Come aumentare l’autostima è un punto cruciale nella qualità della vita di tutti noi. Una delle “scoperte” del Personalismo è che per renderla stabilmente ottima è necessario non basarsi sui risultati (che quando non vengono fanno crollare l’autostima), ma sui valori morali ed esistenziali (per approfondire andate alla pagina dell’autostima). Ciò praticamente distrugge tutte le soluzioni che vogliono innalzare le probabilità di successo nel lavoro, negli affetti ecc. In genere sono soluzioni che tendono a dare “fiducia” al soggetto che, inizialmente, può sentire di essere diventato un leone, ma, al primo insuccesso, torna a essere una pecora.
Autostima e fiducia in sé stessi
Cercare di aumentare l’autostima dando fiducia al soggetto non funziona. Vediamo l’esempio classico.
Luigi è un commerciale con bassa autostima. Ciò lo penalizza molto nel suo lavoro. Decide perciò di iscriversi a un corso di SIG (Sei Immensamente Grande), una nuova tecnica infallibile per aumentare la propria autostima. Dopo sei mesi la fiducia in sé stesso è triplicata e sente dentro di sé un entusiasmo mai provato. Si getta con grande dedizione nel lavoro, migliorando i suoi risultati. Ottiene un aumento del 15% delle vendite (la SIG funziona!). Tutto bene? Analizziamo oggettivamente la situazione.
Luigi è così pieno della sua nuova attività che lavora il 30% più di prima, per lui non c’è che il lavoro, l’unico campo in cui sente di “valere” qualcosa. L’unica che ci ha guadagnato da questa situazione è sicuramente l’azienda (aumento del fatturato con piccolo bonus a Luigi), ma Luigi è lo scarso di prima, una specie di “secchione” del lavoro che ottiene qualcosa in più perché è stato “programmato” a lavorare molto di più. Al primo insuccesso Luigi crolla e ritorna a essere quello di prima.
Luigi avrebbe dovuto capire che nel lavoro (come in ogni attività dove c’è un risultato) basta dare il meglio di sé, buttare il cuore oltre il traguardo, senza avere l’ansia della vittoria. Se i risultati sono comunque scarsi, possiamo accontentarci oppure scegliere un’altra strada più facile (per esempio il ridimensionamento nel lavoro o nello studio), senza per questo sentire lo stupido peso della sconfitta.
Per capire come liberarsi dall’autostima da successo occorre:
- Capire i limiti di tale scelta;
- Trovare una scelta migliore.
Per realizzare il primo punto occorre lavorare su 4 concetti.
1) Il proprio valore è indipendente da ciò che gli altri pensano di noi – Provate a frequentare i bar fuori dagli studi televisivi di una grande emittente; un sacco di ragazzine tentano l’approccio con agenti più o meno dubbi per “andare in televisione”. La loro autostima è zero, sono pronte a esaltarsi se qualcuno dice loro “brave” e a deprimersi se sono scartate. La stessa cosa vale anche per i big o presunti tali (tranne rare eccezioni). Morale: chi rincorre il successo e pensa di esistere solo se diventa famoso, in realtà non esiste, non brillando di luce propria. È come la luna: bellissima da lontano perché la illumina il sole, ma deserta e spettrale vista da vicino. Il punto 1) è quello che ci permette di affrontare un esame in tranquillità o di dichiararci alla persona che amiamo.
Nel primo caso è importante ciò che abbiamo fatto “prima”, sentirsi con la coscienza a posto, non il voto che prenderemo. Dobbiamo vedere l’esame come un ulteriore mezzo di imparare qualcosa, non come un giudizio sulla nostra personalità.
Nel secondo caso, a prescindere dalla risposta, noi rimaniamo ciò che siamo: se la risposta è negativa, è inutile disperarsi (con la classica frase: “senza di lei/lui la mia vita non ha senso”: ma allora ammazzati subito! Chi non sa vivere da solo come può pretendere che un’altra persona risolva la sua vita?), abbiamo capito che stavamo sbagliando puntando sulla persona sbagliata. Possiamo rivolgerci altrove per migliorare la nostra vita.
