La negazione della risposta è una delle forme più odiose di incomunicabilità perché, di fronte all’evidenza di una confutazione delle proprie posizioni, si continua a rifiutare il dialogo, negando una risposta all’interlocutore, proprio come chi, colto sul fatto, continua a dichiararsi innocente negando ogni analisi dei fatti oggettivi.
La negazione della risposta attua un processo simile a questo: “sì, dici cose condivisibili, ma io …”, ripetendo all’infinito la propria posizione. Di fatto, ogni dialogo diventa impossibile.
In genere, alla base della negazione della risposta c’è un approccio emotivo, piuttosto che razionale, al dialogo; il soggetto non è in grado di spiegare tutto razionalmente e, come scappatoia, nega la razionalità in funzione di un presunto campo d’azione dei sentimenti (non ha cioè nessuna organizzazione gerarchica del suo piano affettivo (ved. Ragione e sentimento) o, in campo religioso, della fede, fede che in questo caso è solo un alibi all’incapacità di ragionare.
Raramente la negazione della risposta è una strategia, cioè è un metodo globale per non mettere in discussione le proprie convinzioni. Di solito si applica in spazi ben precisi della nostra vita (gli affetti, il lavoro, la politica, la religione ecc.), proprio quelli in cui il soggetto ha una visione poco razionale e che, in genere, penalizzano la sua vita.
In sintesi, la negazione della risposta è uno degli scogli più ardui alla predisposizione a cambiare perché, di fatto, rende impossibile ogni miglioramento nel settore esistenziale in cui scatta la negazione.