In una di quelle lontane battute di caccia in riserva di cui parlo nel racconto In memoria di Franco, avevano invitato un onorevole e un paio di pezzi grossi. Gli altri professionisti, fra cui mio padre, pendevano dalle sue labbra ed erano pronti a fare di tutto per rendere piacevole al Grande Uomo la battuta di caccia. In fondo l’avvocato aveva il figlio che doveva diventare presto notaio, il medico doveva esentare il pargolo dal servizio militare, il costruttore doveva ottenere le licenze per il nuovo centro commerciale.
L’onorevole sembrava quasi annoiarsi, al più si rivitalizzava ogni tanto, quando gli capitava a tiro un fagiano. Non sparava malissimo, forse da giovane era stato un discreto cacciatore. Era però ormai patetico, tanto era insofferente a ogni piccola asperità del terreno. Il capo battuta lo assecondava in tutto: “Onorevole, stia sul sentiero”, “Onorevole passi laggiù che c’è il ponte”.
Dopo un’ora di caccia, si arrivò al clou quando il pointer fermò un fagiano proprio nel bel mezzo di una radura. Il selvatico doveva essere in un ampio cespuglio, un paio di metri davanti al muso del cane. Il capo battuta chiamò l’onorevole: “Onorevole venga, che Dick è in ferma, voi altri disponetevi a semicerchio. Presto, Onorevole…”.
Dopo una trentina di interminabili secondi l’onorevole arrivò alle spalle del cane e si piazzò statuariamente in attesa del frullo. Visto che, prima di iniziare, il capo battuta ci aveva spiegato che dovevamo “far divertire l’onorevole”, non era difficile capire cosa sarebbe successo. In sei contro uno il fagiano era spacciato, ma tutti avrebbero lasciato sparare l’Onorevole concedendogli il merito di averli preceduti. Mi immaginavo la scena: “Grande tiro!”, “Che rapidità”, “Onorevole, ha i riflessi di un ragazzino!”. Tutti si sarebbero fatti manipolare per poi chiedere a loro volta qualcosa. Anche Dick e il fagiano sembravano aver capito che dovevano muoversi solo quando l’onorevole fosse stato pronto.
Quando lo fu, il cane si mosse e il fagiano frullò. Come da copione, un solo colpo, ma troppo presto, con il selvatico distrutto in una nuvola di piume. Andai a raccogliere quello che rimaneva del fagiano e lo diedi al portantino, poi ricaricai. Mio padre mi avvicinò e mi chiese a bassa voce: “Ma cosa hai fatto?”. “Ho sparato al fagiano, non siamo qui per questo?”. Lo dissi forte, in modo che anche l’onorevole sentisse. Forse mi sbaglierò, ma gli lessi sul volto un sorriso trattenuto, come se fosse divertito dalla pochezza di tutti quelli che lo ossequiavano, ridicolizzati dal mio comportamento. Quel giorno decisi che non avrei mai fatto il politico.