2) Nessuno deve ritenersi meno importante di un’altra persona – Questo concetto è importantissimo. Ognuno di noi ha la propria dignità e non la si può perdere rimpicciolendo la propria identità di fronte a quella di un’altra persona. Si può stimarla, ma non adorarla o temerla. Troppe persone si annullano di fronte a un superiore o presunto tale; ricchezza, nobiltà, gerarchia, successo: nulla di tutto ciò può giustificare il sentirsi in inferiorità di fronte a qualcuno, chiunque esso sia. Ci può essere rispetto, ma non sottomissione. Chi si spersonalizza in un mito spesso non stima abbastanza sé stesso. Pensiamo al fan che attende per ore il suo cantante o il suo attore preferito, pensiamo al tifoso che si spersonalizza nella squadra. Chi vince non è il tifoso, anche se con il suo tifo pensa di avere una parte nella storia di un successo sportivo. Sono i giocatori che sono ricchi e famosi: anche se la squadra vince il massimo trofeo, il tifoso resta solo un anonimo zero. Chi tifa dovrebbe farlo per amore dello sport che sta osservando, non per esaltare la propria personalità in una vittoria che erroneamente crede sua. Un esempio veramente preoccupante di mancanza di autostima è rappresentato dalle bande giovanili. Il singolo si riunisce in gruppo per sentirsi più forte, più importante, ma così facendo firma la sua nullità esistenziale senza nemmeno rendersene conto. In una banda solo il capo conta qualcosa: come può un individuo accettare di prendere ordini da un essere simile a lui in un regime fondamentalmente dittatoriale?
Vi sentite in soggezione di fronte a un superiore, non sapete rispondere con calma e pacatamente alle sue assurde pretese, vi sentite emozionati di fronte a un potente? Se è così, vi ritenete meno importanti di lui e la vostra autostima è carente. È incredibile come intere popolazioni accettino ancora la monarchia (un esempio di disistima di massa). Come è possibile accettare che per nascita una persona abbia più diritti di me?
3) Nessuno deve ritenersi più importante di un’altra persona – Ovviamente non bisogna incorrere nell’errore opposto: chi si sovrastima (e pensa di essere migliore degli altri e fa di tutto perché ciò appaia) è fondamentalmente uno stupido. In antitesi alla ragazza che si crede brutta, è la donna che pensa di essere bellissima e non riesce a vedere tutti i difetti per cui gli uomini la evitano. Il concetto di autostima non ha nulla a che fare con la superba ipervalutazione della propria personalità. Chi si crede importante (la classica frase: “Lei non sa chi sono io!”) in realtà non ha stima di sé in quanto il più delle volte si rende ridicolo o, nel caso dei potenti o presunti tali, si rende antipatico oppure odioso. Nessuno può impormi un segno di stima nei suoi confronti, chiunque esso sia. Chi pensa di avere anche il più piccolo privilegio per la posizione sociale raggiunta, per il successo ottenuto, per il grado gerarchico in cui si trova ecc. non ha una vera stima di sé; infatti se ragiona in questo modo si riterrà inferiore rispetto a chi sta sopra di lui.
4) Chi deve dimostrare di valere qualcosa non vale nulla – Un mediocre giocatore di scacchi quando perde è solito accampare scuse come cali di concentrazione, varianti sfortunate o altro, mentre quando vince si autocompiace delle sue splendide partite e se ne vanta con chiunque incontri: non considera mai nemmeno lontanamente il fatto che magari quel giorno era l’avversario a essere poco concentrato! Uno sportivo pratica il suo sport non perché lo ama, ma perché gli consente di emergere in un gruppo di persone, gruppo all’interno del quale ha le sue vittime che deride pesantemente ogni volta che riesce a batterle. Un adolescente sfida un coetaneo in una prova di coraggio e, se lo sfidato rifiuta (perché più furbo), lo deride dandogli del codardo.
Tre brevi esempi per mostrare come siano comuni le persone che sono sempre in competizione, perché pensano che il confronto con gli altri sia il metro per misurare il proprio valore. Spesso queste persone non amano veramente ciò che fanno, ma lo fanno solo per emergere, per sentirsi importanti. Il più delle volte ottengono risultati superiori solo di poco alla media, ma li ingigantiscono per ingigantire la loro immagine: sono gli scarsissimi. Chi vale veramente non ha bisogno di dimostrare il proprio valore.
