L’adozione a distanza è un atto di solidarietà che consiste essenzialmente nell’invio di un contributo economico periodico, tramite apposite associazioni (ONLUS, ONG ecc.), a persone (generalmente si tratta di bambini molto piccoli o comunque ragazzi minorenni) o nuclei familiari che vivono nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Tale contributo economico ha lo scopo di migliorare le condizioni economiche della famiglia per metterla in grado di provvedere più facilmente alla sussistenza, all’assistenza sanitaria, alla frequenza scolastica dei loro figli ecc.
Sul numero di adozioni a distanza è impossibile fornire numeri in quanto non esiste un registro nazionale comune (moltissime adozioni a distanza, per esempio, vengono fatte anche negli ambiti parrocchiali o da gruppi di persone che non hanno rapporti con organizzazioni nazionali); del resto, a differenza dell’adozione propriamente detta, quella a distanza non ha alcuna valenza giuridica.
Adozione a distanza: carità o sostegno?
L’espressione adozione a distanza è utilizzata comunemente, ma molte organizzazioni precisano che l’utilizzo di tale terminologia è scorretto e fuorviante, in quanto l’adozione è un istituto giuridico regolamentato dalle varie legislazioni nazionali e che consiste nel dare una nuova famiglia a un soggetto di minore età che ne sia privo o perché è orfano o perché è stato abbandonato o perché subisce dei maltrattamenti da parte della famiglia di origine. Peraltro, non è affatto infrequente che chi adotta a distanza non abbia mai nessun contatto con la persona adottata. Purtuttavia l’espressione adozione a distanza è ancora quella più utilizzata; cerchiamo di capire perché.
La forma più comune, l’adozione di un bambino, prevede che l’adottante versi mensilmente una certa quota (le cifre sono molto spesso nell’ordine dei 25-30 euro mensili) che serve per il sostegno del piccolo.
È una delle forme più discutibili di solidarietà. Questa affermazione non deve stupire perché per il Personalismo la solidarietà deve essere sociale e non individuale.
Non a caso molte volte sono stati sollevati dubbi sull’azione del volontariato. Usiamo quindi il tema dell’adozione a distanza per parlare ancora una volta di solidarietà sociale. Il domandone è:
come si può pensare con 25 o 30 euro mensili di adottare veramente un bambino a distanza?
Il termine adozione è una parola troppo grossa per uno sforzo di 25 euro al mese, come sa chi veramente ha adottato un bambino.

Le associazioni che promuovono l’adozione a distanza sono innumerevoli, ma spesso poco trasparenti sulla gestione delle donazioni
Cosa non quadra? Il fatto che con 25 euro al mese non si cambia granché nella vita di un bambino, nemmeno nel terzo mondo. Come si può essere fieri di aver adottato un bambino a distanza? Secondo il Personalismo l’amore si dimostra con le azioni. Che amore è un amore da 25 euro al mese (ammesso che arrivino tutti e non ci siano spese di gestione)? Come verrebbe definito un genitore che spendesse al massimo tale cifra per un figlio?
Si potrebbe obiettare che non ha senso paragonare in valore assoluto la spesa che noi sosteniamo per i nostri figli con quella di una famiglia del terzo mondo.
Invece proprio qui sta il punto. Non conta il livello di partenza, conta il livello di arrivo. Si adotta un bimbo a distanza con 25 euro al mese, il bambino vive meglio, ma fa sempre una vita che, se fosse nostro figlio adottivo, definiremmo comunque da schifo. Se fosse nostro figlio adottivo, ne sono sicuro, rinunceremmo a tante cose e gli daremmo sicuramente molto, molto di più di 25 euro al mese. Ci sono madri e padri che tirano su tre, quattro figli in questa società massacrandosi di sacrifici e togliendosi il pane di bocca: questi possono dire di amare i loro figli, sia naturali sia adottivi. Gli altri, invece di usare il termine adozione a distanza, perché non usano il termine carità a distanza?
Vado giù ancora più pesante e faccio questo paragone: al supermercato Tizio prende 3 paga due i cibi preferiti del suo cane. Mette da parte una vaschetta di cibo (ottimo pollo con verdure, il cane di Tizio tre non le mangia, altrimenti ingrassa), una al giorno. Alla fine del mese Tizio spedisce le 30 vaschette in Africa: il controvalore è di 25 euro. Per gente che muore di fame sarebbe una leccornia, un grandioso miglioramento e quindi, secondo il ragionamento di chi si accontenta di migliorare un pochino le cose, Tizio avrebbe fatto qualcosa di nobile ed eticamente plausibile. Facciamolo santo. Quindi:
l’espressione “adozione a distanza” è scorretta, meglio “carità a distanza” o “sostegno a distanza”.
E allora perché si usa? Perché gli altri termini non attirerebbero i patosensibili che sono coloro che percentualmente danno la gran parte dei fondi per tacitare la loro coscienza.
Soluzioni alternative
A prescindere dal non trascurabile problema dell’efficacia degli aiuti, le adozioni a distanza, come altre azioni umanitarie, sono l’alibi dei politici per non fare nulla, “tanto ci sono le associazioni”. Paradossalmente le associazioni umanitarie diventano complici dell’inerzia dei politici, soprattutto quando si propongono come unica soluzione possibile.
Ragionando con i numeri si comprende che la migliore soluzione possibile è invece la solidarietà sociale, non quella individuale. 300 euro all’anno dell’1% di italiani (mezzo milione di persone) fanno 150 milioni di euro. Se la metà arriva in aiuti concreti (l’altra metà si perde in gestione) siamo a 75 milioni di euro. Ora con l’1% della ricchezza del Paese (nessuno muore di fame se per legge lascia l’1% della sua ricchezza) si ottiene una cifra enormemente superiore. In altri termini, vale la pena investire le proprie energie per promuovere leggi che devolvano fondi a favore del Terzo Mondo.

L’adozione a distanza è una pezza che non riesce a coprire uno strappo enorme come il problema della povertà nel Terzo Mondo
Quello che mi sfugge è perché anche chi non si dichiara patosensibile alla fine sceglie la soluzione comoda di lasciare le cose come stanno e versare l’assegnino mensile. Può essere veramente difficile smuovere i politici, ma se non ci si prova nemmeno… Insomma, non è possibile non notare l’incoerenza fra il dire che si è di fronte a un grave problema umanitario e il non sostenere alcuna legge concreta di supporto sociale: nessuna forza politica (ma nulla vieta a un’associazione umanitaria di costituirsi in nuova forza politica: come i Verdi difendono l’ambiente il gruppo X potrebbe sostenere i diritti del Terzo Mondo) ha nel suo programma un aiuto (cioè una percentuale della ricchezza del Paese) prioritario, chiaro e concreto ai Paesi del Terzo Mondo.