Appare scontato che per il Personalismo, la predisposizione al cambiamento è un’enorme condizione facilitante per non diventare irrecuperabili. La Regola del cambiamento ci dice che per migliorare la propria vita si deve essere disposti a cambiare. Si deve essere disposti a tutto; tutto significa mettersi in discussione e spesso cambiare radicalmente, rinunciando agli obiettivi che finora ci hanno tormentato: i soldi, la carriera, l’amore ecc. La stupida frase “io sono fatto così, che ci vuoi fare?” è la prova più evidente di una cattiva predisposizione a cambiare la propria vita.
Desideri e obiettivi sbagliati sono la causa più frequente di una vita sbagliata. Una personalità sbagliata dà una vita sbagliata.
Il miglior modo di attuare la propria predisposizione è di sottoporre l’impostazione attuale della propria vita a una spietata analisi critica, che potrebbe anche portare a una profonda rivoluzione. Ricordatevi che senza cambiare vita non si può correggere nemmeno il più piccolo difetto. Il maggior ostacolo verso la felicità spesso siamo proprio noi con la nostra inerzia ai cambiamenti!
Nove volte su dieci la felicità dipende da noi.
Molto spesso la decima possibilità è rappresentata dalla salute alla quale possiamo comunque dare un’ottima mano con un buon stile di vita e una personalità equilibrata.
Chi non vuole il cambiamento tende spesso a dare la colpa dei propri guai agli altri, al mondo, alla sfortuna. Pensiamo a quante volte affidiamo un compito a una persona che lo svolge gratuitamente a titolo di favore: se qualcosa va storto che diritto abbiamo di prendercela solo con chi noi abbiamo scelto? Certo può avere una parte di colpa, ma una parte è anche nostra che abbiamo scelto male. Non arriveremo mai a vivere bene se siamo sempre pronti a scaricare all’esterno ogni nostra responsabilità.
Non si deve pretendere che il mondo si adatti a noi (gli eterni bambini).
Ci sono persone che riescono ad aiutare gli amici a uscire da situazioni molto difficili, ma che poi hanno una vita disastrosa. Il motivo è che le regole elaborate per gli altri non vengono applicate a sé stessi. Queste persone vivono in due mondi: quello degli altri (di cui hanno capito le regole) e il proprio, che ostinatamente vogliono che sia fatto in un certo modo: solo che la realtà travolge i loro sogni e con essi la loro vita. Sono come bambini che, poiché non riescono a ottenere il giocattolo che desiderano, piangono, si disperano, si fanno del male.
Altre persone usano regole sbagliate (come chi per esempio ritiene la ricchezza, il successo ecc. condizioni necessarie alla felicità) e pretendono che il mondo soddisfi le loro ambizioni.
Pretendere che il mondo si adatti a noi, che le cose vadano come noi vogliamo, trovare tutti i modi per giustificare i nostri desideri è il modo migliore per non capire la realtà: si pensi a tutti i problemi che si possono avere quando si vuole a tutti i costi che una persona ci ami. Si sa che è una cosa stupidissima, ma quando si perde la testa per qualcuno che non ci vuole, si fa di tutto per pretendere che il mondo ci ascolti e che il nostro amore sia corrisposto. Si può diventare patetici, violenti, disperati a seconda delle caratteristiche individuali, ma la realtà è una sola: si è degli stupidi!

La predisposizione al cambiamento è un’enorme condizione facilitante per non diventare irrecuperabili
La misura della predisposizione al cambiamento
Ma come si misura tale caratteristica della personalità? Consideriamo un insieme di soggetti cui venga imputato ingiustamente un furto (pensiamo a dipendenti accusati di aver sottratto soldi dalla cassa); la percentuale di coloro che cercheranno di portare prove della loro innocenza sarà piuttosto alta e solo una minoranza si trincererà dietro a banali considerazioni come “è assurdo!”.
Se ora consideriamo lo stesso insieme e a ogni soggetto viene fatta una critica costruttiva della personalità, noteremo che la percentuale di coloro che accettano il confronto cercando di discolparsi sarà decisamente minore.
Nota: per critica costruttiva si intende che la caratteristica oggetto della critica è negativa in assoluto oppure che porta o porterà nella vita del soggetto un problema evidente.
Sono critiche costruttive (a prescindere dalla loro veridicità) frasi come: “sei un debole”; “sei un violento”; “se ti ubriachi spesso finirai per distruggerti il fegato” ecc.