Nel mondo degli scacchi, se perde una partita, il giocatore equilibrato non accetta la sconfitta “il più serenamente possibile”, ma immediatamente si dice “vediamo dove ho sbagliato”.
L’autostima è tanto più da risultato quanto più tempo passa dalla delusione del risultato negativo alla volontà di metabolizzarlo e migliorare.
Il confronto con sé
Molte persone pensano di essere immuni dall’autostima da successo con un ragionamento simile a questo: sono arrivato a un punto della mia vita che ho capito di non dover dimostrare niente a nessuno, ma nei confronti di me stesso sì… che male c’è?
In questo ragionamento di falle ce ne sono due.
La prima è una profonda insicurezza perché comunque si basa la stima di sé su quello che si riesce a fare, sui risultati. Come vedremo nel paragrafo successivo, il singolo vale indipendentemente da quello che sa fare perché ha valori morali e oggetti d’amore.
La seconda è che implicitamente ci si confronta con gli altri. Infatti si tende a scegliere cose che per gli altri sarebbe difficile fare. Come dire: lo faccio per me, per dimostrare a me stesso che sono più bravo degli altri. Infatti, se si scegliesse qualcosa che tutti riescono a fare, ecco che “non ci sarebbe gusto”. Ci si vuole comunque distinguere.

L’autostima è una grandezza psicologica fondamentale per migliorare la qualità della nostra vita.
Come aumentare l’autostima – La strada giusta
Capire che l’autostima deve basarsi sui valori morali ed esistenziali non basta però a migliorare la qualità della vita perché ci sono ancora molti ostacoli.
Il primo è sicuramente una cattiva applicazione della definizione del Personalismo. Infatti, i valori morali possono anche farci peggiorare la qualità della nostra vita quando prendono il sopravvento e ci portano a scelte che aumentano sì l’autostima, ma allo stesso tempo uccidono la nostra vita. Accade spesso ai patosensibili che esasperano la propensione verso la bontà (sindrome di San Francesco) immiserendo la propria vita, ma guadagnandosi quello che loro credono il paradiso, salvo avere in terra un piccolo inferno fatto di problemi, sofferenze, lacrime.
Accade a chi scambia condizionamenti per oggetti d’amore e continua a ripetere che la propria vita è anche di sacrifici per poter vivere le cose che ama (quando si ama veramente qualcosa il sacrificio non esiste perché l’impegno e la fatica diventano una gratificazione).
Supponiamo per un attimo che il ricevente il messaggio abbia capito esattamente cosa si intenda per autostima secondo il Personalismo. Se proviene da un’autostima da risultato e non ha una personalità debole probabilmente la sua vita farà un bel salto in avanti.
Secondo la mia personale esperienza, però, solo la metà di quelli che hanno compreso la “vera” autostima riescono a raggiungerla; per l’altra metà continua a essere difficile perché continuano a essere vittima del giudizio altrui, quel che di debole c’è in loro li porta a non essere sereni nel rapporto con gli altri.
Una regola generale per aumentare l’autostima:
fregarsene del giudizio altrui.
Analizziamo questo scenario. Con cattiveria una persona ci evidenzia una nostra mancanza, una nostra debolezza ecc. Non importa se la debolezza, la mancanza, il difetto siano reali o no. Una persona equilibrata rifletterebbe e, se quanto le viene detto è corretto, ringrazierebbe l’interlocutore, se non lo è, se ne fregherebbe.
Chi invece ha una bassa autostima ci resta male e “si sente sconfitto”. Come evitare questo senso di frustrazione? Innanzitutto capendo che chi abbiamo davanti non è il nostro giudice assoluto e che a lui non dobbiamo nessuna spiegazione. Questo però non basta ancora: perché Fracchia si sente sconfitto, umiliato e il sottoscritto no? Fracchia avverte l’umiliazione perché “si sente peggiore” del suo giudice, si sente sconfitto perché nella gara della vita è passato “dietro” a chi lo giudica.
