Avere senso statistico è una condizione decisamente facilitante perché permette di usufruire in modo rapido ed efficiente dell’esperienza altrui.
L’esperienza da altri diretta ce la costruiamo osservando o interagendo direttamente con le persone che ci forniscono tutta una serie di informazioni che, se elaborate correttamente, possono farci capire meglio il mondo. Sembra che molte persone abbiano notevoli difficoltà a farsi un’esperienza da altri diretta (quella indiretta è basata sullo studio). A molte di loro manca il senso statistico.
Mi hanno stupito mail ricevute recentemente. In una mi si contestava l’affermazione statistica che le donne sono più insufficienti degli uomini, in un’altra mi si chiedeva, in risposta a una mia considerazione (se non la insegnassero a scuola, oggi pochissimi leggerebbero la Divina Commedia, la prova più evidente che il messaggio di Dante di moderno non ha nulla): “come fai a sapere che nessuno (si noti come “pochissimi” sia stato trasformato in “nessuno” per rendere la propria posizione inattaccabile) la leggerebbe?”. Queste persone mancano di senso statistico.
Senso statistico: cos’è?
Il senso statistico è la capacità di sintetizzare (più o meno consciamente) le nostre osservazioni esterne che si riferiscono a uno scenario. In modo più preciso,
il senso statistico ci permette di stimare con il giusto ordine di grandezza dati statistici non posseduti.
Riflettiamo: noi quotidianamente acquisiamo una grande mole di dati. Se sappiamo acquisirli bene e il campione è significativo possiamo stimare dei dati statisticamente utili per capire il mondo. I più intellettuali potrebbero sostenere che rispettiamo i rigorosi criteri della statistica soltanto per sommi capi, ma il concetto di “senso” indica proprio che a noi non interessa un numero esatto quanto un ordine di grandezza e quando ragioniamo per ordini di grandezza si possono fare approssimazioni (il che non vuol dire essere approssimativi!).
- Considero tutte le coppie che conosco. Sono 100, 200, 1.000? In queste quante (X) sono quelle in cui la donna si fa mantenere dal marito? Quante (Y) quelle in cui succede il contrario? Il senso statistico mi dice che X è decisamente maggiore (cioè ha un ordine di grandezza decisamente superiore) di Y. Indagare poi le cause del fenomeno (la società discrimina le donne, molte preferiscono dedicarsi ai figli e alla casa ecc.) è un passo successivo che non inficia la conclusione (la spiega).
- Considero tutte le persone che mi hanno raccontato delle loro letture (“sto leggendo Dostoevskij”, “ho letto l’ultimo libro di Benni” ecc.). Sono 100, 200, 1.000? Quanti mi hanno detto “ieri sera mi sono letto il V canto dell’Inferno” o qualcosa del genere?
Nei due casi sopraccitati, gli argomenti sono talmente generali che il campione è significativamente numeroso, non commetto errori di distorsione dell’esperienza perché la valutazione dei dati è facilissima e la mia personalità non influisce più di tanto, l’ordine di grandezza a favore di una tesi è schiacciante.

Negli USA fra il 2008 e il 2013 ci furono ben 135 morti per paracadutismo
Come nasce e come si utilizza il senso statistico
Confrontiamo due medici di fronte a un paziente che ha un gran dolore all’alluce di un piede.
Il dott. A indica al paziente tutta una serie di possibilità, dalla microfrattura (il paziente ha tentato di correre per la prima volta in vita sua per perdere quei 10 kg di troppo che ha) a una rara forma di osteoporosi, da un tumore osseo a un problema circolatorio (il paziente è fumatore) ecc. Conclude dicendo: “facciamo tutta una serie di esami così scopriamo la causa”.
Il dott. B visita il paziente e conclude: “è un attacco di gotta; facciamo gli esami, ma vedrà che ha l’acido urico molto alto”.
Ovviamente B ha un’esperienza medica molto maggiore di A ed è il medico che tutti noi vorremmo avere (rispetto ad A). B sa che per un buon medico gli esami confermano la diagnosi, non la fanno.
Applichiamo quanto detto al senso statistico. Il senso statistico prescinde dai “conti che facciamo dopo”, è un intuito (diagnosi) che sintetizza la nostra esperienza da altri e che noi poi confermiamo grossolanamente con una serie di considerazioni numeriche (esami medici).
Per esempio, il senso statistico ci dice che gli obesi hanno una vita media inferiore. Una “conferma” nasce dall’esame di tutti coloro che conosciamo che hanno superato gli 80 anni. Non è una rigorosa prova statistica, ma serve a confermare largamente l’assunto.
Vediamo un esempio piuttosto curioso. Probabilmente per la maggior parte degli italiani fare il poliziotto è più pericoloso che fare il muratore o decine di altri lavori. Penso che ciò derivi dalla grande enfasi che è data alla morte di poliziotti in servizio. Dal 2000 al 2015 sono morti in servizio 120 membri della Polizia di Stato, cioè circa 8 all’anno. Se concludo immediatamente che fare il poliziotto non è così pericoloso come si crede, molti obietteranno che non posso affermare ciò perché conosco solo il numero di morti l’anno, mentre dovrei conoscere anche il numero di poliziotti, quello dei muratori ecc.
