” è la logica conseguenza di un corteggiamento patologico, visto però dai più come il “massimo dell’amore”. Avete presente quante canzoni ancora oggi inneggino all’amore per un’altra persona come unica molla che ci porta a vivere? Il romanticismo è poi anche quel cancro che porta la donna a “subire perché è innamorata”.
Il secondo potenziale bersaglio è la donna insufficiente, quella che vede nella famiglia un porto sicuro: senza un uomo accanto come potrebbe vivere? Nonostante gli sforzi del femminismo, ancora oggi molte donne preferiscono vendersi (la definirei prostituzione esistenziale) a chi le corteggia e promette loro di “occuparsi della loro vita”. Di fronte a un uomo sicuro, forte, con un’ottima posizione economica, magari di bell’aspetto, ecc. molte donne, per adularlo, gli direbbero “lei è proprio l’uomo che molte donne sognano”, senza capire che in quel giudizio si cancella praticamente ogni indagine sulla reale compatibilità dell’uomo con la propria vita, ogni indagine sul resto della sua personalità (che potrebbe essere violenta).
Forse essere romantiche e insufficienti non basta al 100% a candidare una donna al ruolo di vittima. In genere ci vuole anche una personalità debole. Sinceramente trovo risibili certi appelli delle istituzioni a denunciare chi picchia la moglie o la minaccia. Ok, la denuncia dovrebbe essere il primo passo, ma con la lentezza della giustizia italiana pensate che serva realmente a fermare il killer? I fatti dicono di no. Che io sappia non accade mai qualcosa del genere. Lucia (nome di fantasia) è picchiata dal marito, ha commesso l’errore di scegliere la persona sbagliata, ma gli errori li fanno tutti, quello che è importante è ripararvi e non ricaderci. Quindi decide di lasciare il marito. Questa bestia gli fa presente che, se viene lasciato, l’ammazzerà. Lucia va a vivere con i suoi, si procura un’arma (legalmente: per chi non lo sapesse procurarsi legalmente un’arma è molto facile in Italia, basta il porto d’armi a uso sportivo) e, quando il marito si presenta con un coltello per “farsi giustizia”, lo fredda. Certo, un solerte magistrato con la legge al posto del cervello probabilmente la indagherà per eccesso di legittima difesa, porto abusivo d’arma ecc., ma l’opinione pubblica a Lucia darebbe una medaglia, una d’oro, una specie di vittoria all’olimpiade della vita. Come detto, che io sappia questo non è mai successo, perché purtroppo la vittima ideale del femminicidio ha una personalità debole.

Il termine “femminicidio” è un neologismo diffuso a partire dal 2009 e il cui uso è dibattuto
C’è chi crede che il femminicidio non esista
Nonostante questi dati inconfutabili, c’è chi ancora sostiene tesi che assolvono gli uomini. Il femminicidio non esiste. Questo il titolo di un articolo in Rete segnalatomi tempo fa; di solito non forniamo link ad articoli che critichiamo per evitare un’inutile pubblicità, ma in questo caso è importante leggerlo per capire i danni che la Rete può fare.
Negli ultimi anni 10-15 donne sono state uccise con un atto di femminicidio.
Si trovano infatti molti articoli che con “linguaggio scientifico” vendono assurdità di ogni tipo; di solito il linguaggio è medico, in questo caso è matematico. Il lettore di scarsa cultura (medica, matematica o della materia che viene usata per propinare l’assurda tesi) cede al fascino dello scrivente e sposa la tesi!
In realtà è abbastanza facile per chi ha letto il mio Migliora la tua intelligenza bocciare tutti questi articoli che hanno una comune grande falla: commettono gravi errori razionali, di solito nelle premesse.
Analizziamo l’articolo in questione per capire come si fa a criticare simili pezzi.
Supponiamo che non si riesca a seguire le deduzioni dello scrivente, perdendosi nel mare dei calcoli che fa. Isoliamo le premesse e le conclusioni.
Iniziamo dal pomposo “Tutto questo può essere dimostrato“. Dopo una vagonata di calcoli lo scrivente conclude che: “Il risultato è che gli uomini sono molto più violenti delle donne, più del triplo, e, cosa importante, la loro violenza non varia in modo significativo al passare degli anni, cioè resta approssimativamente la stessa indipendentemente da come varia il maschilismo. Qualsiasi sia l’origine della violenza maschile (io un’idea ce l’avrei), non si può dire che abbia qualcosa a che fare col maschilismo“.
Limitiamoci a indagare la conclusione e scopriamo che l’autore dell’articolo non ha proprio dimostrato nulla.
- La parola femminicidio non compare. Non compare perché la cantonata presa è un errore di definizione che genera uno degli errori più gravi del dialogo (l’equivoco). Lo scrivente scambia il donnicidio (l’uccisione generica di una donna) con il femminicidio. Il femminicidio è l’omicidio di una donna perché la stessa non si sottomette ai desideri dell’omicida, non è un’uccisione “qualunque” di una donna (durante un litigio fra persone che non si conoscono, una rapina, per motivi di interesse ecc.). Quindi, tutti i dati citati non hanno valore, si possono buttare. Si considerino due Paesi a eguale popolazione: in un certo periodo in A vengono uccise 100 donne, in B 50. Indagando le cause, si scopre che i motivi delle 100 uccisioni sono vari e che 20 su 100 sono rapportabili al fatto che la donna voleva lasciare l’uomo (sono femminicidi); in B tutte e 50 le uccisioni sono rapportabili a femminicidi. Conclusione: il paese B, pur avendo un numero di donne assassinate inferiore ad A, ha un problema di femminicidio ben più grave di A.
- Il secondo errore è quello di spaziatura categoriale. Se si prendono degli insiemi di dati, le conclusioni possono essere diverse a seconda di come si suddividono le categorie. Lo stesso errore è quello che commette Veronesi quando ci dice che la carne è cancerogena. Nel nostro caso, vengono buttati nel calderone i generici omicidi, suddivisi solo per genere ed età. Come spiegato al punto 1 i dati sono inutili perché manca la categoria “movente”.
- L’ultimo errore è il più grossolano, forse causato da un delirio di onnipotenza. Anche questo è un errore di definizione. L’indice di maschilismo è ottenuto dividendo gli omicidi di maschi per quelli di donne (fra l’altro, uno può essere maschilista senza essere un assassino!). Ma chi lo ha detto? Io potrei definire l’indice di maschilismo come il numero di donne uccise per anno ed ecco che si noterebbe che il maschilismo è aumentato (quasi raddoppiato), anziché diminuito. Se ogni volta che si introduce un termine, il lettore non sta attento a verificare la correttezza della definizione, è spacciato perché poi prende per buone tutte le cantonate che seguono.
Insomma un articolo da dimenticare per il bene delle donne e delle persone civili.