Il buonismo può essere definito come l’ostentazione eccessiva di buoni sentimenti. A dire il vero, il termine è spesso usato in ambito politico, ma è opportuno vederne una sua applicazione più generale, in ambito psicologico.
Per chi ha familiarità con il concetto di apparenza:
il buonismo non è che un’apparenza di bontà.
Chi è cioè affetto da buonismo vuole apparire buono, comprensivo, collaborativo ecc.
Buonismo: significato e cause
La definizione in italiano è chiara; non altrettanto in inglese; in questa lingua il concetto non è univocamente definito (do-goodism, do-goodery; i gooders in politica sono i buonisti ecc.).
Quando non vi è dolo, cioè il buonismo non serve per ottenere risultati con una condotta falsa che ci fa apparire migliori di quello che siamo (potremmo definirlo finto buonismo), il buonismo serve per supportare la propria autostima con un valore morale; infatti è tipico di un sottoinsieme della personalità patosensibile.
Il buonismo si manifesta soprattutto in due forme principali: amore per tutti i simili e amore per la vita degli animali.
L’amore per tutti i simili
La più comune e universale è “io amo tutti i miei simili”. Una posizione che gratifica molto la propria autostima che si poggia proprio su questa presunta bontà. Poiché l’amore si dimostra con le azioni, il grado di buonismo è inversamente proporzionale all’azione fatta. Si va dal santo, che praticamente dà tutta la sua vita per gli altri, all’ipocrita che ama gli altri solo a parole. In mezzo ci sta una gradazione continua: da chi ritiene che per dimostrare di amare tutto il mondo basti dare 2 euro ai bambini africani, a chi scrive sulla sua pagina Facebook parole di solidarietà per chi soffre e per i poveri salvo poi scannarsi alla riunione condominiale con i vicini di casa.
Molti arrivano a capire che la frase “amo tutti i miei simili” è scorrelata dalla pratica (sarebbe corretto dire “non odio nessun uomo”) e dirigono la loro attenzione a insiemi ben specifici per i quali possono agire. Ecco allora che il volontariato diventa il campo in cui molti si gettano per “apparire buoni”. Il buonismo non consiste tanto nel fare volontariato (che è cosa positiva), quanto nel sostenere il volontariato come un plus: se Tizio dedica 10 ore del suo tempo alla settimana agli anziani perché deve essere considerato migliore di Caio che quelle 10 ore le passa con i suoi figli? Una posizione buonista è per esempio quella che porta a dire: “Ah, è una brava persona, fa volontariato!”. Assurdo che si diano medaglie ai volontari e non a chi ha allevato bene i propri figli (curioso il fatto che spesso gente come Tizio abbia una situazione familiare insufficiente).
L’amore per la vita degli animali
Un’altra forma di buonismo che sta prendendo piede è lo stile di vita vegano (vegetariano, anche se quello vegetariano è meno critico) per motivi etici (non uccidere gli animali). Un indicatore di patosensibilità che in molte persone supera la soglia critica. Quando la supera? Quando il soggetto pretende che gli altri lo diventino e che la società si conformi alla sua scelta. La supera cioè quando fa della sua scelta una crociata.

Una pratica definizione di buonismo è “ostentazione eccessiva di buoni sentimenti”
Analizziamo razionalmente il problema: non uccidere un animale perché si spegne una vita, Ok, ma non si toglie la vita anche a una carota (vedasi La tortora, il pesce e la carota)? Ah, la carota non soffre, quindi per cucinarsi un coniglio basterebbe ucciderlo senza farlo soffrire? In sostanza la posizione del vegano regge razionalmente se la vita della carota vale molto meno di quella del pesce o della gallina. Ragionevole, ma è pure ragionevole che si ammetta che per molti la vita di un pesce o di una gallina valga molto meno di quella di un uomo che quindi può cibarsene. Ecco perché il vegano (vegetariano) che fa una crociata non è equilibrato: perché non accetta lo stesso criterio razionale (scala degli esseri viventi) che potrebbe giustificare la sua posizione.
Come nel caso del paragrafo precedente, molti capiscono che una scelta troppo drastica (come quella vegana) è impegnativa per la qualità della vita e ripiegano su scelte più parziali; anche in questo caso il volontariato diventa buonismo quando il soggetto lo considera un vanto, un plus etico rispetto agli altri: c’è il volontario che cura meritoriamente animali feriti per la passione per la natura e quello che si occupa di cani randagi non per il semplice amore per i cani, ma perché così si sente migliore, una situazione non molto diversa dal riccone che fa sfoggio della sua auto o della sua megavilla perché così si sente appagato e superiore agli altri. Anche in questo caso ci sono poi vere e proprie crociate come l’assurda pretesa di spingere le persone che vogliono avere un cane (magari di una certa razza che ha caratteristiche perfettamente compatibili con il futuro padrone) a sceglierlo al canile come “gesto di bontà”. Un po’ come spingere aspiranti genitori a non fare un figlio proprio, ma ad adottare uno dei tanti bambini degli orfanotrofi.
Buonismo politico
Il buonismo politico è l’applicazione del buonismo in campo sociale. Alla base di questo comportamento esiste l’affermazione che
il debole è sempre buono.
Tutti comprendono che l’affermazione non ha spessore razionale, ma si poggia sulla convinzione più o meno inconscia, che una certa struttura sociale sia la causa dei problemi di tutti i più deboli. Tutti i deboli, gli ultimi, gli scarti (parola usata da papa Francesco per esprimere il concetto) sono sempre buoni e vanno aiutati. Non c’è nessuna indagine sul perché il soggetto sia diventato debole e questa mancanza di indagine evidenzia l’irrazionalità della posizione. Qualche esempio.
Migranti – La gran parte dei migranti che parte dall’Africa è di tipo economico; va da sé che chi cerca un futuro migliore può farlo legalmente (magari venendo sfruttato dai nostri connazionali in lavori pagati malissimo) o illegalmente, andando ad arricchire la manovalanza della droga.
Studenti – Famoso negli anni ’70 il sei politico. Ancora oggi, molti genitori “pretendono” che i loro figli siano promossi, adducendo motivazioni di salute, difficoltà familiari, incomprensione con i professori: l’ultimo della classe non lo è per colpa sua!
Disoccupati – Le polemiche sul reddito di cittadinanza non sono che lo specchio del buonismo politico. Un disoccupato lo è per colpa della società e va aiutato. La domanda fondamentale è: se può lavorare, perché non fa lavori (magari mal pagati, ma qualcosa è sempre meglio di niente) che molti extracomunitari fanno?
Drogati – Per il buonista politico il drogato è solo una persona travolta da vicende familiari e sociali. Che vuoi che sia se si fa uno spinello per reggere lo stress, per cercare un momento di evasione, incapace di trovare qualcosa di realmente positivo che innalzi il suo tono dell’umore? Se poi passa a droghe pesanti la colpa è sempre della società che non ha saputo dargli alternative esistenziali.