In realtà, tutti questi numeri sono stimati dal mio senso statistico poiché la mia esperienza mi dice che in Italia di lavoratori ne muoiono almeno un migliaio l’anno; se c’è un poliziotto ogni 200-300 lavoratori (dato che posso stimare da una realtà che conosco molto bene), ecco che come ordine di grandezza il lavoro di poliziotto rientra nella media, dal punto di vista della pericolosità.
Un esempio critico
Vi viene chiesto se il paracadutismo è più pericoloso che viaggiare in auto.
a) No, si può morire in entrambi i casi. Senso statistico nullo come quello di chi ritiene che andare in vacanza a Rimini sia pericoloso come andare nello Yemen. Non si è abituati a elaborare statisticamente un problema e si sceglie la strategia di considerare il caso peggiore, a prescindere dalla sua frequenza.
b) Sì, anche ieri è morto un paracadutista (o risposte simili). Senso statistico nullo. Probabilmente la risposta è generata dal carattere del soggetto (debole, fobico ecc.) o da una logica di comodo. Manca un qualunque tentativo di dare una risposta numerica al problema.
c) Non si possono paragonare attività così dissimili. Senso statistico soppresso. Può essere un esempio di logica di comodo oppure di semplice incapacità di usare strumenti statistici. Nel primo caso di solito si tratta di chi è coinvolto in prima persona, pratica sport pericolosi e ha elaborato una sua difesa dalle critiche in modo da sopprimere il senso statistico. Per esempio:
I dati statistici hanno la loro validità “statistica”, ma senza un’analisi non permettono di trarre conclusioni sul grado di pericolosità di un’attività (soprattutto senza conoscerla).
Esempio: l’attività X ha un tasso di mortalità di Y% rispetto ai numeri di praticanti. Se, caso limite, la totalità di questi incidenti mortali è dovuta, per esempio, al mancato aggancio di un moschettone (dimenticanza, mancato controllo, in ogni caso grosso errore umano), la mia conclusione è che l’attività X non è pericolosa e non avrei nessun problema a praticarla.
Se nell’analisi dell’Y% di incidenti porta a fattori aleatori (il controllo è stato fatto secondo le norme, ma il meccanismo si é inceppato comunque), allora comincio a parlare di attività pericolosa e a farmi delle domande se praticarla o no (o smetterla).
L’errore è chiaro: trovare un sottoinsieme dove l’affermazione X non vale per dimostrare che non ha senso fare un’affermazione statistica (X è pericoloso). Lo stesso errore che commette chi, in risposta all’affermazione statistica “gli uomini corrono più velocemente delle donne ” risponde “non è vero, la campionessa olimpica batte la maggior parte degli uomini”. Si confonde il generale con l’individuale.
In realtà, un’affermazione statistica prende in esame la globalità della popolazione cui fa riferimento. In ogni caso, si noti la logica di comodo: lo scrivente dà per scontato di essere immune dal “grosso errore umano”.
Per completezza, si deve sottolineare che l’esame di un sottoinsieme ha senso per trovare eccezioni all’affermazione statistica, ma non per bocciarla (in quanto affermazione statistica è “immune” dalle eccezioni, vedasi esempio della velocità uomo/donna).
d) Sì/no perché dalla mia analisi discende che… Senso statistico scarso. Ci si avvale dei numeri per capirci qualcosa, ma manca l’intuito, la diagnosi iniziale. I numeri vengono prima dell’intuito. Il rischio è che l’analisi (che necessariamente è approssimata) sia scorretta. Vediamo due esempi di analisi scorrette.
Il paracadutismo è pericoloso perché basta considerare il rapporto fra il numero di morti e i lanci. In realtà, si ottiene solo un numero che ognuno può interpretare come vuole. Esempio: un morto ogni 20.000 lanci. Io faccio 10 lanci all’anno. Ci vogliono 1.000 anni perché (mediamente) muoia. Visto che le statistiche mi dicono che per morire in macchina (faccio 35.000 km l’anno) me ne bastano (mediamente) 100 (di guida), concludo che il paracadutismo non è pericoloso.
Il paracadutismo non è molto più pericoloso dell’auto perché se considero morti/su popolazione ottengo (per esempio) per il paracadutismo 10 morti su 10.000, per l’auto 5.000 morti su 50.000.000, cioè il paracadutismo sarebbe solo 10 volte più pericoloso dell’auto. Per smontare questa interpretazione basta considerare che non tiene minimamente conto della frequenza di lancio, prescinde dalla quantità di pratica dello stesso. In presenza di clima molto negativo (che impedisce i lanci) il paracadutismo sarebbe l’attività più sicura del mondo!
e) Il paracadutismo è molto più pericoloso che viaggiare in auto. Segue (non precede) grossolana spiegazione statistica (indizio statistico) che avvalora la tesi senza possibilità di smontare l’ordine di grandezza trovato. Buon senso statistico.
