Attualmente il termine bamboccioni rappresenta tutti coloro che sono rimasti attardati nel loro percorso scolastico e non hanno ancora finito gli studi o, avendoli conclusi, si fanno ancora mantenere dai genitori perché non hanno trovato lavoro.
Con questo significato alcuni politici (vedasi il paragrafo: Bamboccioni: un neologismo?) hanno cercato di spronare i giovani a terminare gli studi e a uscire dalla famiglia. Esistono termini più o meno equivalenti, come mammoni.
Nessuno però spiega la genesi del comportamento. Una cosa che mi fa piacere è che l’analisi della personalità del Personalismo risolve i vari scenari che si presentano, anzi li descrive meglio di quanto non facciano altre affrettate descrizioni.
Per il Personalismo il bamboccione è un soggetto che potenzialmente ha due personalità critiche: quella dell’insufficiente e quella del succube.
Come tale, la definizione usuale è molto poco precisa perché non descrive che una parte di un insieme più vasto. Sono infatti bamboccioni tutti coloro che continuano a dipendere dai genitori:
- per sottomissione (sono succubi, non hanno elaborato il distacco dai genitori)
- per convenienza (e allora sono insufficienti per scelta, vedi La felicità è possibile)
- per incapacità personale (e allora sono insufficienti per debolezza, vedi La felicità è possibile).
Il primo caso è quello del mammone, mentre gli ultimi due sono quelli con cui tipicamente si fa riferimento al bamboccione. Il secondo caso è quello di chi, avendone le capacità, potrebbe rendersi autonomo, ma non lo fa, mentre il terzo è quello di chi è incapace di risolvere la sua situazione senza i genitori (e magari si incaponisce a studiare ingegneria o medicina quando potrebbe trovarsi un lavoro più alla sua portata).
Fin qui tutti saranno d’accordo e approveranno la triplice definizione. In realtà, con l’approvazione si saranno dati la zappa sui piedi da soli perché si sono autodefiniti bamboccioni senza saperlo.
Si tratta di una tecnica classica: si propone una definizione generale che viene accettata dal soggetto che si ritiene immune dal problema, poi gli si dimostra che nella definizione che lui ha appena accettato rientra pure il suo caso.
Pensiamo a tutti coloro che si fanno aiutare nelle faccende domestiche dai genitori (il bucato dalla mamma, il giardino dal papà ecc.), comportamento classico da insufficienti. Anche qui molti approveranno, ma veniamo al caso più generale, quello che provocherà la difesa per risentimento di molti.
Il bamboccione è anche colui che fa curare i suoi figli dai genitori perché lui/lei non ha tempo. Inutile arrampicarsi sugli specchi e dire che, in questa società la maggioranza fa così (un classico errore razionale: una cosa è giusta se la fanno in tanti. Si chiama errore ad numerum e chi non ne fosse convinto dovrebbe leggere Migliora la tua intelligenza), che “l’asilo costa” o, peggio, che “non si ha tempo di portarli all’asilo” perché un figlio si dovrebbe onorare con tempo e attenzioni (anche economiche, magari rinunciando a questo o a quello). Se l’insufficiente è sufficientemente etico, sarà poi pronto a ricambiare i favori ottenuti e, se sarà così sfortunato che i suoi genitori (i nonni dei suoi figli) saranno malati cronici nella tarda vecchiaia, passerà una decina anni ad accudire (in malo modo perché dovrà pur sempre lavorare) due anziani che probabilmente sarebbero seguiti molto meglio in una residenza per anziani. Un caso classico in cui l’insufficienza da una “furbata” (mi faccio aiutare dai miei genitori in questo e in quello) si traduce in un boomerang pazzesco.
Morale: se vogliamo migliorare la nostra vita, impariamo a essere autosufficienti.

I bamboccioni in Italia sono molto più numerosi che negli altri Paesi europei, dove i giovani escono di casa molto prima
Bamboccioni: un neologismo?