Se analizzo tutti quei casi in cui io avrei dovuto sentirmi umiliato, a torto o a ragione, posso garantire che non mi sono mai sentito “dietro” al mio interlocutore. Merito dei miei valori morali ed esistenziali (soprattutto di questi) che non mi facevano sentire, nonostante il giudizio, peggiore del mio giudice. Il motivo è che è banale trovare qualcosa in cui io sono meglio dell’altro e questo nella mia scala di valori non mi metteva dietro.
La replica consiste appunto nell’evidenziare, sempre con molta calma, questo fatto.
- “Uno come lei poteva dare molto alla società” (detto da chi è invidioso del mio tempo libero o condizionato da valori sociali) -> “Certo, ma guardi che vita fanno quelli che s’immolano per la società. Dove trovavo il tempo per stare con mia moglie, correre, giocare a scacchi ecc.?”.
- “Mi scusi per la mia reazione, ma quando vedo un cacciatore mi viene la pelle d’oca” (detto da chi vuole “civilmente” esprimere un suo disappunto, affossando ogni diritto di replica) -> “La capisco, pensi che a me passa l’appetito ogni volta che vedo una persona in forte sovrappeso come lei!”.
- “Se non fai carriera e non hai un bel conto in banca, sei un fallito” (detto da chi ha “una bella posizione“) -> “Sarà, ma se i soldi non puoi goderteli perché lavori troppo, a che ti servono, a farti un bel funerale, a essere il più ricco del cimitero?” oppure ” Sarà, ma se tua moglie ti lascia e tuo figlio è uno scapestrato, sarai OK nel lavoro, ma un fallito nella vita”.
La replica deve:
- essere commisurata al grado di aggressività dell’interlocutore. Se questo parla in generale (come quando si esalta un aspetto della vita cui noi siamo contrari o si condanna uno a cui siamo favorevoli), si deve reagire in generale; se ci attacca personalmente, allora possiamo andare sul personale;
- essere calma; si fa un bel respiro, si analizza cosa abbiamo di buono e di unico (che l’interlocutore non ha) e poi lo si mette sul piatto.
Con una replica corretta noi non stiamo “dietro” l’interlocutore, ma davanti. Un ultimo aneddoto nello spirito di quanto detto finora.
In quarta liceo avevo voti molto alti, ma non capivo perché la professoressa di matematica non mi desse 10. Seppi che lei 10 non l’aveva mai dato a nessuno, evidentemente considerandolo la perfezione assoluta (piuttosto che il riferimento a sé). Interrogazione di fisica. Nessun errore, nessuna sbavatura, risultato: 9. Chiedo come mai non 10. La risposta: “per avere 10, ci vuole altro”. Controrisposta: “OK, sei io valgo 9, lei vale 8, comunque non sto qui a perdere tempo con lei” ed esco senza sbattere la porta. La professoressa chiama il preside, vuole sospendermi. Il pover’uomo (erano i tempi in cui gli studenti avevano sempre ragione e lui era di sinistra) vuole sentire le mie ragioni. Gli spiego che la professoressa spesso s’impappinava durante le dimostrazioni che io non avevo difficoltà a svolgere fino alla fine senza che nessuno dal fondo dell’aula mi gridasse di girare la pagina del libro per avere un aiutino, come succedeva alla professoressa. Il povero preside sembra convinto e rivolgendosi alla prof le dice “beh, non bisogna certo essere Einstein per avere 10”. Lì, avrei potuto accontentarmi, ma perché risultare dietro a Einstein? “Preside, il paragone non regge, Einstein fu bocciato nelle materie letterarie al primo esame di ammissione al politecnico e ne uscì poi con votazione mediocre, la relazione con la sua prima moglie fu disastrosa tanto da arrivare al divorzio, uno dei suoi figli finì in manicomio; insomma una vita che è da bocciare. Parliamoci chiaro: se dedicassi alla fisica tutto il tempo che Einstein le ha dedicato, scoprirei, oltre alla ristretta e alla generale, anche la teoria della relatività universale. Ma non ho tempo, devo giocare a pallone”. Non fui sospeso e l’anno seguente la prof se ne andò.