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Un cane vale più di un bambino?

Secondo papa Francesco (giugno 2014): “sbagliato preferire cani e gatti” e (gennaio 2022) “tante coppie hanno cani e gatti che occupano il posto dei figli”. Per uno che non giudica le persone (“chi sono io per giudicare un gay”) Francesco parla un po’ troppo, accusando di egoismo le famiglie sterili per scelta.

Si può capire, tira acqua al suo mulino, ma la cosa più odiosa è che usa il solito trucco della religione, cioè lavorare sulle paure dell’uomo e tocca il fondo quando dice: “passeranno la vecchiaia in solitudine”. Premesso che non si vede perché una persona anziana debba rimanere sola perché può comunque coltivare amicizie come una persona di 30 o 40 anni, Francesco dimentica che, quando i figli si fanno la loro vita (ed è giusto che facciano così), i contatti con i genitori sono sporadici (non certo 24 ore al giorno), a meno che il papa non pretenda che si continui a vivere con essi (onora il padre e la madre) e si continui a servirli e riverirli fino in tarda età, mettendo la propria famiglia e i propri figli in secondo piano. Una concezione da Medioevo.

Il test

DOMANDA – Vi chiedo: ha più valore un bimbo o un cane?

PREMESSA – Il titolo di questo commento è ripreso da quello di un articolo di Maria Soavi nel sito del Corriere.

La Soavi riprende a sua volta un’intervista di Gian Antonio Stella a una suora missionaria, Laura Girotto. Che la suora sostenga che “pensiamo più ai cani che ai bambini”, ci sta: la Chiesa se ne è sempre fregata degli animali e solo ora sta cercando qualche slancio ambientalista, sempre e solo comunque in direzione antropocentrica, con l’ambiente da non distruggere perché “serve” all’uomo.

Non so se la Soavi sia spinta dalla sua “anima” cattolica, ma il suo pezzo è interessante perché mostra un mix di personalità critiche: vecchia (lo dice lei stessa), sopravvivente, mistica (“E viva Dio che c’è chi ancora si scandalizza”), patosensibile.

Alcuni passi dal pezzo della Soavi.

Io vivo a Milano e da qualche tempo ormai ho la netta sensazione che in questa città, (forse anche altrove, me lo direte voi) ci sia più attenzione, rispetto e amore per gli animali che per bambini e anziani…

Purtroppo non è così; in poche regioni italiane c’è un atteggiamento moderno, simile a quello che si trova in altri Paesi europei come la Francia, la Germania ecc. Non è questione di amore, ma di logica: si accetta chi non fa danno, bambino o cane che sia. Ci si è semplicemente accorti che i cani possono essere meno fastidiosi dei bambini e la vecchia frase “ma è un bambino!” non giustifica più fallimenti educazionali.

Evidentemente non esiste più quella vecchia norma di educazione – per anni condivisa dalla società civile – per cui gli animali non si impongono ad altre persone, specie in ambienti pubblici perché c’è chi potrebbe non gradire, chi potrebbe aver paura, essere allergico e quant’altro.

Rovesciamo il ragionamento: è forse civile imporre un bambino vociante agli altri? Se poi uno non gradisce o ha un’immotivata paura o è allergico (anch’io potrei essere allergico ai profumi che portano le donne, ma non ne chiedo il bando), il problema è suo e lui deve risolverlo. Non è educazione ghettizzare per un problema proprio, è solo egoismo.

La Soavi conclude dicendo che è una questione di “priorità”, prima i bimbi e poi i cani. In questo concetto sta tutta la criticità del personaggio che conclude con un retorico: l’unico commento che vi chiedo di non fare è “gli animali sono spesso meglio di certi uomini”… vi prego, questo no.

Non ci vuole Einstein per dimostrare che la frase in questione è del tutto corretta (bastava che togliesse “spesso” e “certi” e avrebbe ottenuto l’effetto sperato!).

RISPOSTA – La Soavi è agli antipodi del Neocinismo perché non ha capito il concetto di oggetto d’amore. Meglio chi ama il rock, si veste come Elvis e viene ritenuto lo scemo del villaggio che un asettico che non ha oggetti d’amore nella sua vita. Quindi la risposta della Soavi: “sicuramente un bimbo” è medievale perché stabilisce un valore assoluto, un condizionamento, un'”imposizione” che con un po’ di spirito critico non è possibile accettare.

Anche la risposta dell’animalista convinto (“gli animali sono meglio degli uomini”) è sbagliata per lo stesso motivo. Il patosensibile che si commuove ogni volta che in tv passa la storia di un cane abbandonato è del tutto equivalente a chi sta male davanti alle immagini dei bimbi che muoiono di fame. Come è sbagliata la posizione di chi vuole imporre agli altri un animale creando disagio oggettivo, cioè per tutti (come chi pretende di azzerare il concetto di “razza pericolosa” o chi non raccoglie gli escrementi del suo amico).

La risposta corretta è che ognuno di noi ha la sua priorità. Non è criticabile chi ama i bambini e non ama gli animali (ma non li odia, cioè non fa loro del male), come non lo è chi ama i cani e non ama i bambini (ma ovviamente non li odia). Ognuno ha il diritto di avere i suoi oggetti d’amore e la società deve tutelare questo diritto, come sempre componendo gli egoismi dei singoli: il bambino che al ristorante schiamazza non è vivace, è solo maleducato, esattamente come il cane che abbaia.

Per cui, cara Soavi, sì, fra il mio cane e un bambino africano io scelgo il mio cane. Anzi lo scelgo prima di te e di ogni bambino italiano a me sconosciuto. Perché? Perché lui è nel mio mondo dell’amore e tu no. Non ti amo, ma neppure ti odio, mi sei indifferente.

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