Pari opportunità: una locuzione che molti fraintendono. Cominciamo con la definizione: le pari opportunità sono un principio giuridico inteso come l’assenza di ostacoli all’economia, la politica, la vita sociale di un qualsiasi individuo a causa del genere, religione, razza, disabilità, età, orientamento sessuale o politico.
La definizione è chiarissima, ma per motivi di convenienza sociale o personale spesso viene stravolta. Se chiariamo ulteriormente la definizione, possiamo dire che “pari opportunità significa assenza di ogni discriminazione basata su genere, religione ecc.”.
Diciamolo con franchezza: la definizione evidenzia che le pari opportunità sono un’utopia quanto più la società è diversificata e quindi attorno a questo concetto c’è moltissima ipocrisia. Facciamo un esempio: io credo nella religione X che ritiene che gli omosessuali siano impuri. Se non assumo Tizio perché omosessuale ledo le pari opportunità, ma se la società mi impone di assumerlo, obbligandomi a convivere con esso ecco che sono io quello discriminato perché non posso vivere serenamente la mia religione.
In altri termini,
le pari opportunità hanno senso solo in una società dove gli individui sono compatibili nell’espressione delle loro idee.
Per capirci, che senso ha parlare di pari opportunità in un Paese islamico dove le donne non possono né guidare né andare allo stadio? Eppure, pochissimi nostri uomini politici si esporrebbero in prima persona per difendere i diritti di quelle donne dicendo che “il Paese X vive ancora nel Medioevo”, anzi verrebbero tacciati di non capire gli usi e le tradizioni di quei Paesi, magari proprio da quelli che condannano discriminazioni minime che accadono da noi.
Regola: inutile parlare di pari opportunità se una parte della popolazione comunque discrimina non la persona, ma l’insieme delle persone. Dubito per esempio che negli Stati Uniti possa oggi diventare presidente un gay, uno che convive con una donna senza essere sposato o chi dice di non volere figli.
Le pari opportunità vanno costruite quindi con la sensibilizzazione verso le categorie discriminate. Tale sensibilizzazione non deve essere un’azione buonista, ma deve basarsi su fatti e considerazioni concrete. Agire per legge con quote che assegnano a questa o quella parte certi diritti è il miglior modo di evidenziare che la discriminazione esiste ancora e che una parte della popolazione continua a vedere l’insieme interessato come “non positivo”.
In altri termini, le pari opportunità sono una realtà quando:
- non c’è discriminazione
- nella valutazione del singolo c’è solo meritocrazia.
Il secondo punto vuole semplicemente dire che il soggetto ha ottenuto un risultato per i suoi meriti e non per l’appartenenza a un insieme di persone.
Da notare che le pari opportunità sono sistematicamente negate in tutti quei casi in cui si privilegia, senza alcun motivo, l’età del soggetto (per la convenzione che gli “anziani contano di più”), come capita per gli “scatti automatici di anzianità”.

“Pari opportunità” è una locuzione che molte persone fraintendono.
Pari opportunità: le statistiche
I promotori delle pari opportunità spesso ricorrono alle statistiche per dimostrare che “non ci sono pari opportunità”. L’esempio più comune nella nostra società è quello fra uomo e donna. Frasi come “le donne guadagnano in media meno dell’x% rispetto agli uomini”; “solo l’x% delle donne lavora, mentre l’y% degli uomini ha un lavoro” ecc. sono un chiaro esempio di come la gente non capisca la realtà.
L’errore di fondo è usare un parametro a sproposito, il lavoro. Più corretto sarebbe usare parametri come l’istruzione o il tempo libero. Poiché le pari opportunità vere non possono prescindere dalla meritocrazia dovrebbe essere a tutti evidente che in media gli uomini guadagneranno sempre più delle donne.
Anche se le femministe si arrabbieranno, il motivo è evidente: l’uomo ha in media una maggiore resistenza fisica e mentale e quindi in media ottiene risultati mediamente migliori (anche di un centesimo al mese). Un po’ come nei 100 m: la campionessa mondiale batte almeno il 99,99% degli uomini, ma mediamente le donne sono più lente degli uomini! Negli scacchi, per esempio, le migliori giocatrici mondiali non sono mai entrate nella top ten (nel 2005 J. Polgar era ottava, il miglior piazzamento di sempre, ma nel 2018 la campionessa mondiale Hou Yifan veleggia fra la 60-esima e la 95-esima posizione). Non è questione di intelligenza, ma semplicemente di resistenza fisica e mentale.
Quindi le statistiche andrebbero valutate tenendo conto della diversa efficienza degli insiemi considerati. La statistica ha senso se viene corretta con questo parametro. Dire che le donne dovranno guadagnare in media lo stesso stipendio degli uomini è scorretto, dire che attualmente la differenza di retribuzione è troppo sbilanciata a favore degli uomini è accettabile.
Insomma, ogni discorso che tenda a escludere uno dei due parametri (discriminazione e merito) è razionalmente errato.