Bamboccioni, per quanto molti possano ritenere il contrario, non è uno dei tanti neologismi a cui i nostri politici ci hanno abituato, ma un termine esistente da alcuni secoli, per quanto poco usato nei tempi moderni. Fu Tommaso Padoa Schioppa (1940-2010), nell’ottobre del 2007, a dargli nuova vita reinserendolo con forza nella parlata corrente. All’epoca, Padoa Schioppa era il ministro delle Finanze del governo Prodi e, nel corso di un’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato tenutasi il 4 ottobre, ebbe a dire: “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa. Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È un’idea importante“. Il ministro, molto probabilmente, non aveva alcun intento polemico, ma fu sommerso da una valanga di critiche, peraltro bipartisan; il commento più “buono” fu di Walter Veltroni che parlò di “battuta infelice“. L’allora capogruppo dei Verdi-Pdci al Senato, Manuela Palermi, non gradì molto l’uscita del ministro e dichiarò: “Quando il ministro sarà riuscito a trasformare l’Italia in un Paese dove le banche concedono mutui anche ai lavoratori precari e dove gli stessi lavoratori precari possano, nonostante l’esibizione di buste paga che danno poche certezze, rateizzare gli acquisti, allora forse cercheremo di capire se dietro quel suo bamboccioni ci sia una fine analisi sociologica. Oggi è solo un infelice epiteto che può sicuramente guadagnargli la simpatia di qualche pasciuto e arrivato editorialista. Per il resto, auguri“.
Lo scalpore suscitato dal termine fu enorme, tant’è che persino uno scrittore di notevole fama come Umberto Eco se ne interessò, tra l’altro citando alcuni usi classici del termine riportando una citazione del Tommaseo-Rigutini: “se dico bamboccione non penserò tanto alla mole, quanto alla forma badiale… difficile immaginare un bamboccione senza un bel visone lustro“, e una di Baldini: “ora tutti si trovano a far la vita comoda, lei, Bertoldino, la nuora Meneghina, e quel caro bamboccione di Cacasenno“.
Anche Lucia Annunziata, giornalista di una certa fama, ebbe a dire: “L’etimo della parola bamboccio, di cui bamboccione è la forma accrescitiva, reca con sé il marchio dell’infanzia e dunque della indifesa sprovvedutezza: bambo (forma toscana) e bambino sono alla radice di bamboccio e bamboccione. La parola bamboccio piacque ai francesi, che, nel secolo XVII, la trassero a loro nella forma bamboche, per significare marionetta. Ingenue marionette torpide, questi bamboccioni; e pure paffutelli, perché restando in casa non ci si può sottrarre alla dieta ingrassante di mammà“.
Un altro politico che ha usato il termine “bamboccioni” è stato Renato Brunetta. Era il gennaio del 2010 e l’allora Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione rilasciò un’intervista a RTL (prendendo spunto da una sentenza del tribunale di Bergamo che aveva condannato un artigiano a pagare gli alimenti alla figlia di 32 anni che era fuori corso all’università da otto anni) nella quale proponeva di fare una legge per far uscire di casa i ragazzi a 18 anni. Come nel caso del compianto Padoa Schioppa (che peraltro Brunetta citò), non mancarono le critiche da entrambi gli schieramenti politici (Roberto Calderoli, con l’eleganza verbale che lo ha sempre contraddistinto, rimproverò abbastanza aspramente il suo collega di governo dicendo: “l’ha fatta fuori dal vaso“).
Dei bamboccioni si è interessato pure il cinema; nel 2001 è uscito un film francese, Tanguy, scritto e diretto da Étienne Chatiliez nel quale si descrive molto accuratamente il fenomeno dei figli adulti che non si decidono ad andare a vivere per conto proprio. Il film ebbe un discreto successo tant’è che il termine tanguy è divenuto sinonimo di un adulto che vive con i propri genitori (in definitiva il nostro “bamboccione”). Nel 2006, negli Stati uniti è uscito un remake di Tanguy, intitolato Failure to launch (diretto da Tom Dey e interpretato da Matthew McConaughey e Sarah Jessica Parker) che in Italia è uscito come A casa con i suoi.