A cosa serve trovare un modello che “ci dia ragione”? Come nel caso del medico, a confermare la nostra diagnosi. Il modello non ha nessun valore teorico, ma ci “autorizza” a usare il nostro senso statistico (se ovviamente lo conferma alla grande). Tutto qui, ma se una persona si mette a discutere per mostrare che il paracadutismo non è uno sport rischioso, beh, il senso statistico latita così come manca l’esperienza medica al medico A citato nel paragrafo precedente.
f) L’intuito dice una cosa e l’analisi statistica approssimata dice l’esatto contrario! Se è una situazione ricorrente, ciò denota scarso senso statistico perché di fatto l’intuito fa pena e sarebbe opportuno usare l’approccio d).
L’indizio statistico
Nel caso in esame devo confrontare due attività molto diverse. La teoria della misura mi insegna due cose:
- devo usare la stessa unità di misura per valutare la pericolosità (non posso cioè comparare per esempio i viaggi in automobile con i lanci perché un “viaggio” non è un “lancio”);
- non posso prescindere dal concetto di tempo cui si fa riferimento quando si vogliono misurare grandezze come la velocità o la potenza, caratteristiche dell’entità considerata.
Il tempo, in effetti, è un’unità di misura comune. Per esempio, considero “essere paracadutista” come condizione in cui sono in volo con il paracadute (dall’istante in cui salto a quello in cui tocco terra compresi) ed “essere automobilista” quando sono in un’auto (conducente o passeggero) in moto. È più pericoloso essere paracadutista o essere automobilista? Si noti che in questa formulazione probabilmente faccio un favore ai paracadutisti perché allungo il tempo in cui ragionevolmente a loro non succede nulla (prima dell’impatto con il suolo).
Dai media so che ci sono circa 4-5.000 morti l’anno (tolgo i pedoni, i ciclisti, i motociclisti); in auto ci vanno circa 40 milioni di italiani (sto stretto), diciamo mezz’ora al giorno di media. In totale, ho un ordine di grandezza di circa 2 milioni di ore in macchina per avere un morto. La televisione mi dice che fra i paracadutisti in sei mesi ci sono stati sette morti, quindi un ordine di grandezza di almeno 10 all’anno. Quanto sono i lanci in Italia e quanto dura un lancio? Qui ho due possibilità: o mi documento o stimo i dati. Nel secondo caso, essendo conscio che approssimo maggiormente, l’ordine di grandezza a favore di una tesi deve essere ancora maggiore. Supponiamo che ritenga che ci siano 10.000 persone che fanno lanci, in media 20 all’anno e che un lancio duri 5′. Quindi ogni 2.000 ore circa di lancio ci sarebbe un morto. “Essere paracadutisti” risulta 1.000 volte più pericoloso che “essere automobilisti”. Ovviamente gli amanti di questo sport inizieranno a sollevare distinguo, ma queste obiezioni sono la spiegazione di ciò che il senso statistico mi ha già detto, non lo confutano.
I lavori pericolosi
Il lavoro fa eccezione alla bocciatura assegnata agli sport estremi proprio perché non è un oggetto d’amore (ma è una condanna sociale). Non ha senso paragonare uno sport estremo al lavoro di poliziotto (dal 2000 a oggi sono morti circa 120 poliziotti in servizio, cioè 8 all’anno: se si considerano le ore di servizio fare il poliziotto è enormemente meno pericoloso che lanciarsi con il paracadute); con questa logica si dovrebbe evitare ogni lavoro rischioso e, verificando le statistiche dei morti sul lavoro bocceremmo decine di occupazioni; persino il commesso viaggiatore rischia in auto ogni giorno. Se si potesse non lavorare e la società fosse perfetta, si potrebbero evitare lavori rischiosi; ma nel lavoro il rischio è normale ed entra nella valutazione dello stesso. Quale impiegato part-time non farebbe il poliziotto se avesse uno stipendio di 10.000 euro al mese? Probabilmente solo il fobico che esagera il rischio della professione.
Dati scientifici
È possibile avere dati scientifici più “certi” che non un semplice senso statistico? Ronald A. Howard, padre della moderna analisi decisionale, ci ha provato introducendo il micromort (da micro e mortalità). cioè un’unità di rischio che indica una probabilità di morte su un milione. In realtà, appare molto difficile arrivare a una definizione oggettiva del micromort per una data attività perché i dati raccolti non sono omogenei (cambia per esempio la legislazione da Paese a Paese). Per esempio, negli USA fra il 2008 e il 2013 ci furono ben 135 morti per paracadutismo, mentre nel Regno Unito fra il 1994 e il 2013 “solo” 41. La differenza è abissale e non si arriva a un numero oggettivo che misura il rischio. Quello che però tali indagini possono indicare è che il paracadutismo è meno pericoloso delle immersioni subacquee (197 morti nel Regno Unito fra il 1998 e il 2009 e 187 morti negli USA fra il 2000 e il 2006).