Gli affari sono affari... una volta ci credevo anch’io. Un fatto importante della mia vita. Si era alla fine degli anni ’90, nel pieno del famoso boom dei personal computer. L’Amstrad aveva immesso sul mercato un personal IBM compatibile (allora si diceva così) a prezzi stracciati. La mia azienda se n’era procurata una forte scorta e sotto Natale gli affari andavano a gonfie vele.
Vigilia di Natale, ore 17,30, fra poco si chiude. Abbiamo venduto l’ultimo Amstrad. Entra trafelato un signore che velocemente ci spiega che sta facendo il giro del nord Italia (era di Alessandria, se non ricordo male) per procurarsi l’Amstrad che il figlio ha tanto sognato. Il mio socio gli spiega che non abbiamo più Amstrad, mentre mi dà un’occhiata di rammarico per l’affare perduto. A me viene un’illuminazione. “No, guarda che ti sbagli. Ne abbiamo ancora uno”.
Il mio socio, grande venditore, comprende al volo e con un entusiastico “Già, è vero! Glielo faccio preparare” conclude la trattativa. Scende in magazzino e, poco dopo, il nostro addetto consegna nelle mani del raggiante padre l’agognato personal.

Gli affari sono gli affari (Les affaires sont les affaires) è una commedia dello scrittore francese Octave Mirbeau (1903, Parigi)
Spiegazione: il personal era sì nuovo, ma aveva l’hard drive guasto e doveva essere mandato in riparazione. Appena il signore se ne fu andato, quello che ci divertì, al di là del poco edificante evento, fu la selva di giustificazioni che cercavamo di darci; alla fine vinse quella che in fondo il padre non avrebbe fatto una figura meschina, l’avevamo salvato. Non potevamo però certo giustificare il nostro comportamento, anche alla luce della squallida frase “gli affari sono affari“.
Poiché il senso di colpa punitivo non appartiene alle persone intelligenti, elaborammo entrambi la nozione di onestà e facemmo un passo avanti come uomini.
Molte persone, anche messe alle strette, avrebbero preteso di avere ragione, confermando l’assolutezza della regola “gli affari sono affari”. Il loro comportamento mi spinge a credere che molte promesse impossibili (dagli esorcismi dei maghi nostrani alla multinazionale che vende come genuino un prodotto che non lo è) nascano perché si è dimenticato il senso dell’onestà. Perché dunque non ricordarsene almeno una volta all’anno?