Non sono critiche costruttive: “non capisco perché non lavi la macchina tutte le settimane” oppure “parli troppo al cellulare” o ancora: “ti disinteressi del tuo comune”. Per quanto possano essere interessanti, il modo con cui sono formulate è pessimo e non si vede perché il nostro interlocutore debba perdere tempo a discutere di situazioni che non siamo riusciti a collegare direttamente a un problema e che, di per sé, non sono “oggettivamente negative”.
Dopo questa premessa, possiamo dire che
la predisposizione al cambiamento si misura da quanto viene accettato razionalmente il confronto su una critica costruttiva sulla propria esistenza.
Vediamo comportamenti che di solito indicano una bassa predisposizione a cambiare.
- Difesa per risentimento: “e chi sei tu per giudicare?”.
- Traslazione dello scenario: “sì, va bene però in altri casi questa caratteristica è utile”.
- Ragionamento per senso comune: “per la maggioranza delle persone è così!”.
- Errore di generalizzazione: “capita a tutti, non esageriamo con le critiche”.
- Errore affettivo: “parli così perché tu sei fortunato, non sei nella mia situazione!”.
- Fuga: “non mi interessa discutere con te” (nota: perché ci sia fuga la critica deve essere costruttiva!). Se la critica non è costruttiva possiamo discuterne o no, ma una fuga sarebbe del tutto giustificata (“non farmi perdere tempo”)
Ovviamente anche una critica costruttiva può essere una sciocchezza (in altri termini, predisposizione a cambiare non vuol dire cambiare a ogni costo!), ma allora gli atteggiamenti giusti sono:
- “Quella che tu vedi come caratteristica negativa, per me non lo è perché non vedo che problemi può crearmi nel presente o nel futuro”.
- “Non è vero che sono x, infatti…”.
Vediamo invece l’atteggiamento che più di ogni altro evidenzia una buona predisposizione a cambiare: “Ok, ma come faccio a cambiare? Cosa può migliorare nella mia vita?”.

Non si deve pretendere che il mondo si adatti a noi, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo!
Se ancora non siete convinti di quanto sia importante la predisposizione a cambiare, immaginate un soggetto dalle scarse risorse economiche che incontra casualmente un uomo che, economicamente parlando, ha avuto molto successo. Sono sul treno, il viaggio è lungo, si crea una certa confidenza e il benestante si lascia sfuggire una frase del tipo “non è poi così difficile migliorare la propria condizione economica”. L’altro può rispondere con frasi del tipo “ma lei è fortunato!”, “ma sono pochi quelli che stanno bene”, “ma non si possono giudicare le scelte degli altri”, “anche essere poveri ha i suoi momenti di allegria” ecc. Tutte frasi sciocche che indicano una scarsa predisposizione a migliorare la propria vita. La frase più intelligente è ovviamente: “ma come si fa?“. Non importa se poi si scopre che la “ricetta” del benestante è una sciocchezza, è inapplicabile, è troppo complessa ecc. Ma è comunque stato un giorno impiegato a cercare di migliorare la propria vita.
Cambiare: il metodo di Katie Byron (the work)
Il metodo di Katie Byron è conosciuto come il lavoro (the work). Attorno ai trent’anni l’ideatrice del metodo cadde in una grave depressione che andò peggiorando. Quando era ormai allo stremo delle forze ebbe un’illuminazione: “invece di cercare disperatamente di cambiare il mondo per adeguarlo ai nostri pensieri su come dovrebbe essere, possiamo esaminare questi pensieri e, accogliendo la realtà per com’è, fare esperienza di gioia e libertà inimmaginabili”.
Katie guarì e incominciò ad amare la vita.
Il lavoro di Katie consiste nel sottoporre ogni propria affermazione (pensiero) a quattro domande fondamentali:
- è vera?
- Come puoi essere assolutamente certo che è vera?
- Cosa accade quanto credi a quell’affermazione (pensiero)?
- Chi saresti senza quell’affermazione (pensiero)?
Le cose non sono così semplici e in genere il soggetto va in cura da uno psicologo per mesi o anni perché “ogni pensiero deve essere discusso, messo a posto”.
In realtà, il lavoro della Byron è molto semplice, se inquadrato nell’ottica di uno dei primi insegnamenti del Personalismo:
Per migliorare la propria vita si deve essere disposti al cambiamento.
La predisposizione al cambiamento è ciò che poi si traduce esattamente in ciò che Katie Byron capì in un istante:
Non si deve pretendere che il mondo si adatti a noi, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo!